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venerdì 25 novembre 2016

Il ritus praestantior. Va letto all'interno dello sconvolgimento prodotto nella Chiesa da Lutero ... ... di Zef Chiaramonte



Caro Mimmo,
Se ogni accadimento va contestualizzato, quello relativo al ritus praestantior deve essere letto all'interno dello sconvolgimento prodotto nella Chiesa di Roma dal Protestantesimo.
Tutto il Concilio di Trento è una puntuale risposta alle tesi di Lutero, e non ha prodotto solo anticorpi ma una ricapitolazione dell'intera dottrina cattolica, sulla quale poggia tutt'ora il vetusto edificio della Chiesa di Roma.
Il nostro "particulare" deve essere letto all'interno del grande disegno della Chiesa teso a darsi strutture prima inesistenti, ma, da Lutero in poi, necessarie alla propria sopravvivenza.
Il caso Buzuku, su cui ti mando uno stralcio di un mio studio, è sintomatico dell'epoca.
Cordialità,
zef  
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La dottrina sul sacrificio della Messa
    Nella sessione XXII, del 17 settembre 1562, a sette anni dalla pubblicazione del Buzuku, il Concilio approvò la Doctrina de S.tae Missae sacrificio. Il capitolo VIII, De Missa vulgari lingua passim non celebranda,  lascia intuire che nel mondo cattolico avesse messo radici l’uso di celebrare nella lingua del popolo.

    Tale prassi non viene proibita ovunque, come suggerisce l’avverbio  passim,[1] e soprattutto non avrebbe avuto senso proibirla nei paesi di frontiera tra culture diverse.
  Per il Cattolicesimo, nella realtà di quel particolare contesto, il problema della lingua liturgica rivestiva un’assoluta importanza dottrinale e teologica, tesa a ribadire il concetto dell’ex opere operato, cioè che l’efficacia della Messa e dei sacramenti non dipende dall’uso della lingua compresa dai fedeli, come, invece, affermava la Riforma Protestante [2].
     Una parte dei Padri conciliari, pertanto, insisteva per l’adozione universale del latino, mentre il contrasto di una parte non trascurabile di essi, e soprattutto del vescovo della città dove si teneva il Concilio[3], non permise che si prendessero misure contro l’uso delle lingue materne.
     Fu così che il Concilio lasciò aperti gli spazi alle tradizioni linguistiche già consolidate: pensiamo alla tradizione glagolitica e alle Comunità orientali unite a Roma  come gli Arbëreshë, oltre ad altre forme di liturgie latine, ma non romane, come l’ambrosiana a Milano, la lionese in Francia, la mozarabica in Spagna, la gallicana-normanna in Sicilia, ecc.  Inoltre il Concilio, a più riprese obbliga i vescovi e i pastori d’anime a spiegare, vulgari lingua, l’efficacia e l’utilità dei sacramenti prima di amministrarli.  E, “ove se ne appalesasse il bisogno e fosse possibile, di amministrarli anche in lingua volgare”.[4] Li obbliga altresì, anche a mezzo di loro delegati, a tenere la predica nella lingua del popolo sulla scorta dei passi neotestamentari letti durante la Messa, almeno nei giorni di domenica e di festa.
     Nell’area albanese, dove la fede cattolica risultava minoritaria rispetto all’Ortodossia greca e slava e di fronte al nuovo pericolo di islamizzazione di massa, ragioni pastorali consigliavano una prima spiegazione dei passi scritturistici neotestamentari attraverso la lettura degli stessi testi in lingua materna, mentre il canone e le parti fisse della Messa rimanevano in latino: nel Messale, infatti, come abbiamo visto, queste parti mancano. Grazie a Buzuku, pertanto, il popolo albanese ebbe un testo organico in lingua propria per la gran parte dell’ufficiatura sacra e per i rudimenta della dottrina cristiana.
     Le istruzioni successive al Concilio restringeranno il campo alle lingue locali, attraverso l’opera dei vescovi, obbligati d’ora in avanti a risiedere nelle proprie diocesi e a comportarsi come “delegati” della Sede Apostolica romana.
  Chiuso il Concilio, iniziò l’opera della sua applicazione, applicazione sempre più restrittiva da parte del Papato.     Così, con la disposizione Dominici gregis custodiae del 24 maggio 1564, vennero emanate le 10 Regole[5] sui libri proibiti.
L’opera di Buzuku, almeno per i testi scitturistici, veniva a ricadere nel dominio delle regole III e IV. 
 Ciò non vuol dire, però, che  libri, come il nostro Messale, stampati prima o durante il Concilio, non possano più usarsi, ma il permetterli ora spetta ai vescovi e/o all’Inquisizione.
     Si rafforza, così, l’opera della censura preventiva o successiva sulla stampa attraverso la pubblicazione e l’aggiornamento periodico dell’Indice, che avrà lo scopo dichiarato di mantenere pura l’ortodossia cattolica contro il Protestantesimo e contro l’uso divinatorio, o comunque improprio, della Bibbia.

