Caro Mimmo,
Se ogni accadimento va contestualizzato, quello relativo al ritus praestantior deve essere letto all'interno dello sconvolgimento prodotto nella Chiesa di Roma dal Protestantesimo.
Tutto il Concilio di Trento è una puntuale risposta alle tesi di Lutero, e non ha prodotto solo anticorpi ma una ricapitolazione dell'intera dottrina cattolica, sulla quale poggia tutt'ora il vetusto edificio della Chiesa di Roma.
Il nostro "particulare" deve essere letto all'interno del grande disegno della Chiesa teso a darsi strutture prima inesistenti, ma, da Lutero in poi, necessarie alla propria sopravvivenza.
Il caso Buzuku, su cui ti mando uno stralcio di un mio studio, è sintomatico dell'epoca.
Cordialità,
zef
^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^
La
dottrina sul sacrificio della Messa
Nella sessione XXII, del 17 settembre 1562, a sette anni dalla
pubblicazione del Buzuku, il Concilio approvò la Doctrina de S.tae Missae sacrificio. Il capitolo VIII, De Missa vulgari lingua passim non celebranda, lascia intuire che nel mondo cattolico avesse
messo radici l’uso di celebrare nella lingua del popolo.
Tale prassi non viene proibita ovunque,
come suggerisce l’avverbio passim,[1]
e soprattutto non avrebbe avuto senso proibirla nei paesi di frontiera tra
culture diverse.
Una parte dei Padri conciliari, pertanto,
insisteva per l’adozione universale del latino, mentre il contrasto di una
parte non trascurabile di essi, e soprattutto del vescovo della città dove si
teneva il Concilio[3],
non permise che si prendessero misure contro l’uso delle lingue materne.
Fu così che il Concilio lasciò aperti gli
spazi alle tradizioni linguistiche già consolidate: pensiamo alla tradizione
glagolitica e alle Comunità orientali unite a Roma come gli Arbëreshë, oltre ad altre forme di
liturgie latine, ma non romane, come l’ambrosiana a Milano, la lionese in Francia,
la mozarabica in Spagna, la gallicana-normanna in Sicilia, ecc. Inoltre il Concilio, a più riprese obbliga i
vescovi e i pastori d’anime a spiegare, vulgari
lingua, l’efficacia e l’utilità dei sacramenti prima di amministrarli. E, “ove se ne appalesasse il bisogno e fosse
possibile, di amministrarli anche in lingua volgare”.[4] Li obbliga altresì, anche
a mezzo di loro delegati, a tenere la predica nella lingua del popolo sulla
scorta dei passi neotestamentari letti durante la Messa, almeno nei giorni di
domenica e di festa.
Nell’area albanese, dove la fede cattolica
risultava minoritaria rispetto all’Ortodossia greca e slava e di fronte al
nuovo pericolo di islamizzazione di massa, ragioni pastorali consigliavano una
prima spiegazione dei passi scritturistici neotestamentari attraverso la
lettura degli stessi testi in lingua materna, mentre il canone e le parti fisse
della Messa rimanevano in latino: nel Messale,
infatti, come abbiamo visto, queste parti mancano. Grazie a Buzuku, pertanto,
il popolo albanese ebbe un testo organico in lingua propria per la gran parte
dell’ufficiatura sacra e per i rudimenta della dottrina cristiana.
Le istruzioni successive al Concilio
restringeranno il campo alle lingue locali, attraverso l’opera dei vescovi,
obbligati d’ora in avanti a risiedere nelle proprie diocesi e a comportarsi
come “delegati” della Sede Apostolica romana.
Chiuso il Concilio, iniziò l’opera della sua
applicazione, applicazione sempre più restrittiva da parte del Papato. Così, con la disposizione Dominici gregis custodiae del 24 maggio
1564, vennero emanate le 10 Regole[5] sui libri proibiti.
L’opera
di Buzuku, almeno per i testi scitturistici, veniva a ricadere nel dominio
delle regole III e IV.
Ciò non vuol dire, però, che libri, come il nostro Messale, stampati prima o durante il Concilio, non possano più
usarsi, ma il permetterli ora spetta ai vescovi e/o all’Inquisizione.
