Appunti e riflessioni sulla latinizzazione delle comunità arbëreshë (II)
Introduzione -
Le comunità albanesi inizialmente mantengono rapporti con il Patriarcato di Ochrida (Macedonia) da cui dipendono, ma nel secolo XVI sono costrette ad accettare la giurisdizione dei vescovi latini del luogo di residenza, solitamente contrari alla pratica del rito bizantino, nonostante l’attenzione e l’interesse della Santa Sede per la conservazione della tradizione bizantina.
Dopo il Concilio di Trento il clero ortodosso e le comunità di rito greco presenti in Italia perdono progressivamente i privilegi e le esenzioni, precedentemente goduti, ed in particolare sono sottoposti alla giurisdizione dei vescovi diocesani latini del luogo di residenza, che avviano un processo di latinizzazione, che porterà, anche per mancanza di clero bizantino, alla scomparsa del rito greco in molte comunità arbëreshë, entro il secolo XVII, salvo qualche tradizione religiosa rimasta ancora nel secolo successivo.
Un breve cenno di quanto avvenuto nell’Albania tarantina può risultare utile per meglio comprendere questo fenomeno.
Latinizzazione dell’Albania tarantina -
All’invito del vescovo di Taranto Brancaccio di passare al rito latino (visite pastorali nella seconda metà del secolo XVI), le comunità ed il clero dell’Albania tarantina rispondono che vogliono continuare a vivere secondo i costumi dei Greci, da buoni Cristiani.
Nei casali dell’Albania tarantina (parrocchie greche di Belvedere, Faggiano, Monteparano, Roccaforzata, S. Crispieri, S. Giorgio, S. Martino. S. Marzano), principalmente nei secoli XVI e XVII, il clero ed i fedeli sono infatti profondamente legati alla spiritualità bizantina, praticata in tutte le sue espressioni, di cui si riporta di seguito una breve sintesi dei principali aspetti:
- le chiese sono dedicate a santi orientali (a S. Marzano è dedicata a S. Venera)
- le feste sono celebrate secondo il calendario liturgico bizantino (non romano)
- la struttura e gli spazi liturgici delle chiese seguono i canoni della tradizione bizantina (iconostasi, ubicazione del fonte battesimale, ecc.)
- il clero celebra le funzioni religiose in lingua greca bizantina: Divina Liturgia
(con pane fermentato), Vespero, amministrazione dei sacramenti, Mattutino, Ore, Compieta, ecc.
- sono celebrate speciali ufficiature per la Madre di Dio (Theotokos), i santi,
i morti, ecc.
- arredi, suppellettili, paramenti, immagini sacre e libri liturgici sono della tradizione religiosa bizantina
- sono osservati digiuni infrasettimanali (mercoledi' e venerdi) e durante le quattro quaresime (Avvento, Pasqua, SS. Pietro e Paolo, Dormizione della Theotocos)
- il clero greco, solitamente uxorato, veste all’orientale con barba, capelli lunghi, tipico cappello cilindrico, ecc.
Passati sotto la giurisdizione dei vescovi latini, dal 1622 tutto ciò che è diverso dalla tradizione del rito romano viene purtroppo progressivamente proibito. L'abolizione della tradizione bizantina viene motivata da devianze del clero, ma non rimane certamente estranea la non conoscenza, da parte del clero latino, delle varie espressioni della tradizione orientale.
La tradizione religiosa bizantina tuttavia rimane viva e continua ad essere praticata in alcune comunità arbëreshë della Calabria e della Sicilia, dove ai fedeli ed al clero nel secolo scorso la Santa Sede riconosce l’autonomia ponendoli sotto la giurisdizione ecclesiastica delle due nuove diocesi di rito bizantino: Eparchia di Lungro costituita nel 1919 ed Eparchia di Piana degli Albanesi costituita nel 1937.
Colonie italo-albanesi in provincia di Taranto -
L’insieme delle colonie albanesi, sorte principalmente nel secolo XV nel territorio ad Est della città di Taranto, aventi comuni caratteristiche etnico-linguistiche (albanesi) e religiose (rito greco), costituiscono “Albania tarantina”.
