LA STAMPA
Come sempre il nemico peggiore è quello dentro.
Ecco perché bisogna averne paura. Si parla ma non ci si preoccupa abbastanza di
Brexit e di Trump.
In Italia, il presidente del Consiglio pensa al
fronte interno, mentre va al secondo turno delle amministrative col referendum
costituzionale d'autunno in mente; i ministri Padoan e Calenda danno fiato alla
timida ripresa, i ministri Gentiloni e Pinotti palleggiano la bollente patata
libica. Giusto.
Fra cinque mesi (che passano presto) avrebbero
esattamente gli stessi problemi, referendum a parte, con in più un'Ue assorbita
nel divorzio (riottoso, costoso e lungo) da Uk e alla soglia di una presidenza
Trump oltreoceano. Sia l'ingresso di Trump alla Casa Bianca che l'uscita del
Regno Unito dall'Europa segnerebbe un punto di non ritorno.
A Cannes, George Clooney ha detto che Donald
Trump non sarà presidente degli Stati Uniti. In E. R. Medici in prima linea -
non sbagliava mai una diagnosi, ma è passato un po' di tempo. I sondaggi su
Brexit oscillano sul filo del 40% pro e 40% contro. Decideranno gli indecisi.
Chi vota per Fue vota con ragione e lucidità, i
Brexiteers con passione e frustrazione. Poco tranquillizzante. Per di più i
sondaggi sono falsati quando gli intervistati mentono perché si vergognano
d'ammettere cosa faranno nel chiuso dell'urna. Brexit e Trump sono disastri
annunciati ma evitabili. L'esito è democraticamente nelle mani degli elettori
britannici e americani. Il resto dell'Occidente non vota ma può farsi sentire.
Le nostre voci, preoccupazioni, sensibilità pesano nella rete delle
interdipendenze e dei social media; i nostri governi sono legati a filo doppio.
Anche il resto del mondo teme il duplice rischio Brexit-Trump. Con qualche
miope eccezione intorno alle mura del Cremlino, il nervosismo si avverte da
Pechino a Santiago. Ma sarebbe l'Occidente in
primis a perdere, buttando alle ortiche i suoi punti di forza: l'unione
dell'Europa e la comunità atlantica. Imperfetta la prima, increspata la
seconda, rimangono queste le nostre fondamenta.
Con ravvicinarsi dell'anno 2000 si temeva il
crollo dei sistemi informatici, tarati a due cifre, che non avrebbero
riconosciuto il nuovo secolo e millennio. Le conseguenze sarebbero state
catastrofiche. Non è successo niente e il temutissimo «Y2K bug» è stato consegnato
al reliquario delle curiosità storiche. Ma solo perché ne abbiamo avuto paura.
Non meno ne serve oggi. Di Trump dovranno prendersi cura soprattutto gli
americani. Mancano cinque mesi.
Brexit si decide invece m una manciata di giorni.
L'elettorato britannico è sommerso dagli avvisi di burrasca. Londra ha molto da
perdere dall'uscita dall'Ue; chi vota può ignorarlo ma gli è stato detto. Meno
chiaro agli europei quanto abbia da perdere l'Ue. Non solo perché l'uscita di
Londra lascerebbe un'Europa geopolitica, militare ed economica più debole, ma
per il ruolo britannico all'interno dell'Unione, determinante nel contenere i
riflessi centralizzatori e dirigisti di Bruxelles. Senza Londra la predominanza
tedesca - non per volontà di Berlino, ma per inerzia troverebbe minori
contrappesi. L'Italia perderebbe la sponda della Manica che spesso ci evita la
schiavitù di schieramenti rigidi. Che Brexit spiani la via a un'Europa
«federale» è una pia illusione: con chi? Con l'Austria che minaccia muri al
Brennero? Con l'Olanda che respinge per referendum l'innocuo accordo
d'associazione con l'Ucraina? Quali opinioni pubbliche seguirebbero, a
cominciare da quella italiana? Quanti altri pezzi perderebbe l'Ue ? Chi fermerebbe l'emulazione e l'effetto domino
delle secessioni?
Nessuno più di Ulisse incarna lo spirito della
cultura e civiltà occidentale. Non siamo più nell'epoca omerica, ma nel XXI
secolo. Per superare la Scilla di Brexit e le Cariddi di Donald Trump,
l'Occidente deve sperare che il Dna sia rimasto uguale.
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