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lunedì 17 maggio 2021

Parole e autori. In breve

 Relativismo

"Ai nostri giorni non si parla d'altro che di differenze, ma il cambiamento è più apparente che reale, la diversità così rumorosamente esaltata è in realtà insignificante, dato che esclude la sola differenza che conti, quella che separa il vero dal falso, il reale dall'immaginario. Il relativismo religioso è una certezza non meno metafisica delle altre. Ma come ci si può permettere una certezza siffatta dal momento che non si crede più a nulla, almeno in linea di principio, nemmeno alla scienza e alle sue dimostrazioni?  Se voi insistete per ottenere una risposta al riguardo, i vostri interlocutori finiranno sempre per sottolineare le somiglianze fra cristianesimo e miti. Esse sono troppo numerose  e clamorose -vi verrà detto- per non escludere la possibilità che il cristisanesimo sia davvero unico".

René Girard

antropologo, critico letterario e filosofo 

1923-2015


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La crisi del mondo attuale nasce, secondo alcuni, dalla perdita dell'assoluto della fede.

1) Max Weber (sociologo, filosofo, ec: onomista e storico): Chi vive nel mondo non può esperire in sè nient'altro che la lotta  tra una moltitudine di valori. Egli deve scegliere quale di questi dei vuole o deve servire.

2) Tzvetan Todoroy (filosofo e saggista): Il relativismo radicale è una illusione; ma per questa stessa ragione, non possiamo ad un universalismo che ignori le aspirazioni egualitarie degli individui.

3) Leo Strauss (filosofo e storico): Il relativismo, vale a dire l'asserzione che tutti i fini sono relativi a colui che sceglie sembra richiedere un qualche "assolutismo".

4) Isaiam Berlin (filosofo, politologo e diplomatico britannico, teorico di un liberalismo inteso soprattutto come limitazione dell'ingerenza statale nella vita sociale, economica e culturale dei singoli e delle comunità); Riconoscere la validità relativa delle proprie convinzioni è ciò che distingue una persona civile da un barbaro.

L'Occidente disincantato

(testo del 2005 di Franco Volpi sul diario de La Repubblica)

 Non c'è oggi analista che non faccia ricorso alle categorie di "relativismo" e "nichilismo"  quando si tratta di spiegare la crisi culturale dell'Occidente e dei suoi valori. Ma cosa significano propriamente i due termini?  E' stato Nietzische a indicarlo: " L'uomo moderno  crede sperimentalmente ora a questo, ora a quel valore, per poi lasciarlo cadere. Il circolo dei valori superati e lasciatin cadere è sempre più vasto. Si avverte sempre più il vuoto e la povertà di valori. Il movimento è sempre più inarrestabile. Alla fine l'uomo osa una critica dei valori in generale; ne riconosce l'origine; conosce abbastanza per non credere più in nessun valore". Ma con la svalutazione dei valori -come la morte di Dio- si crea una situazione di vuoto in cui manca la risposta al "perchè". Dal relativismo nasce come conseguenza il nichilismo. "Un'ospite inquietante" -afferma Nietzsche- che è inutile tentare di  mettere alla porta perchè ormai si aggira ovunque per la casa. E aggiungeva: "Quella che racconto è la storia dei prossimi due secoli". Nel frattempo la sua profezia si è avverata. Il fuoco da lui appiccato divampa oggi dappertutto. I riferimenti tradizionali che rappresentavano la risposta al "perchè", e illuminavano l'agire dell'uomo, hanno perso la loro assolutezza. Sempre meno scontato è che trovino ascolto e applicazione.

 E' stato Max Weber a mostrare come questo processo sia strettamente connesso  con la nascita della modernità. La razionalizzazione scientifico-tecnologica ha prodotto il "disincanto", il venir meno dell'immagine del mondo fondata sul mito e sulla religione e l'affermarsi della scienza come prima istanza di verità. Essa è pero "neutrale" rispetto ai valori. Li considera indecidibili dal punto di vista della sola ragione e li lascia alle libere scelte degli individui. Si forma così un "politeismo" di valori in cui ogni pretesa di assolutezza che se le chiese e le fedi permangono, non c'è più un punto di vista capace di rappresentare l'universalità, di formare una identità condivisa.