Buzuku dimenticato
     Il libro di Buzuku va considerato come il culmine di un genere letterario-liturgico, che si ha fondato motivo di ritenere già coltivato, in  manoscritto, tra gli Albanesi. L’uso delle lingue materne in ambito ecclesiastico, certo non generalizzato, era iniziato sin dal XII secolo nell’Europa Occidentale. 
Non c’è motivo di escludere che lo stesso avvenisse anche nell’Europa Orientale, dove, peraltro, l’uso dello slavo ecclesiastico, in sostituzione del greco o del latino, data sin dal IX secolo[6].
    A ulteriore testimonianza ricordiamo i casi già citati presso i croati e i serbi cattolici, ma anche presso gli albanesi con la Formula del Battesimo [7] del 1462, per i cattolico-romani, e con il Tropario e il Vangelo di Pasqua [8] del sec. XIV, per i bizantini.
     L’invenzione della stampa a caratteri mobili facilitò la diffusione dei testi, sicché al tempo del Buzuku, si dava sempre più importanza all’insegnamento religioso del popolo attraverso la parola scritta e stampata: la Bibbia tradotta al primo posto, seguita dalla Messa [9].
    Le proibizioni che anche prima del Concilio si levavano di volta in volta nei riguardi della lettura della Bibbia in lingua volgare, ancorché somiglianti alle grida di Manzoni, erano dettate dall’abuso che se ne faceva.
  Senza la lezione di Lutero, la reazione della Chiesa Romana - in un’epoca in cui il Papato è ancora implicato in ambizioni politiche e succube del relativismo insito nell’umanesimo rinascimentale - forse non sarebbe stata così forte e non avrebbe condotto a serie riforme, come auspicato dagli spiriti più avvertiti,.
     Non v’è dubbio che la chiusura della Chiesa quasi entro un fortilizio, ai fini di salvaguardare quanti le erano rimasti fedeli da ogni contaminazione col Protestantesimo, richiedeva regole precise e riforme non indifferenti in ambito cattolico.
     Volute dal Concilio, esse furono esplicitate a partire da Pio IV.
     Tale atteggiamento ebbe come immediata conseguenza l’uniformità dei libri liturgici, resa universalmente possibile dal rapido sviluppo dell’arte tipografica.
     Molte opere, pertanto, come quella di Buzuku, caddero in disuso. Non perché poste all’Indice, ma perché non complete né conformi all’incalzare delle edizioni tipiche[10] , ufficiali per tutto la Chiesa di rito latino-romano, rito che, uscito rafforzato dal concilio, primeggiava ed erodeva gli altri riti, seppur latini anch’essi.
     Le nuove edizioni, ovviamente in latino, erano in tirature praticamente illimitate e  facilmente accessibili, cosicché dove non si aveva una tradizione forte e incontestata della lingua materna, il latino vinceva e soffocava le tradizioni e le lingue locali nella liturgia.
     Tra le cause che portarono all’interruzione dell’uso del Messale, alcune già messe in luce da Çabej, elenchiamo: il Catechismus ex decreto concilii tridentini, o Catechismo Romano, del 1556; il Breviarium romanum del 1568; il  Missale Romanum, del 1570; il Nuovo Calendario del 1582; il Martyrologium Romanum del 1584; il Pontificale Romanum del 1595/96; il Rituale Romanum del 1614.
     ll fattore, però, che maggiormente ci sembra aver determinato il disuso di testi e traduzioni precedenti è  la rivisitazione, peraltro maldestra, e destinata di lì a poco, nel 1592, ad essere revisionata, della Vulgata di san Girolamo[11].
  Per quel che riguarda propriamente il Messale, nonostante il pensiero e il desiderio dell’Autore fosse la divulgazione nell’intera area albanese, per cause contingenti l’adozione rimase limitata alla comunità degli albanesi fuorusciti e cessò con l’assimilazione di tale comunità da parte delle popolazioni italiane viciniori.
     Seppur delle copie abbiano potuto raggiungere l’Albania, i vari fattori sopra descritti e la situazione catastrofica dei cattolici in quel paese, non ne avranno potuto permettere la diffusione desiderata.
     Non va dimenticato, infatti, che nelle regioni albanesi occupate, il ruolo dell’Inquisizione, più che da Roma lontana, era giocato dal potere islamico-ottomano coadiuvato dalla Chiesa Ortodossa greca e slava. 
     Tuttavia, dal modo con cui, poi, si è sviluppata la lingua scritta, possiamo arguire che nell’ambito del clero, soprattutto fra i soggetti temporaneamente fuori patria per studi o per ragioni pastorali, l’opera di Buzuku sia stata adottata e conservata per un certo periodo, fungendo da prototipo per gli autori successivi.


