GIORNALE DI SICILIA
Messina, uno dei tre maggiori comuni siciliani, una
delle tre Città metropolitane dell'Isola, è alle soglie del default.
Il
giudizio della Corte dei Conti sulla situazione gestionale e finanziaria non
lascia spazio all'ottimismo, tante e tanto ampie sono le criticità riscontrate
nei conti comunali. Mentre il giudizio dei Magistrati mette in luce le falle
contabili di Messina, un altro grande comune, Catania, è sotto la lente
d'ingrandimento.
Oggi gestire un comune è compito ingrato e, per molti aspetti,
immane ma certo fa pensare l'innalzamento dei toni della contestazione contro
la Regione Siciliana, per il tardivo invio della quota di competenza; è vero,
mancano ancora all'appello circa 240 milioni di euro di trasferimenti
regionali, ma la sola spesa corrente dei Comuni siciliani è di 4,5 miliardi di
euro l'anno.
Eppure la fibrillazione è a mille. Prima ancora dello stato dei
conti, il Comune messinese presenta evidenti falle nella tempistica degli atti
amministrativi fondamentali; il bilancio di previsione dell'anno 2014 è stato
deliberato a dicembre dello stesso anno e quindi a esercizio chiuso mentre, a
marzo 2016, non c'era ancora traccia del bilancio di previsione 2015.
La prima
bolla nei conti è quella dei residui attivi; si tratta delle entrate previste
in bilancio e mai riscosse. Ebbene tale voce ha raggiunto un importo
elevatissimo in rapporto alle entrate; nè il futuro appare più sereno se la
contabilità comunale segnala, ad esempio, l'assenza di entrate per la Tosap e
la Cosap: nessuno a Messina paga l'utilizzo di spazi pubblici e nessuno
evidentemente lo chiede. Sul fronte dei debiti la situazione appare ancora più
intricata; mentre i debiti fuori bilancio e riconosciuti sfiorano i 24 «mila»
euro, i debiti fuori bilancio e non riconosciuti raggiungono i 262 «milioni» di
euro; persino i magistrati contabili non nascondono la sorpresa per un
ammontare di debiti fuori bilancio, ancora da formalizzare, circa «dieci mila
volte più grande» di quelli riconosciuti.
Per tacere dei debiti «ufficiali»
iscritti in bilancio che superano i 148 milioni di euro. I debiti gravano,
ormai, come una mannaia sul Comune messinese ed hanno raggiunto, dopo anni di
«patologico rinvio agli esercizi futuri», un volume impressionante, pari al 100
per cento di tutte le entrate in bilancio. Espressioni come «disallineamento»,
«mancata adozione», «mancata riscossione», «utilizzo irregolare», «mancata
previsione», «accantonamento mancato», «reiterate irregolarità», «discordanze»,
scandiscono come i grani di un rosario il giudizio contabile sul comune di
Messina.
I capitoli di bilancio interessati dal giudizio sono molteplici, fino
alla mancata pubblicazione nel sito web e la mancata trasmissione alla Corte
dei Conti dell'elenco delle spese di rappresentanza. Quanto poi ai crediti e ai
debiti reciproci tra comune e Società partecipate, le discordanze (caso non
certo unico in Sicilia) sono più che appariscenti; l'Ato Me3, tanto per fare un
esempio, porta in bilancio un credito di quasi 17 milioni di euro, mentre la
Ragioneria comunale «riconosce» appena 151 mila euro, il tutto condito dal
giudizio della Corte sulla «cronica incapacità del comune a porre in essere
prescrizioni normative imperative sul controllo degli organismi partecipati»;
il linguaggio è tecnicamente involuto, ma il senso appare chiaro. Si tratta
ormai di una crisi gestionale e finanziaria di tale portata che le misure messe
in campo dal comune stesso hanno un valore «aggettivamente relativo», anche
alla luce della considerazione che nell'ultimo anno, pur dopo i rilievi della
Corte, l'ammontare dei debiti è rimasto immutato. Anche l'annunciata intenzione
di procedere all'accorpamento in un unico soggetto delle tre società che
operano nel settore dell'acqua, dei rifiuti e dei trasporti, non apporta
elementi utili all'attenuazione del giudizio, stante è «carattere generale e
programmatorio» delle iniziative annunciate.
La Corte dei Conti, tenendo conto dell'ammontare dei debiti fuori
bilancio, della «macroscopica discrasia» tra debiti accertati e debiti stimati
e del disavanzo accertato, ha deciso di intervenire, rimettendo al «prudente
apprezzamento» dell'amministrazione messinese il blocco di ogni altra spesa, con esclusione di quelle
obbligatoriamente previste dalle legge.
Se non è default, ci manca poco.
Ora che i fondi regionali e statali sono calati, da Messina a Catania sono in forte difficoltà anche perché la riscossione è ai minimi |
Va
detto comunque che il comune si trova impegnato, dal 2013 (fin dai tempi del
Commissario Luigi Croce), in un piano di riequilibrio decennale per il
risanamento dei conti disastrati, piano che però è da allora all'esame del
Ministero dell'Interno per il susseguirsi di nuove leggi in materia di finanza
comunale. Fino a quando il Ministero non completa l'istruttoria, resta impedita
la possibilità per i creditori di procedere a pignoramenti, ne è possibile per
la Regione la dichiarazione di dissesto del comune, atto che comunque resta
obbligatorio per gli Amministratori e non certo discrezionale.
La vicenda,
comunque, del comune di Messina rappresenta la nemesi dei comuni siciliani che
per anni hanno avuto una gestione agevole grazie ai generosi trasferimenti dello
Stato e della Regione, che hanno puntualmente trascurato la riscossione
puntuale dei tributi di competenza, che hanno visto dilatarsi il numero degli
addetti (47% in più della media nazionale degli impiegati comunali), che hanno
usato e abusato del meccanismo delle società partecipate per aggirare le norme
sulle assunzioni e sugli acquisti, che hanno generato un debito mostruoso un materia di rifiuti per circa 1,8 miliardi, e che ora, dopo la parziale chiusura
del rubinetto dei trasferimenti, sono pesantemente (ed in taluni casi
irreversibilmente) entrati in crisi.
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