Si
rafforza, così, l’opera della censura preventiva o successiva sulla stampa
attraverso la pubblicazione e l’aggiornamento periodico dell’Indice, che avrà lo scopo dichiarato di
mantenere pura l’ortodossia cattolica contro il Protestantesimo e contro l’uso
divinatorio, o comunque improprio, della Bibbia.
Buzuku
dimenticato
Il libro
di Buzuku va considerato come il culmine di un genere letterario-liturgico, che
si ha fondato motivo di ritenere già coltivato, in manoscritto, tra gli Albanesi. L’uso delle
lingue materne in ambito ecclesiastico, certo non generalizzato, era iniziato
sin dal XII secolo nell’Europa Occidentale.
Non c’è motivo di escludere che lo
stesso avvenisse anche nell’Europa Orientale, dove, peraltro, l’uso dello slavo
ecclesiastico, in sostituzione del greco o del latino, data sin dal IX secolo[6].
A
ulteriore testimonianza ricordiamo i casi già citati presso i croati e i serbi
cattolici, ma anche presso gli albanesi con la Formula del Battesimo [7]
del 1462, per i cattolico-romani, e
con il Tropario e il Vangelo di Pasqua [8]
del sec. XIV, per i bizantini.
L’invenzione della stampa a caratteri mobili facilitò la diffusione dei
testi, sicché al tempo del Buzuku, si dava sempre più importanza
all’insegnamento religioso del popolo attraverso la parola scritta e stampata:
la Bibbia tradotta al primo posto, seguita dalla Messa [9].
Le
proibizioni che anche prima del Concilio si levavano di volta in volta nei
riguardi della lettura della Bibbia in lingua volgare, ancorché somiglianti
alle grida di Manzoni, erano dettate dall’abuso che se ne faceva.
Senza la lezione di Lutero, la reazione della
Chiesa Romana - in un’epoca in cui il Papato è ancora implicato in ambizioni
politiche e succube del relativismo insito nell’umanesimo rinascimentale -
forse non sarebbe stata così forte e non avrebbe condotto a serie riforme, come
auspicato dagli spiriti più avvertiti,.
Non v’è
dubbio che la chiusura della Chiesa quasi entro un fortilizio, ai fini di
salvaguardare quanti le erano rimasti fedeli da ogni contaminazione col
Protestantesimo, richiedeva regole precise e riforme non indifferenti in ambito
cattolico.
Volute
dal Concilio, esse furono esplicitate a partire da Pio IV.
Tale
atteggiamento ebbe come immediata conseguenza l’uniformità dei libri liturgici,
resa universalmente possibile dal rapido sviluppo dell’arte tipografica.
Molte
opere, pertanto, come quella di Buzuku, caddero in disuso. Non perché poste
all’Indice, ma perché non complete né conformi all’incalzare delle edizioni
tipiche[10] , ufficiali per tutto la Chiesa di rito
latino-romano, rito che, uscito rafforzato dal concilio, primeggiava ed erodeva
gli altri riti, seppur latini anch’essi.
Le nuove
edizioni, ovviamente in latino, erano in tirature praticamente illimitate
e facilmente accessibili, cosicché dove
non si aveva una tradizione forte e incontestata della lingua materna, il
latino vinceva e soffocava le tradizioni e le lingue locali nella liturgia.
Tra le
cause che portarono all’interruzione dell’uso del Messale, alcune già messe in luce da Çabej, elenchiamo: il Catechismus ex decreto concilii tridentini, o Catechismo Romano, del 1556; il Breviarium
romanum del 1568; il Missale Romanum, del 1570; il Nuovo
Calendario del 1582; il Martyrologium
Romanum del 1584; il Pontificale
Romanum del 1595/96; il Rituale
Romanum del 1614.
ll
fattore, però, che maggiormente ci sembra aver determinato il disuso di testi e
traduzioni precedenti è la
rivisitazione, peraltro maldestra, e destinata di lì a poco, nel 1592, ad
essere revisionata, della Vulgata di san Girolamo[11].
