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mercoledì 21 dicembre 2022

Storia Culturale

  Fare cultura. (4)


Il processo di laicizzazione della "Cultura" e l'abbandono dell'uso della lingua "latina" 

Già al tramonto del Medio Evo l'alfabetizzazione dei laici cominciava ad affermarsi e  favoriva la richiesta di libri nelle lingue nazionali (il volgare nel mondo dell'editoria si affermò rispetto al latino, e -in Italia- il toscano iniziò ad affermarsi come lingua nazionale). Dante e Petrarca nella poesia e Castiglione e Guicciardini nella prosa accrebbero notevolmente il prestigio e l'uso dell'Italiano.
Sperone Speroni (scrittore e filosofo, 1500-1588), prendendo atto del diffondersi delle lingue nazionali rilanciò l'idea di tornare al latino (destinata ormai ad essere lingua morta) come lingua universale  -appropriata- per ogni luogo e tempo.
A sviluppare l'uso delle lingue volgari contribuirono:

--le necessità dei governi nazionali di usare atti legali e documenti di validità pubblica,
--in Francia i tribunali  cominciarono ad usare il francese e a scrivere gli atti in lingua locale,
--in Inghilterra il giurista Edward Coke propugnò l'uso del volgare sostenendo: "La nostra lingua inglese è tanto ricca ed espressiva e tanto idonea a dire qualcosa con poche e convenienti parole quanto ogni altra lingua".

 A questi fenomeni provenienti dalla realtà pratica vanno aggiunti la Riforma Protestante e la Controriforma cattolica che necessitarono, entrambi, di farsi intendere dal popolo. I protestanti rifiutarono le liturgie in latino ed avviarono la traduzione della Bibbia nelle lingue nazionali. I riformatori cattolici (p.e. Francesco di Sales) iniziarono pure essi a scrivere in volgare dando la sensazione di non volere lasciare spazi sociali ai protestanti.
 In Italia, sempre in quella seconda metà del Cinquecento, gli insegnamenti di filosofia, medicina e diritto cominciarono ad essere condotte in "volgare". Galileo scrisse di cosmologia in italiano, Montaigne scrisse in francese e Robert Burton  scrisse della Anatomia della malinconia in inglese.

 La Letteratura in volgare si estese su tutta l'Europa e Cervantes, nel Don Chisciotte sostiene:
     Il grande Omero non scrisse in latino, perché era greco, e anche Virgilio non scrisse in greco, perché era latino. In conclusione,  tutti i poeti antichi scrissero nella lingua che succhiarono col latte, e non andarono a cercare quelle straniere per esprimere l'altezza dei loro concetti; pertanto,  stando così le cose, sarebbe giusto che tale usanza si estendesse a tutte le nazioni e che non si disprezzasse il poeta tedesco perché scrive nella sua lingua, né il castigliano e neanche il biscaglino che scrive nella sua.

Nonostante le tante prese di posizioni in favore delle lingue nazionali, nel 1605, dei 6.000 volumi custoditi nella Bolleian Library di Oxford, tuttavia, solo 36 erano scritti in inglese. Lo sostiene William J. Bouwsma, professore di Storia all'Università della California, Berkeley e presidente dell'American Historical Association (1923-2004).
 

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