Parliamo di emigrazione
e di immigrazione (1)
Ci è capitato di chiederci quanto il Blog sia stato, è e potrà ancora essere utile nell'incidere nelle problematiche "sociali", oltre che in quelle culturali, in un realtà piccola con tendenza a divenire sempre più piccola come è Contessa Entellina.
Dopo oltre un decennio di frequente presenza con testi interessanti e meno interessanti è in corso la riflessione su come rappresentare la realtà locale, su come raccontarla.
Una pagina, o se si vule una rubrica, sarà frequentemente presente nella rimodulazione che stiamo provando ad introdurre per i prssimi mesi. Tratterà con ottiica storica l'emigrazione dei contessioti dai primissimi giorni dello sbarco garibaldiino in Sicilia fino i nstri giorni, l'emigrazione dei nostri ragazzi muniti di diploma, laurea ed altro che la miopia dei governanti ed ammiinstratori pubblici non sanno trattenere qui.
Tratteremo anche del tema attualiissimo dell'immigrazione, quel fenomeno "umano" che finora non si è riusciti a bene regolamentare e che perlomeno ha fatto capire persino ai tanti cosa e quale sia l'approccio poliitico-culturale della Sinistra Politica rispetto alla Destra Politica rispetto ad un fenomeno che, comunque, va attentamente valutato e seguito.
Nell'incamminarci entro tematiche "sensibili" e "delicate" non escludiamo di incappare in lacune e sviste. Su queste possibili insufficienze -come sempre- saranno accolti i punti di vista diversi da parte di chiunque.
I nostri giorni sono quelli che corrispondono alla quarta e persino alla quinta generazione dei discendenti dei primi emigranti, quelli che dal 1860, subito dopo l'epopea garibaldina, lasciarono Contessa perchè da subito capirono che qui "tutto sarebbe cambiato nell'intento di non cambiare nulla"; costoro, e pure che partirno decenni dopo, hanno perso qualsiasi traccia dell'identità arbëreshe (e pure di quella italiana) nella lingua, nei costumi di vita e persino nei nomi personali (quelli che un tempo si trasmettevano da nonni a nipote).
Ci occuperemo della piuttosto recente, ma non tanto, emgrazine forzata dei giovani meridionali costretti ad emigrare, a lasciare l'Italia, pur'anche se muniti di importanti titoli di studio.
Il titolo della pagina resterà sempre quello qui sopra riportato. Si propone di sensibiilizzare i tanti che non mostrano di doversene occupare, seppure occupano postazioni di vita pubblica.
Una pagina, o se si vule una rubrica, sarà frequentemente presente nella rimodulazione che stiamo provando ad introdurre per i prssimi mesi. Tratterà con ottiica storica l'emigrazione dei contessioti dai primissimi giorni dello sbarco garibaldiino in Sicilia fino i nstri giorni, l'emigrazione dei nostri ragazzi muniti di diploma, laurea ed altro che la miopia dei governanti ed ammiinstratori pubblici non sanno trattenere qui.
Strada deserta del "centro" contessioto: Via Roma, strada adiacente l'antica piazza Umberto ormai adibita (per darle sensazioni di vitalità) a posteggio di autoveicoli. |
Nell'incamminarci entro tematiche "sensibili" e "delicate" non escludiamo di incappare in lacune e sviste. Su queste possibili insufficienze -come sempre- saranno accolti i punti di vista diversi da parte di chiunque.
I nostri giorni sono quelli che corrispondono alla quarta e persino alla quinta generazione dei discendenti dei primi emigranti, quelli che dal 1860, subito dopo l'epopea garibaldina, lasciarono Contessa perchè da subito capirono che qui "tutto sarebbe cambiato nell'intento di non cambiare nulla"; costoro, e pure che partirno decenni dopo, hanno perso qualsiasi traccia dell'identità arbëreshe (e pure di quella italiana) nella lingua, nei costumi di vita e persino nei nomi personali (quelli che un tempo si trasmettevano da nonni a nipote).
Ci occuperemo della piuttosto recente, ma non tanto, emgrazine forzata dei giovani meridionali costretti ad emigrare, a lasciare l'Italia, pur'anche se muniti di importanti titoli di studio.
Il titolo della pagina resterà sempre quello qui sopra riportato. Si propone di sensibiilizzare i tanti che non mostrano di doversene occupare, seppure occupano postazioni di vita pubblica.
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