Tomaso Montanari (1971), professore ordinario di Storia dell’arte moderna all’università di Napoli Federico II.
È editorialista per la Repubblica e vicepresidente di Libertà e Giustizia.
Ha pubblicato un e-book con Micro-Mega per spiegare su n. 8 interventi le ragioni del NO al Referendum del 4 Dicembre.
I° - La Questione Omerica
II° - Il Capo e la Pistola
III° - Decidere o Comandare ?
---------------------------------------------------------------------------------
I° - La Questione Omerica
II° - Il Capo e la Pistola
III° - Decidere o Comandare ?
---------------------------------------------------------------------------------
IV
LA DITTATURA DELLA MAGGIORANZA
Se vogliamo davvero capire l’intenzione di un testo è importante
studiare come è nato.
E in questa riforma della Costituzione il tratto comune tra il
merito del testo e il metodo della sua approvazione è la prepotenza
della maggioranza.
È vero, l’articolo 138 della Costituzione prevede che la Costituzione
stessa possa essere cambiata con una maggioranza assoluta
dei componenti di ciascuna Camera. E che in questo caso (cioè
nel caso che non si raggiungano i due terzi dei componenti) vi possa
essere un referendum popolare: di fatto il 4 dicembre votiamo
un referendum oppositivo che ha luogo perché il Parlamento non
ha raggiunto la soglia di un consenso più largo.
Ma la Costituzione è stata scritta pensando ad un sistema elettorale
proporzionale: che fu esplicitamente auspicato in un ordine
del giorno della Costituente.
Quando, nel 1993, si è passati ad un sistema maggioritario,
l’articolo 138 metteva potenzialmente nelle mani della maggioranza
politica la Costituzione stessa.
E qui qualcosa si è rotto.
Perché si poteva reagire in due modi a questa svolta: si poteva
fare i furbi, applicando il 138 alla lettera infischiandosene del
suo spirito (scelta formalmente legittima, ma moralmente e politicamente
indegna), oppure si poteva impegnarsi a rispettare
quello spirito. E quello spirito è importante per una ragione semplice:
perché metteva la Costituzione sopra le parti. Ne faceva
un elemento che unisce.
Oggi, invece, il Paese è stato condotto a
spaccarsi in due proprio sulla Costituzione. Ed è proprio questo
il più imperdonabile errore di Giorgio Napolitano: aver diviso proprio dove avrebbe dovuto unire, aver lacerato l’Italia invece
di ricucirla.
Il più antico precedente di questa scelta è terribilmente eloquente.
Le prime elezioni maggioritarie della storia italiana videro
la vittoria di Forza Italia, Lega e Alleanza Nazionale. Uno
shock democratico, reso drammatico dal proposito di quella Destra,
vecchia e nuova, di mettere subito le mani sulla Carta costituzionale,
e di farlo a maggioranza.
Fu allora che un costituente
ancora in vita – e non uno qualunque: Giuseppe Dossetti – scrisse
questa memorabile lettera:
Bazzano (ospedale), 15 aprile 1994
Alla cortese attenzione del signor Sindaco di Bologna,
La ringrazio per il suo cortese invito. Sono molto dispiaciuto che
un improvviso aggravamento delle mie condizioni di salute mi impedisca
di partecipare di persona alle prossime celebrazioni della
Liberazione. Pur nel costante desiderio di completa e unanime pacificazione
nazionale, che ha sempre ispirato tutta la mia vita e che
tuttora fermamente mi ispira, tuttavia non posso non rilevare che
attualmente i propositi delle destre (destre palesi ed occulte) non
concernono soltanto il programma del futuro governo, ma mirerebbero
ad una modificazione frettolosa e inconsulta del patto fondamentale
del nostro popolo, nei suoi presupposti supremi in nessun
modo modificabili.
Tali presupposti non sono solo civilmente vitali ma anche, a mio
avviso, spiritualmente inderogabili per un cristiano: per chi come
me – per pluridecennale scelta di vita e per età molto avanzata – si
sente sempre più al di fuori di ogni parte e distaccato da ogni sentimento
mondano e fisso alla Realtà ultraterrena.
Ciò però non può
togliere che anch’io debba partecipare alle emergenze maggiori
dei fratelli del mio tempo. Perciò, signor Sindaco, mi senta profondamente
solidale con gli intenti unitari che quest’anno, ancor più, le celebrazioni indette vogliono rivestire.
Auspico in questo senso
che tali celebrazioni siano le più unitarie e limpide possibili.
Auspico ancora la sollecita promozione, a tutti i livelli, dalle minime
frazioni alle città, di comitati impegnati e organicamente collegati,
per una difesa dei valori fondamentali espressi dalla nostra
Costituzione: comitati che dovrebbero essere promossi non solo
per riconfermare ideali e dottrine, ma anche per un’azione veramente
fattiva e inventivamente graduale, che sperimenti tutti i
mezzi possibili, non violenti, ma sempre più energici, rispetto allo
scopo che l’emergenza attuale pone categoricamente a tutti gli uomini
di coscienza.
