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lunedì 16 luglio 2012

Trattativa Stato-mafia. Era già un caso di "Stato", adesso .... non ne parliamo

Il Presidente della Repubblica, si legge in una nota diffusa dal Quirinale, ha affidato all'Avvocato Generale dello Stato l'incarico di rappresentare la Presidenza della Repubblica nel giudizio per conflitto di attribuzione da sollevare dinanzi alla Corte Costituzionale nei confronti della Procura di Palermo per le decisioni che questa ha assunto su intercettazioni di conversazioni telefoniche del Capo dello Stato; decisioni che il Presidente ha considerato, anche se riferite a intercettazioni indirette, lesive di prerogative attribuitegli dalla Costituzione.
Alla determinazione di sollevare il confitto, Napolitano è pervenuto ritenendo "dovere del Presidente della Repubblica", secondo l'insegnamento di Luigi Einaudi, "evitare si pongano, nel suo silenzio o nella inammissibile sua ignoranza dell'occorso, precedenti, grazie ai quali accada o sembri accadere che egli non trasmetta al suo successore immuni da qualsiasi incrinatura le facoltà che la Costituzione gli attribuisce".
Subito dopo il comunicato del Colle, il capo della Procura di Palermo Francesco Messineo, il pm Antonio Ingroia e i sostituti Lia Sava, Nino Di Matteo, e Palermo Guido hanno indetto una riunione.
Il procuratore Francesco Messineo ha parlato in merito all'iniziativa di Napolitano dicendosi "sereno" e ha dichiarato che su Mancino ci sono state "intercettazioni occasionali e imprevedibili", aggiungendo: «L'operato della Procura di Palermo nell'inchiesta sulla presunta trattativa tra Stato e mafia risponde ai principi del diritto penale e della Costituzione e nelle intercettazioni non sono state violate le prerogative costituzionali del capo dello Stato».
IL FATTO
La Procura di Palermo ha chiuso recentemente le indagini sulla “trattativa Stato-mafia” del 1992-1994 ed ha convocato prima della conclusione, nella veste di testimone, l’allora ministro dell’Interno Nicolò Mancino. Costui è uscito molto sconvolto ed impaurito dall’interrogatorio. Ha poi tentato più volte di mettersi in contatto, nei giorni successivi, col Colle più alto di Roma, parlando ora col consulente giuridico di quel colle ed ora con l’inquilino ufficiale.
Era accaduto però che i magistrati erano rimasti “colpiti” dalle dichiarazioni di Mancino durante la testimonianza e pertanto avevano disposto l’intercettazione delle utenze  telefoniche dell’ex-ministro, che peraltro da quella conversazione con i magistrati palermitani si era pure guadagnato l’accusa di “falsa testimonianza”.
Quando Mancino (intercettato) chiede al ‘colle’ di promuovere un coordinamento dei magistrati delle procure che indagano sugli anni di sangue (1992-1994), i magistrati palermitani si ritrovano a registrare la conversazione.
Nei giorni scorsi un amico personale dell’inquilino del “colle”, Eugenio Scalfari, ha accusato su Repubblica (il giornale del magnate pd, De Benedetti: tessera n. 1) i magistrati di Palermo di avere violato la legge, che a suo dire impedirebbe di intercettare il Capo dello Stato, anche se ciò avvenga indirettamente e casualmente.
L’iniziativa odierna del Capo dello Stato di rivolgersi all’Alta Corte è in un certo senso il seguito dei segnali trasmessi sul giornale 'La Repubblica' da Eugenio Scalfari.
Conclusione
La questione viene posta dal Quirinale in termini di tecnicismo giuridico. Agli italiani però interessa la “verità” sulla stagione 1992-1993, ossia;
-cosa teme Nicola Mancino dalle indagini palermitane; perché si è spinto fino al punto di coinvolgere il Quirinale;
-perché mai il Quirinale ha chiesto alla Corte di Cassazione di verificare il  coordinamento delle procure che indagavano sulla “trattativa”;
-perché quando si indaga sui potenti d’Italia, appartengano alla prima o alla seconda repubblica, sui magistrati crollano addosso
=possibilità di nuove leggi bavaglio,
=alte corti che si mobilitano,
=giornaloni con alta tiratura,  di solito con facce integerrime e vocazioni pregiudizialmente a favore delle procure, che invece  contestano –all’improvviso- i magistrati,
Alla luce di ciò che sta accadendo noi umili umani vorremmo in buona sostanza conoscere la “verità” sul periodo di transito dalla prima alla seconda repubblica.
A noi non interessa “coprire” chi in quegli anni ha, eventualmente, manovrato.