 Questo è il problema del relativismo. Dopo il disincanto che ci ha privato di bussole, strumenti, orientamenti fissi, esso ci costringe a navigare a vista nel mare della precarietà e della complessità moderna, mediando tra una cultura e l'altra, negoziando tra un sistema di interessi e l'altro. Ma il relativismo ha anche il suo lato bello: abbatte i fondamentalismi e incoraggia la tolleranza. Educa a disattivare i fattori di conflitto che l'assolutismo -suo fratello gemello- ingenera. la storia e il presente insegnano che un individuo armato di verità assolute è un potenziale assassino.

(testo del 2003 di Dario Antiseri nella  premessa al libro:

Cristiano perchè relativista,

relativista perchè cristiano

Una scienza senza certezze; l'etica senza verità; metafisica senza fondamenta; una società aperta e mai perfetta; e un futuro in cui l'uomo non è e non sarà mai il padrone del proprio destino - sono questi, esiti della filosofia contemporanea che hanno portato ad una riconquistata idea della contingenza umana. E la lucida consapevolezza che non siamo capaci a costruire razionalmente assoluti terrestri diversi da quello dove siamo costretti  a scegliere tra l'assurdo e la speranza.

 Un assenza di senso assoluto crea la coscienza angosciata, il mendicante di senso,  Soren Kierkegaard: "Solo chi ha provato la disperazione capisce in fondo la Redenzione, perchè ne ha bisogno". E ancora " La coscienza angosciata capisce il Cristianesimo come un animale affamato, se gli metti davanti una pietra o un pezzo di pane, capisce che l'uno è da mangiare, e l'altro no;   questo modo di coscienza angosciata capisce il Cristianesimo.

 Dunque: cristiano perchè relativista, perchè consapevole dei fallimenti della dea-ragione e insieme della possibilità di invocare quel senso assoluto non controllabile con mani umane. Ma anche "relativista" perchè cristiano.  Per chi abbia abbracciato  la fede cristiana solo Dio è assoluto - e, di conseguenza, tutto ciò che è umano non è assoluto, non è perfetto, è storico, perfettibile, contestabile. Jûrgen Moltmann: "Le parole di speranza della promessa (...) non vogliono reggere lo strascico alla realtà, ma portano la fiaccola davanti a lei. In tal modo della realtà un processo storico ...(...).,  Il presente e il futuro, l'esperienza e la speranza vengono a contraddirsi nell'escatologia cristiana, la quale pertanto non conduce l'uomo a conformarsi e accordarsi alla realtà data, ma lo coinvolge nel conflitto tra speranza ed esperienza.

Cristiano perchè "relativista"; relativista perchè cristiano. Una concezione che potrebbe venir chiamata razionalismo della contingenza - un fallibilismo gnoseologico che, sulla via indicata da Kant, si sente lontano dagli esiti di quell'abuso della ragione di quanti  si sono illusi e si illudonmo di proibire lo spazio della fede, ma anche di coloro che si ostinano a proporre una filosofia che, apparentemente ancilla, della fede vuole essere domina.

 E' ormai da molti anni che siffatta problematica ha attratto il mio interesse. Ultimamente ne ho parlato con Giovanni Reale nel libro  Quale ragione?, apparso nel 2001; e circa dieci anni fa avevo ancora una volta affrontato la questione del rapporto tra ragione e fede in Teoria della razionalità e ragione della fede -volume arricchito da una Risposta teologica-filosofica del Card. Camillo Ruini. Con le riflessioni che seguomnp ho inteso spiegare fino alla loro "logica"  conclusioni le tesi  presenti nei due libri ora richiamati (e anche in miei scritti precedenti). Tutto ciò nel rispetto -e talvolta nell'ammirazione- nei riguardi di altre e diverse tradizioni di pensiero, ma anche nella persuasione che, ai nostri giorni,  risulti più convingente e sia meglio praticabile la via indicata da Pascal e da Kierkegaard.