(tratto da: Zef Chiaramonte, Çështja e gjuhëve amëtare te Shërbesa e shenjtë…, Prishtinë, 2015)


30.  Cap. 8. De Missa vulgari lingua passim non celebranda, et mysteriis eius populo explicandis
   Etsi Missa magnam contineat populi fidelis eruditionem, non tamen espedire visum est Patribus, ut vulgari passim lingua celebraretur (can, 9). Quamobrem, retento ubique cuiusque ecclesiae antiquo et a sancta Romana Ecclesia, omnium ecclesiarum matre et magistra, probato ritu, ne oves Christi esuriant, neve "parvuli panem petant et non sit, qui frangat eis" (cf. Thr 4,4): mandat sancta Synodus pastoribus et singulis curam animarum gerentibus, ut frequenter inter Missarum celebrationem vel per se vel per alios, ex his,.
quae in Missa leguntur, exponant atque inter cetera sanctissimi huius sacrificii mysterium aliquod declarent, diebus praesertim Dominicis et festis.(Denzinger,1749).
31.  De sanctissimo missae sacrificio, Canon IX, 
   “Si quis dixerit ... lingua tantum vulgari missam celebrari debere ... anathema  sit” (Cfr. Conciliorum oecumenicorum decreta , p.755).
32.  Così protestava  in Concilio il Card. Madruzzo, vescovo di Trento:   “Non posso soffrire che si consideri alla stregua degli abusi la traduzione della Bibbia nella nostra lingua materna. Che non direbbero i nostri avversari... se venissero a sapere che noi vogliamo togliere dalle mani degli uomini quella Scrittura santa che così spesso San Paolo prescrive di non separare mai dalla nostra bocca! Quello che io so, è che noi abbiamo imparato da nostra madre, nella nostra lingua tedesca, l’orazione domenicale, il simbolo della fede e la
maggior parte delle altre verità religiose che tutti i padri di famiglia sono usi, in Germania, insegnare ai loro figli: e  da questa formazione religiosa, a memoria d’uomo, non è mai venuto nessuno scandalo. Piacesse al cielo che mai professori di lingua latina e greca fossero venuti in Germania: saremmo indenni dai guai presenti e la povera Germania non sarebbe caduta sì miserevolmente in tante eresie. Perché le eresie e i semi perversi non sono mai usciti da uomini privi d’istruzione e che si esprimono nella lingua materna: essi vengono da coloro che si proclamano eruditi. Per questo, padri, ve ne prego, non vi venga in mente non dico di annoverare una tale pratica tra gli abusi, ma neanche di discutere se si può in un caso come questo parlare di abuso”. Krh. Storia dei concili ecumenici, vep. cit. fq. 347.
33.  Ann.1563: Cc.Trident.: sess. XXIV, 11. Nov. 1563,  Decretum de reformatione, Canon VII.
“Ut fidelis populus ad suscipienda sacramenta maiore cum reverentia atque animi devotione accedat: paecipit sancta synodus episcopis omnibu, ut non solum, cum haec per se ipsos erunt populo administranda,prius illorum vim et usum pro suscipientium captu explicent, sed etiam idem a singulis parochis pie prudenterque, etiam lingua vernacula, si opus sit et commode fieri poterit, servari studeant, iuxta formam a santa synodo in catechesi singulis sacramentis praescribendam, quam episcopi in vulgarem linguam fideliter verti atque a parochis omnibus populo exponi curabunt; necnon ut inter missarum solemnia aut divinorum celebrationem sacra eloquia et salutis monita eadem vernacula lingua singulis diebus festis vel solemnibus explanent, eademque in omnium cordibus (postpositis inutilibus qaestionibus) inserere, atque eos in lege Domini erudire studeant”. (Cfr. Conciliorum Oecumenicorum Decreta, p. 764).
