Il Tribunale della inquisizione
Secondo l'ordinamento feudale la custodia della fede spettava ai vescovi.
Fino al XVI secolo in Sicilia non operò il Santo Uffizio e gli eretici (in questa espressione vi rientravano varie categorie di uomini) perseguitati dai vescovi, spesso come delegati del Sant'Uffizio di Roma.
Secondo le leggi risalenti a re Ruggero e Federico II, i beni confiscati agli eretici venivano devoluti allo Stato.
Gli apostati dalla fede cattolica esecriamo,
inseguiamo con pene, li spogliamo di tutti i beni
e stringiamo con le leggi i naufraghi della
professione dei voti, li dichiariamo insuccessibili,
privandoli di ogni diritto.
Nella Costituzione di Federico II (a. 1231) la primitiva pena del taglio
della lingua fu sostituita da quella del rogo.
Ma si trattava dell'apostasia e dell'abbandono
dei voti.
Nel XVI secolo, la religione era diventata materia di consueta conversazione ma quando il Papato capì che quei discorsi annunziavano la Riforma Protestante attivò una pesante reazione attraverso l'Inquisizione Romana, l'Indice e la Potenza de Padri Gesuiti.
Le persecuzioni si abbatterono su tutto e tutti, contro gli atti e contro le parole.
Ferdinando il Cattolico, eccessivo nelle sue manifestazioni religiose, istituì in Sicilia il Tribunale del Sant'Uffizio per distruggere gli infedeli (a. 1487-1513), ma ottenuto l'appoggio dell'Inquisizione Romana, il Tribunale diventò arma politica potentissima. Perciò l'Inquisizione di Sicilia fu quasi sempre spagnola e i vicerè, assumendo la carica, dovevano giurare di favorire il Sant'Uffizio e li ministri suoi e castigare gli eretici e di non dare nè concedere loro uffici pubblici, nè riceverli in casa e compagnia.
La sua Storia generale è nota e detestata, come i suo nefasti in Spagna, in Napoli e in Palermo; ma è poco nota la sua influenza nei comuni minori della Sicilia.
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