Ascoltare i politicanti, in queste settimane, è davvero deprimente. Le manovre fiscali estive del governo -sollecitato da un organo tecnocratico quale è la Bce- hanno elevato ulteriormente la già alta pressione fiscale (Iva, accise sul carburante etc.).
Se qualcuno, pochi per la verità, suggerisce al governo di introdurre imposte patrimoniali per incidere su chi detiene la ricchezza del paese, Berlusconi si gira dall'altro lato, perchè da quest'orecchio non ci sente..
Eppure sappiamo, l'Istat ci assicura, che in Italia vivono dei nababi. Alessandro Profumo che ha retto Unicredit per anni abbiamo appreso che nel 2007 ha intascato oltre 9 milioni di euro in liquido e poco meno di 4 milioni di euro in titoli azionari e/o vari. L'Istat ci assicura inoltre che il 10% di nostri concittadini detendono poco più del 50% della ricchezza nazionale.
Questi signori, che di crisi e di affanni economici, conoscono ben poco non vengono disturbati e non vengono incisi dal nostro fisco.
Questo quadro desolante di iniquità fiscale nel terzo millennio ci ha fatto ricordare come nel Quattrocento e nel Cinquecento, quando gli arbereshe arrivarono nelle contrade dei Cardona il sistema fiscale fosse, già allora, ingiusto, proprio come nei tempi e nell'epoca berlusconiana.
Già nei primi decenni del Cinquecento gli arbereshe furono obbligati alle periodiche rilevazioni, riveli di beni ed anime, che consentivano nel Regno di Sicilia di sottoporre
-a registrazione, descrizione e conteggio
-attraverso schede familiari,
-tutti gli abitanti con i nomi, cognomi, sesso
-i beni immobili e mobili
-tutti i debiti
-in modo da pervenire al valore dei patrimoni.
La cosa assurda, allora come adesso, era che chi veramente deteneva i patrimoni, ossia i monasteri e la Chiesa ed i baroni che disponevano per intero del possesso della terra, erano esenti dal sottoporsi ai "riveli".
A sostenere le spese delle guerre infinite contro i turchi (Lepanto), contro le Fiandre (noi siciliani come i fiamnminghi eravamo sotto il controllo della Spagna), erano i miserabili contadini di allora che non avevano di che sopravvivere: essi dichiaravano, in genere, come a Contessa la detenzione di un mulo o due, talora di due bovini, e dichiaravano inoltre i debiti nei confronti del marchese di Giuliana (l'erede dei Cardona) per il canone enfiteutico dovuto su un fazzoletto di terra allocato nella contrada Serradamo ovvero Contesse.
C'era inoltre chi dichiarava i debiti per la gestione del mulino di Bagnitelle, che era proprietà del medesimo marchese di Giuliana ma veniva gestito da fiduciari.
Oggi a sostenere i costi delle guerre in Afganistan, in Libia e ovunque nel mondo sono i lavoratori dipendenti, quel dieci per cento di benestanti devono continuare a vivere da benestanti.
E la crisi intanto si aggrava, la disoccupazione aumenta.
Sotto questo aspetto, nulla è cambiato dal regime feudale al regime capitalistico-finanziario di oggi.
C'è solo da rilevare che i nostri progenitori arbereshe erano autorizzati a "denunciare" oltre al possesso di tre capre anche i debiti nei confronti dei baroni, oggi a Berlusconi e a Tremonti le nostre esposizioni debitorie nei confronti del sistema bancario gestito dai "profumi" di turno non interessano.
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