Roma, marzo 2003                                                                        Dario Antiseri

===2 paragrafi del libro di Antiseri

"Tu non puoi essere filosofo. Non puoi esserlo perchè sei credente. Un cattolico non può essere filosofo. Così mi disse un giorno Ugo Spirito. E questa è stata la pretesa della maggior parte dei movimenti filosofici del secolo che abbiamo appena alle spalle. E' stata la presunzione di quegli idealisti per i quali la filosofia  aveva tra i suoi compiti quello di portare  a consapevolezza razionale contenuti incastonati nei "miti religiosi". Ed è stata la presunzione  dei positivisti - costoro hanno guardato a Dio  come ad "una ipotesi inutiler". E se Marx vedeva nella religioner "l'oppio dei popoli" e nella fede l'esito dell'alienazione umana, per Freud  la religione non è se non una "universale nevrosi ossessiva". Poi sono venuti i neopositivisti, il cui principio di verificazione imponeva, tra l'altro,  la dissoluzione del problema di Dio ancor prima che tale problema potesse venire posto,  giacchè termini quali "Dio", "trascendenza", "anima", "immortale" sarebbero privi di senso in quanto fattualmente inverificabili. E il neopositivismo è soltanto una variante - forse la più nota assieme al riduzionismo, vale a dire  della concezione in base alla quale il tutto della realtà si ridurrebbe unicamente a quella realtà di cui parla o può parlare la scienza.

 In breve un credente non avrebbe potuto essere filosofo  poichè la filosofia  che di volta in volta è stata abbracciata e difesa come "la vera filosofia" negava la possibilità di quella realtà a cui il credente affidava i suoi impegni più alti. Impossibile, pertanto, qualsiasi riferimento alla trascendenza sulla base di concezioni radicalmente immanentistiche.

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"Tu non puoi essere cattolico. Non lo puoi essere perchè i tuoi interessi analitico-epistemologicvi ti hanno portato fuori dalla tradizione aristotelico-tomista; perchè senza metafisica non c'è teologia, non c'è senso e consistenza di teologia". Simile contestazione mi è stata rivolta, nei decenni trascorsi, più di una volta e in differenti occasioni -talvolta all'interno di serie e amichevoli dispute, talaltra come accusa,  un pò astiosa. In realtà, sebbene non sia stata l'unica, persiste nel mondo cattolico una tradizione che, dichiarandosi come la sola filosofia cristiana ortodossa, sostiene che c'è un sapere razionale con "tratti di oggettività e magari di incontrovertibilità" in grado di portare alla dimostrazione dell'esistenza di entità metaempiriche. La ragione, insomma,  dimostrerebbe l'esistenza di quell'Ente metaempirico che poi il cristiano individuerebbe nel Dio di Gesù Cristo. E' così che la metafisica, dimostrando l'esistenza di Dio,  appronterebbe i preambula fidei configurandosi come ancilla theologiae.

 Menti eccelse hanno elaborato, in contesti ed in epoche diverse,  una simile posizione e le loro argomentazioni non lasciano indifferenti. Eppure, per me da sempre è stato motivo di perplessità una filosofia che si presenta come ancilla della fede  ma che, in realtà, della fede vuole essere domina, poichè  la presunzione di molti sostenitori di siffatta filosofia è che, senza le loro dimostrazioni, senza una metafisica cognitiva trascedentista, la fede non sarebbe nient'altro che "una specie di puro impegno emotivo" , "una fabulazione più o meno vaga e mitica". In altri termini, si è preteso di affidare "al discorso breve e rigoroso del metafisico" "le sorti di una cosa tanto grande, quanto può esserlo una fede religiosa", il senso stesso della vita, il significato medesimo dell'intera civiltà cristiana".

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