Il giudice Livatino, ucciso è stato proclamato beato nella giornata di ieri nella cattedrale di Agrigento. È il primo magistrato beato nella storia della Chiesa.
Sono parole che segnarono la svolta della Chiesa nei confronti della mafia dopo lunghi decenni di silenzi e omissioni. Ancora più recentemente Papa Francesc, in Calabria, ha sostenuto: “Coloro che nella loro vita seguono questa strada di male, come sono i mafiosi, non sono in comunione con Dio: sono scomunicati!”.
Il 9 maggio è pure il giorno dell’uccisione per mano mafiosa di Peppino Impastato (nel 1978), giornalista trentenne di Cinisi.
Il cardinale Gualtiero Bassetti, Presidente della Cei, ha detto in occasione della beatificazione di Livatino “la malavita organizzata, la possiamo chiamare mafia, camorra, stidda, non è una criminalità comune ma è un’organizzazione feroce e, al tempo stesso, una forma di ateismo che si colora di tinte neopagane e di blasfeme citazioni cristiane. La malavita è inequivocabilmente fonte di morte: morte della società, morte del territorio, morte dell’anima delle persone. Le organizzazioni criminali per realizzare i loro progetti creano un clima di paura che sfrutta la miseria e la disoccupazione, la disperazione sociale e l’assenza della certezza del diritto. Proprio per questo è assolutamente necessaria la presenza dello Stato. Una presenza forte, autorevole e soprattutto educativa. Come quella di Rosario Livatino. Ho letto alcune cronache dei giornali del 1990 che raccontano la morte del giudice ragazzino. Egli viene definito come ‘un giovane e minuto magistrato di 38 anni’ che da ‘dieci anni faceva il suo dovere’: in definitiva era ‘un giudice incorruttibile’. Livatino è stato un appassionato difensore della legalità e della libertà di questo Paese. Un autentico rappresentante delle istituzioni che è riuscito a incarnare la certezza del diritto e anche la cultura morale dell’Italia profonda: di quell’Italia che non si arrende alle ingiustizie e alle prevaricazioni, e che non cede agli ignavi e a coloro che si adeguano allo status quo: anche quando lo status quo è rappresentato dalla mafia”. Ha quindi concluso: “Vorrei riassumere l’eredità di Livatino con la stessa frase che ho utilizzato per ricordare don Pino Puglisi: con la mafia non si convive! Fra la mafia e il Vangelo non può esserci alcuna convivenza o tantomeno connivenza. Non può esserci alcun contatto né alcun deprecabile inchino”.
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