Riportiamo comunque il decreto a firma del Capo dello Stato.

Decreto del Presidente della Repubblica

PREMESSO che, nell'ambito di procedimento penale pendente dinanzi alla procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Palermo, sono state captate conversazioni del Presidente della Repubblica nel corso di intercettazioni telefoniche effettuate su utenza di altra persona;
PRESO ATTO che il procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, in risposta a richiesta di notizie formulata il 27 giugno 2012 dall'Avvocato Generale dello Stato, ha riferito, il successivo 6 luglio, che, "questa procura, avendo già valutato come irrilevante ai fini del procedimento qualsivoglia eventuale comunicazione telefonica in atti diretta al Capo dello Stato non ne prevede alcuna utilizzazione investigativa o processuale, ma esclusivamente la distruzione da effettuare con l'osservanza delle formalità di legge";
PRESO ATTO altresì che, con nota diffusa il 9 luglio 2012 e con lettera al quotidiano "la Repubblica" pubblicata l'11 luglio 2012, il procuratore della Repubblica ha ulteriormente affermato tra l'altro, sempre con riferimento alle indicate intercettazioni, che "in tali casi alla successiva distruzione della conversazione legittimamente ascoltata e registrata si procede esclusivamente previa valutazione della irrilevanza della conversazione stessa ai fini del procedimento e con la autorizzazione del giudice per le indagini preliminari, sentite le parti";
CONSIDERATO che la procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, dopo aver preso cognizione delle conversazioni, le ha preliminarmente valutate sotto il profilo della rilevanza e intende ora mantenerle agli atti del procedimento perché esse siano dapprima sottoposte ai difensori delle parti ai fini del loro ascolto e successivamente, nel contraddittorio tra le parti stesse, sottoposte all'esame del giudice ai fini della loro acquisizione ove non manifestamente irrilevanti;
RITENUTO che, a norma dell'articolo 90 della Costituzione e dell'articolo 7 della legge 5 giugno 1989, n. 219 - salvi i casi di alto tradimento o attentato alla Costituzione e secondo il regime previsto dalle norme che disciplinano il procedimento di accusa - le intercettazioni di conversazioni cui partecipa il Presidente della Repubblica, ancorché indirette od occasionali, sono invece da considerarsi assolutamente vietate e non possono quindi essere in alcun modo valutate, utilizzate e trascritte e di esse il pubblico ministero deve immediatamente chiedere al giudice la distruzione;
OSSERVATO che comportano lesione delle prerogative costituzionali del Presidente della Repubblica, quantomeno sotto il profilo della loro menomazione, l'avvenuta valutazione sulla rilevanza delle intercettazioni ai fini della loro eventuale utilizzazione (investigativa o processuale), la permanenza delle intercettazioni agli atti del procedimento e l'intento di attivare una procedura camerale che - anche a ragione della instaurazione di un contraddittorio sul punto - aggrava gli effetti lesivi delle precedenti condotte;
RILEVATO che "E' dovere del Presidente della Repubblica di evitare si pongano, nel suo silenzio o nella inammissibile sua ignoranza dell'occorso, precedenti, grazie ai quali accada o sembri accadere che egli non trasmetta al suo successore immuni da qualsiasi incrinatura le facoltà che la Costituzione gli attribuisce" (Luigi Einaudi);
ASSUNTA, conseguentemente, la determinazione di sollevare formale conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte Costituzionale, ai sensi dell'articolo 134 della Costituzione, avverso la decisione della procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Palermo di valutare la rilevanza di conversazioni del Presidente della Repubblica e di mantenerle agli atti del procedimento penale perché, nel contraddittorio tra le parti, siano successivamente sottoposte alle determinazioni del giudice ai fini della loro eventuale acquisizione,
DECRETA
la rappresentanza del Presidente della Repubblica nel giudizio per conflitto di attribuzione indicato nelle premesse è affidata all'Avvocato Generale dello Stato.
Roma, 16 luglio 2012

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