Per quel che
riguarda propriamente il Messale,
nonostante il pensiero e il desiderio dell’Autore fosse la divulgazione
nell’intera area albanese, per cause contingenti l’adozione rimase limitata
alla comunità degli albanesi fuorusciti e cessò con l’assimilazione di tale
comunità da parte delle popolazioni italiane viciniori.
Seppur
delle copie abbiano potuto raggiungere l’Albania, i vari fattori sopra
descritti e la situazione catastrofica dei cattolici in quel paese, non ne
avranno potuto permettere la diffusione desiderata.
Non va
dimenticato, infatti, che nelle regioni albanesi occupate, il ruolo
dell’Inquisizione, più che da Roma lontana, era giocato dal potere
islamico-ottomano coadiuvato dalla Chiesa Ortodossa greca e slava.
Tuttavia, dal modo con cui, poi, si è sviluppata la lingua scritta,
possiamo arguire che nell’ambito del clero, soprattutto fra i soggetti
temporaneamente fuori patria per studi o per ragioni pastorali, l’opera di
Buzuku sia stata adottata e conservata per un certo periodo, fungendo da
prototipo per gli autori successivi.
(tratto da: Zef Chiaramonte, Çështja e gjuhëve amëtare te Shërbesa e shenjtë…, Prishtinë, 2015)
Etsi Missa magnam contineat populi fidelis
eruditionem, non tamen espedire visum est Patribus, ut vulgari passim lingua celebraretur (can, 9).
Quamobrem, retento ubique cuiusque ecclesiae antiquo et a sancta Romana
Ecclesia, omnium ecclesiarum matre et magistra, probato ritu, ne oves Christi
esuriant, neve "parvuli panem petant et non sit, qui frangat eis"
(cf. Thr 4,4): mandat sancta Synodus pastoribus et singulis curam animarum
gerentibus, ut frequenter inter Missarum celebrationem vel per se vel
per alios, ex his,.
quae in Missa leguntur, exponant atque inter cetera sanctissimi huius
sacrificii mysterium aliquod declarent, diebus praesertim Dominicis et festis.(Denzinger,1749).
31. De sanctissimo missae sacrificio, Canon IX,
“Si quis dixerit ... lingua
tantum vulgari missam celebrari debere ... anathema sit” (Cfr. Conciliorum oecumenicorum decreta , p.755).
32. Così protestava in Concilio il Card. Madruzzo, vescovo di
Trento: “Non posso soffrire che si
consideri alla stregua degli abusi la traduzione della Bibbia nella nostra
lingua materna. Che non direbbero i nostri avversari... se venissero a sapere
che noi vogliamo togliere dalle mani degli uomini quella Scrittura santa che
così spesso San Paolo prescrive di non separare mai dalla nostra bocca! Quello
che io so, è che noi abbiamo imparato da nostra madre, nella nostra lingua
tedesca, l’orazione domenicale, il simbolo della fede e la
maggior parte delle altre verità religiose che
tutti i padri di famiglia sono usi, in Germania, insegnare ai loro figli:
e da questa formazione religiosa, a
memoria d’uomo, non è mai venuto nessuno scandalo. Piacesse al cielo che mai
professori di lingua latina e greca fossero venuti in Germania: saremmo indenni
dai guai presenti e la povera Germania non sarebbe caduta sì miserevolmente in
tante eresie. Perché le eresie e i semi perversi non sono mai usciti da uomini
privi d’istruzione e che si esprimono nella lingua materna: essi vengono da
coloro che si proclamano eruditi. Per questo, padri, ve ne prego, non vi venga
in mente non dico di annoverare una tale pratica tra gli abusi, ma neanche di
discutere se si può in un caso come questo parlare di abuso”. Krh. Storia dei concili ecumenici, vep. cit.
fq. 347.