34.  Ann. 1564; Pius IV; Regulae Trident. de libris prohibitis: “Regulae Tridentinae” de libris prohibitis, canfirmatae in Const. “Dominici gregis custodiae”, 24 Mart, 1564.
(omissis)
  Regula III: Versiones scriptorum etiam ecclesiasticorum, quae hactenus editae sunt a damnatis     auctoribus, modo nihil contra sanam doctrinam contineant, permittuntur. Librorum autem Veteris Testamenti versiones viris tantum doctis et piis iudicio episcopi concedi poterunt, modo huiusmodi versionibus tamquam elucidationibus vulgatae editionis ad intelligendam sacram Scripturam, non autem tamquam sano textu utantur. Versiones vero Novi Testamenti ab auctoribus primae classis huius Indicis
facta nemini concedantur, quia utilitatis parum, periculi vero  plurimum lectoribus ex earum lectione manare solet. Si quae vero annotationes cum huiusmodi quae permittuntur versionibus vel cum vulgata editione circumferuntur, expuntictis locis suspectis a facultate theologica alicuius   Universitatis catholicae aut Inquisitione generali, permitti eisdem poterunt, quibus et versiones ...  facta nemini concedantur, quia utilitatis parum, periculi vero  plurimum lectoribus ex earum lectione manare solet. Si quae vero annotationes cum huiusmodi quae permittuntur versionibus vel cum vulgata editione circumferuntur, expuntictis locis suspectis a facultate theologica alicuius   Universitatis catholicae aut Inquisitione generali, permitti eisdem poterunt, quibus et versiones ... (Denzinger, 1853)
Regula IV: Cum experimento manifestum sit, si sacra Biblia vulgari lingua passim sine discrimine permittantur, plus inde ob hominum temeritatem detrimenti quam utilitatis oriri, hac in parte iudicio episcopi aut inquisitoris stetur, ut cum consilio parochi vel confessarii Bibliorum a catholicis auctoribus
 Regula IV: Cum experimento manifestum sit, si sacra Biblia vulgari lingua passim sine discrimine permittantur, plus inde ob hominum temeritatem detrimenti quam utilitatis oriri, hac in parte iudicio episcopi aut inquisitoris stetur, ut cum consilio parochi vel confessarii Bibliorum a catholicis auctoribus
versorum lectionem in vulgari lingua eis concedere possint, quos intellexerint ex huismodi lectione non damnum, sed fidei atque pietatis augmentum capere potest  (Denzinger,1854).
35. Uno splendido esempio è il Vangelo di Miroslav , codice miniato del 1182, conservato al Museo Nazionale di Serbia a Belgrado.
36. Inserita in una circolare in latino dell’acivescovo di Durazzo Paolo Angelo. Cfr. Codice 1107, F. 3-4 Fondo Ashbumhamiano, cat. Cesare Paoli, nella Biblioteca Medicea-Laurenziana di Firenze.
37. Cfr.Borgia 1930.
38.  Bihlmeyer-Tuechle 1960, vol.  III., p.147.
39.  Con l’invenzione della stampa anche le Chiese ortodosse imposero edizioni tipiche. Venezia, che risulta il luogo più accreditato per collocare la stampa del Messale, fu il centro di questa attività a favore di greci, slavi, armeni, ma anche degli ebrei.
40.  Si tratta dell’edizione detta  Sisto Clementina

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