L’area tarantina, attorno alla metà del 1500, comincia ad essere abitata da gente di stirpe albanese, che aveva in comune lingua, tradizione, costumi e fede religiosa (rito bizantino nelle parrocchie greco-albanesi, istituzioni ecclesiastiche proprie, non dipendenti da quella latina, ma da Ordinari orientali).
Dopo la venuta dei soldati albanesi in aiuto del re di Napoli contro i baroni filoangioini, le prime colonie albanesi si insediano nel territorio tarantino e precisamente nei casali di Faggiano, Monteparano, Rocca, S. Giorgio, San Martino e San Marzano. Successivamente vengono ripopolati anche i casali di Carosino, S. Crispieri, Monteiasi, Civitella, Belvedere, Montemesola, Fragagnano, Pulsano, Lizzano e Mennano.
Gli Albanesi di questi casali professano la religione cristiana secondo la tradizione del rito greco, parlano la lingua delle località di provenienza e praticano usi e costumi, molto differenti da quelli dei casali circostanti.
Anche a Taranto nel XVI secolo (visita di Brancaccio nel 1578) è presente una comunità albanese, che per le funzioni religiose frequenta la chiesa di S. Paolo, già da tempo usata dai fedeli di rito greco, con iconostasi a tre porte e con immagini sacre della tradizione orientale. Il processo di latinizzazione e l’emigrazione degli albanesi residenti a Taranto verso i casali fa scomparire il rito greco nel capoluogo tarantino nel secolo XV, presente ancora nell’antico monastero basiliano di S. Vito.
Il cardinale M. A. Colonna, arcivescovo di Taranto (1560-1568) prende in considerazione la questione degli Albanesi dell’Albania tarantina (peculiare identità etnica, linguistica e religiosa) in un Sinodo diocesano, tenuto a Grottaglie, al quale invita parroci greci e latini delle colonie albanesi ed i vescovi di Mottola, Acerra, Monopoli e Castellaneta.
Lelio Brancaccio, arcivescovo di Taranto dal 1574 fino al 1599, compie una visita pastorale nelle comunità albanesi della sua diocesi (1577-1578) e nel sinodo, tenuto a Taranto nel 1595, in attuazione delle norme del Concilio di Trento,adotta delle disposizioni che cambiano rito e tradizioni degli Albanesi, ribadendo la sua autorità ecclesiastica esclusiva e quindi ponendo fine alle viste periodiche di prelati del Patriarcato di Costantinopoli, avviando in pratica un processo di latinizzazione delle colonie albanesi, che, progressivamente adottano il rito latino, dando origine a comunità bilingui sino alla fine dell'ottocento, quando anche la lingua albanese si spegne, eccetto a San Marzano, che ancor oggi conserva tracce della cultura albanese (la lingua è ancora diffusamente parlata dai più anziani e compresa da molti).
L'Albania Tarantina è composta, nel periodo successivo al Concilio di Trento ed al tempo della visita di Mons. Brancaccio, dalle parrocchie di Belvedere, Monteparano, Faggiano, Roccaforzata, S. Crispieri, S. Giorgio, S. Martino, S. Marzano e dalle comunità di Carosino e di Civitella che, sebbene prive di istituzioni ecclesiastiche proprie, praticano tuttavia il rito bizantino.
Gli Albanesi di Fragagnano per incompatibilità con i latini sono mandati altrove; Monteparano nasce dal trasferimento di cinque famiglie albanesi già dimoranti nel feudo di Fragagnano.
Nell’Albania Tarantina il rito greco viene praticato, nonostante l’ostilità del clero e dei fedeli di rito latino, anche dopo la visita pastorale del vescovo di Taranto (1577-78), che invita clero e fedeli di ogni parrocchia greca a passare al rito latino, considerando scismatici quelli che seguivano il rito greco.
Faggiano, come San Marzano, conserva alcune delle espressioni del patrimonio culturale albanese fino ai primi anni del '900 (canti, danze, banchetto nuziale).
(Latinizzazione II - continua)
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