articolo ripreso dal Corriere della Sera
La polemica sulla bolla degli stipendi d'oro dei manager è uno di quegli
argomenti ciclici che anche in Italia tende ad accendere gli animi per
poi scomparire dalle agende fino al nuovo giro di boa. La prossima,
peraltro, si avvicina: le società quotate hanno l'obbligo di comunicare
le politiche di remunerazione dei vertici nei bilanci e così tra marzo e
inizio aprile, con la pubblicazione dei bilanci 2011, si alzerà il
sipario su emolumenti e premi dell'anno appena chiuso. Rispetto alla
classifica 2010, quella degli ultimi dati disponibili, le novità non
mancheranno. Un anno fa Alessandro Profumo con
40,59 milioni doppiava ampiamente tutti i colleghi alla guida di grandi
aziende in virtù della liquidazione monstre da 38 milioni ricevuta in
uscita da Unicredit il 20 settembre 2010. In seconda posizione, per dire
così, figurava Luca Cordero di Montezemolo con
8,713 milioni, ma anche qui nel 2010 si è chiuso il pluriennale legame
con la Fiat che ha presieduto fino al 21 aprile. A seguire figuravano Marco Tronchetti Provera con 5,95 milioni, Cesare Geronzi con 5,088, Paolo Scaroni con 4,42 e Pier Francesco Guarguaglini con 4,314 milioni.
IL GAP - Insomma, alcune pedine
si sposteranno visto il valzer di poltrone realizzatosi nel frattempo,
anche se a non cambiare sarà la sostanza. E in tempi di austerity per
tutti e di messa in discussione dello stesso sistema
capitalistico-finanziario occidentale questo dovrebbe spingere ad
affrontare in un'ottica più strutturale il dibattito sui tetti agli
stipendi d'oro. Quando basta? E quando è «immorale», termine démodé ma
efficace, una busta paga faraonica con un multiplo astrale tra il
capoazienda e il suo dipendente tipo? Proprio nel 2011 dentro il
frullatore del dibattito era finito Sergio Marchionne,
amministratore delegato del gruppo Fiat, non perché fosse il caso
«peggiore» ma perché il gruppo era in piena ristrutturazione. Nel 2010
il manager ha guadagnato 3,473 milioni ma mettendo in fila le sue buste
paga dall'arrivo alla guida del Lingotto fino all'ultimo dato
disponibile era stato calcolato che il suo stipendio medio giornaliero
lordo (15.500 euro) poteva essere confrontato con quello annuale di un
metalmeccanico di fascia media. Il che corrisponde a un multiplo tra il
capoazienda e l'operaio, considerando anche bonus e premi (ma non stock
option), pari a circa 365. Eccessivo anche per chi è famoso per il
superlavoro. Peraltro Marchionne scivolò su un'infelice battuta il cui
senso era: un operaio non farebbe a cambio, visto la vita che faccio.
TRASPARENZA - Qualche cambiamento
è in arrivo: da quest'anno con le nuove regole Consob le società
dovranno pubblicare più ampi dettagli sui guadagni dei top manager. Un
esempio è l'oggettività degli obiettivi con il clawback (con la
restituzione dei super-gettoni se un anno dopo gli obiettivi che
sembravano raggiunti in realtà non lo sono). Almeno, un pizzico di
trasparenza in più.
Certo la bolla delle buste paga dei vertici non è una specificità italiana. Non a caso se ne discute in Inghilterra come a livello europeo. Anzi, il fenomeno è occidentale: l'industria delle banche d'affari Usa ha scritto pagine vergognose nel «pre» ma anche nel «post» crac-Lehman. Basterebbe leggere il best seller «Too Big To Fail», del giornalista del New York Times , Andrew Ross Sorkin. Per ora a prevalere resta il diffuso malinteso tra liberismo e assenza totale di regole.
Certo la bolla delle buste paga dei vertici non è una specificità italiana. Non a caso se ne discute in Inghilterra come a livello europeo. Anzi, il fenomeno è occidentale: l'industria delle banche d'affari Usa ha scritto pagine vergognose nel «pre» ma anche nel «post» crac-Lehman. Basterebbe leggere il best seller «Too Big To Fail», del giornalista del New York Times , Andrew Ross Sorkin. Per ora a prevalere resta il diffuso malinteso tra liberismo e assenza totale di regole.
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