“Ut fidelis populus ad suscipienda sacramenta
maiore cum reverentia atque animi devotione accedat: paecipit sancta synodus
episcopis omnibu, ut non solum, cum haec per se ipsos erunt populo
administranda,prius illorum vim et usum pro
suscipientium captu explicent, sed etiam idem a singulis parochis pie
prudenterque, etiam lingua vernacula, si opus sit et commode fieri poterit,
servari studeant, iuxta formam a santa synodo in catechesi singulis sacramentis
praescribendam, quam episcopi in vulgarem linguam fideliter verti atque
a parochis omnibus populo exponi curabunt; necnon ut inter missarum solemnia
aut divinorum celebrationem sacra eloquia et salutis monita eadem vernacula
lingua singulis diebus festis vel solemnibus explanent, eademque in omnium
cordibus (postpositis inutilibus qaestionibus) inserere, atque eos in lege Domini
erudire studeant”. (Cfr. Conciliorum
Oecumenicorum Decreta, p. 764).
34. Ann. 1564; Pius IV; Regulae Trident. de
libris prohibitis: “Regulae Tridentinae” de libris prohibitis, canfirmatae in
Const. “Dominici gregis custodiae”, 24 Mart, 1564.
(omissis)
Regula
III: Versiones scriptorum etiam ecclesiasticorum, quae hactenus editae sunt
a damnatis auctoribus, modo nihil
contra sanam doctrinam contineant, permittuntur. Librorum autem Veteris
Testamenti versiones viris tantum doctis et piis iudicio episcopi concedi
poterunt, modo huiusmodi versionibus tamquam elucidationibus vulgatae editionis
ad intelligendam sacram Scripturam, non autem tamquam sano textu utantur.
Versiones vero Novi Testamenti ab auctoribus primae classis huius Indicis
facta
nemini concedantur, quia utilitatis parum, periculi vero plurimum lectoribus ex earum lectione manare
solet. Si quae vero annotationes cum huiusmodi quae permittuntur versionibus
vel cum vulgata editione circumferuntur, expuntictis locis suspectis a
facultate theologica alicuius
Universitatis catholicae aut Inquisitione generali, permitti eisdem
poterunt, quibus et versiones ... facta nemini concedantur, quia utilitatis parum, periculi vero plurimum lectoribus ex earum lectione manare
solet. Si quae vero annotationes cum huiusmodi quae permittuntur versionibus
vel cum vulgata editione circumferuntur, expuntictis locis suspectis a
facultate theologica alicuius
Universitatis catholicae aut Inquisitione generali, permitti eisdem
poterunt, quibus et versiones ... (Denzinger, 1853)
Regula IV:
Cum experimento manifestum sit, si sacra Biblia vulgari lingua passim sine
discrimine permittantur, plus inde ob hominum temeritatem detrimenti quam
utilitatis oriri, hac in parte iudicio episcopi aut inquisitoris stetur, ut cum
consilio parochi vel confessarii Bibliorum a catholicis auctoribus
Regula IV:
Cum experimento manifestum sit, si sacra Biblia vulgari lingua passim sine
discrimine permittantur, plus inde ob hominum temeritatem detrimenti quam
utilitatis oriri, hac in parte iudicio episcopi aut inquisitoris stetur, ut cum
consilio parochi vel confessarii Bibliorum a catholicis auctoribus
versorum
lectionem in vulgari lingua eis concedere possint, quos intellexerint ex
huismodi lectione non damnum, sed fidei atque pietatis augmentum capere
potest (Denzinger,1854).
35. Uno splendido esempio è il Vangelo
di Miroslav , codice miniato del 1182, conservato al Museo Nazionale di
Serbia a Belgrado.
36. Inserita in una circolare in latino dell’acivescovo di Durazzo Paolo
Angelo. Cfr. Codice 1107, F .
3-4 Fondo Ashbumhamiano, cat. Cesare Paoli, nella Biblioteca
Medicea-Laurenziana di Firenze.
37. Cfr.Borgia 1930.
38. Bihlmeyer-Tuechle 1960, vol. III.,
p.147.
39. Con l’invenzione della
stampa anche le Chiese ortodosse imposero edizioni tipiche. Venezia, che
risulta il luogo più accreditato per collocare la stampa del Messale, fu il centro di questa
attività a favore di greci, slavi, armeni, ma anche degli ebrei.
40. Si tratta dell’edizione detta Sisto
Clementina
Nessun commento:
Posta un commento