La giustizia nella Sicilia dei baroni.
Nella Sicilia della seconda metà del quattrocento (quando gli arbëreshe di Contessa furono accolti nei feudi dei Peralta-Cardona) il sistema giudiziario sapeva più di barbarico che di giuridicismo romano.

Da questo provvedimento vennero fuori i cosiddetti "contratti di tregua" o di pace che venivano giurati davanti ad un notaio tra le famiglie eminenti e le famiglie che da essa trovavano sostentamento.
Contenuto centrale di questi "contratti" era di "non offendersi e non testimoniare in giudizio ad invicem, anche se obbligati dal capitano di giustizia".
I sudditi dei feudi cadevano facilmente in rovina da quel barbaro sistema che irretiva la povera gente con procedure e confische arbitrarie, per motivi futili. La povera gente sapendo del carcere preventivo -che durava fino a cinque anni- e della ferocia della tortura, anche se di condotta incensurata, preferiva rimanere contumace e consentire che si producesse automaticamente la sentenza di bando e di forgiudica (da cui scaturiva la parziale o totale confisca dei beni).
Lo stato di contumacia inevitabilmente alimentava sul piano sociale infamia e vergogna sulla persona e sulla famiglia di questi.

Il bando rendeva il forgiudicato infame; gli era interdetto l'uso del fuoco e dell'acqua e veniva dichiarato "nemico de paese". Chiunque era abilitato ad ucciderlo.
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