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domenica 9 ottobre 2011

C'erano gli arbëresh

L’identità degli arbëresh di Sicilia si basa su due fondamenta:
-la lingua albanese, che oggi tuttavia si conserva bene a Piana degli Albanesi e Santa Cristina Gela e ‘maluccio’ per non dire male a Contessa Entellina. La lingua albanese si è persa completamente a Mezzojuso e a Palazzo Adriano;
-il rito bizantino-greco, e non si può dire nemmeno che questo mostri segni di solidità.
Il giorno in cui questi due fondamenta verranno meno non esisteranno più gli arbëresh. Quel giorno dimostrerà che in Italia l’impianto normativo, per non dire l’impianto costituzionale, ha natura solo formale e non sostanziale; dimostrerà che ciò che sta scritto non vale nulla perché la realtà è cosa diversa da ciò che i padri costituenti volevano perseguire.

A) L’ Art. 6 della Costituzione recita: “La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche”.
Nulla lo Stato, le istituzioni hanno fatto per rispettare quel dettato. Poco più di dieci anni fa, ad oltre un cinquantennio dall’entrata in vigore della Costituzione Repubblicana, è stata emanata la cosiddetta legge “482” che è servita, almeno nell’esperienza locale, a sciupare soldi a beneficio delle banalità e delle inadeguatezze, ossia sulle iniziative che non incidono in nulla sul processo di omologazione che sta risucchiando il pianeta –oggi- ad americanizzarsi e domani, forse, a cinesizarsi. L'Unione Besa ha avviato nelle scuole dei corsi di albanese, che però hanno avuto carattere di sussidiarità e di opzionalità.
  Uomini politici locali (Di Martino, Petrotta etc.) hanno tentato di dilatare l’ambito normativo di tutela e valorizzazione della lingua arbëresh, ma non hanno raggiunto le mete che si prefiggevano. Oggi peraltro gli arbëresh non sono rappresentati né all’Assemblea Regionale né nel Parlamento dei “nominati” di Roma.

B) Volendo dire qualcosa sul “rito” c’è da evidenziare che esso è in rapida “latinizzazione”:
a) il catechismo ai bambini ignora l’esplorazione dei presupposti del rito medesimo per adagiarsi in tutto e pertutto a quello “romano”,
b) il rituale liturgico ricalca non più lo spirito di Giovanni Crisostomo e la teologia bizantina ma quello “romano” al punto che il fedele viene invitato a pregare per l’Eparca, per il Delegato pontificio (lo ha fatto un Amministratore parrocchiale qui inviato) e per Ratzingher.
c) la comunione ai fedeli (almeno a quelli malati che stanno a casa) non è somministrata col pane ma con l’ostia (anche questo lo attuava un Amministratore parrocchiale, ma ci risulta che la pratica è in auge pure a Mezzojuso).
Potremmo continuare, ma ci fermiamo perché tutti conosciamo le carenze della “Curia”; tante sono le carenze organizzative ed operative che il Vaticano si è sentito in dovere di sospendere l’autonomia eparchiale e di creare una “tutela” (potremmo dire un 'commissariamento') affidata ad un “delegato pontificio”, ovviamente romano.

La domanda che poniamo è:
-E’ lo Stato che non dà piena attuazione all’art. 6 della Costituzione ?
-E’ il Vaticano che tende a uniformare quella che dovrebbe essere la “Confederazione delle Chiese Cattoliche”, che comprende una decina di chiese orientali accanto alla romana, in direzione di una impoverita –culturalmente- chiesa romana ?
-Oppure è la comunità arbëresh che priva di veri dirigenti politici, priva di clero consapevole della missione, non riesce più a individuare il percorso … in avanti e sta per ripiegarsi per mancanza di slancio ?

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