Si tratta cioè di impedire a una maggioranza che non ha ricevuto
alcun mandato al riguardo, di mutare la nostra Costituzione: si arrogherebbe
un compito che solo una nuova Assemblea Costituente,
programmaticamente eletta per questo, e a sistema proporzionale,
potrebbe assolvere come veramente rappresentativa di tutto il
nostro popolo. Altrimenti sarebbe un autentico colpo di Stato.
Con molta cordialità,
suo Giuseppe Dossetti
Il punto di vista di Dossetti era chiarissimo: usare l’articolo di
garanzia di una Costituzione scritta avendo in mente il sistema
proporzionale per cambiarla con la forza di una maggioranza politica
momentanea era un colpo di Stato. Nel drammatico e grottesco
gioco delle parti che ha minato le fondamenta della democrazia
italiana negli ultimi quindici anni a fare un simile «colpo di
Stato» non fu la Destra, ma la Sinistra: quando nel 2001 cambiò
a maggioranza (e malamente) il Titolo V della Costituzione in
funzione antileghista, andando ad un referendum costituzionale
che vide un’affluenza irrisoria (34,1 %) e la vittoria dei Sì.
La Sinistra
aveva dato un pessimo esempio, e Berlusconi cercò di seguirlo
nel 2006, quando il referendum riguardò una riforma ben altrimenti
grave, e in certa misura sovrapponibile a quella di oggi: ma
allora l’affluenza fu del 52,4 %, e vinse il No.
Il Centro-sinistra sembrò aver imparato la lezione, e, alla sua
nascita, il Partito Democratico si dette un Manifesto dei Valori
(ancora perfettamente vigente e facilmente consultabile sul sito
web dello stesso Pd) in cui si legge che «La sicurezza dei diritti e
delle libertà di ognuno risiede nella stabilità della Costituzione,
nella certezza che essa non è alla mercé della maggioranza del
momento, e resta la fonte di legittimazione e di limitazione di tutti
i poteri. Il Partito Democratico si impegna perciò a ristabilire la
supremazia della Costituzione e a difenderne la stabilità, a metter
fine alla stagione delle riforme costituzionali imposte a colpi di
maggioranza, anche promuovendo le necessarie modifiche al
procedimento di revisione costituzionale».
Sono parole chiarissime, profonde e ispirate. Parole che preludevano
alla modifica, in senso di maggior tutela, dello stesso articolo
138. E infatti questa proposta era stata avanzata già nel febbraio del
1995, quando fu presentato un disegno di legge costituzionale che
introduceva l’obbligo dei due terzi di voti per ogni revisione costituzionale,
e che prevedeva che il referendum si potesse chiedere sempre,
e che fosse «indetto per ciascuna delle disposizioni sottoposta a
revisione, o per gruppi di disposizioni tra loro collegate per identità
di materia».
Tra i firmatari di quel disegno di legge figuravano anche
Giorgio Napolitano e Sergio Mattarella: che essendo allora
nella minoranza sentivano l’esigenza di impedire alla maggioranza
di mettere le mani sulla Costituzione. E che essendo ora in maggioranza
hanno cambiato radicalmente idea.
Ora è infatti il Pd a «imporre»
una riforma costituzionale «a colpi di maggioranza».
E qua davvero ci si chiede come sia possibile che lo stesso Partito
violi deliberatamente questo impegno solenne, liberamente e
pubblicamente assunto.
La situazione è oggi tanto grave che è legittimo
dire, usando le parole dello stesso Partito Democratico,
che – se vincesse il Sì – sarebbero in pericolo la «sicurezza dei diritti»
e, addirittura, «la libertà». Ma la situazione è ancora più grave. Perché la riforma RenziBoschi
(o riforma Napolitano, come invita a chiamarla lo stesso
presidente del Consiglio) è stata approvata a colpi di maggioranza
da una maggioranza abusiva: abusiva perché illegittima, e illegittima
perché costituita in modo incostituzionale.
Lo ha solennemente
proclamato la Corte Costituzionale nella sentenza numero
1 del 2014, quella che ha dichiarato incostituzionale il cosiddetto
Porcellum, cioè la legge che ha generato le attuali camere.
La Corte ha ritenuto fondato il parere di chi vedeva «una oggettiva
e grave alterazione della rappresentanza democratica»
nelle attuali Camere. E uno dei motivi di questo giudizio severissimo
era proprio il modo in cui quella legge costruisce una maggioranza
diversa rispetto al verdetto del voto popolare.
La Corte
ha aggiunto che le Camere potevano comunque restare in carica
per il principio di continuità dello Stato: ma chi potrebbe credere
che riscrivere più di un terzo degli articoli della Costituzione sia
ordinaria amministrazione?
Ebbene, usare il margine garantito da una maggioranza incostituzionale
per cambiare la Costituzione è come entrare in una
casa con una chiave duplicata illegalmente e, una volta dentro,
cambiare la serratura.
A rimanere chiusa fuori, questa volta, è la democrazia
Nessun commento:
Posta un commento