C’è un legame diretto fra quanto sta avvenendo sul lato Sud del
Mediterraneo e i pericoli per la nostra sicurezza collettiva.
Il detonatore è il disegno apocalittico di Abu Bakr al-Baghdadi, attorno
al quale ruotano le sfide fra due rivoluzioni islamiche, cinque potenze
regionali di Medio Oriente e Nordafrica, dozzine di grandi clan tribali e una
miriade di gruppi armati e sigle terroristiche in gara fra loro per ottenere il
controllo di spazi strategici, risorse energetiche, vie di comunicazione,
luoghi di culto e grandi città lungo un fronte di combattimento disseminato di
micro-conflitti che si snoda senza interruzione dalle montagne dell’Afghanistan
alle coste del Marocco, passando attraverso lo Stretto di Hormuz, il Corno
d’Africa e il Sahel.
È una guerra che divora gli Stati post-coloniali del Novecento: Siria,
Iraq, Libia e Yemen hanno cessato di esistere perché non hanno più governi,
parlamenti, amministrazioni pubbliche e confini condivisi; Libano, Giordania,
Tunisia e Bahrein temono di subire la stessa sorte; i giganti regionali
Turchia, Arabia Saudita, Egitto e Iran hanno l’incubo di frammentazioni
mortali. [...]
Il conflitto fra sunniti e sciiti, incentrato sui territori appartenuti a Siria e Iraq, è l’asse portante di questa guerra, la proclamazione del Califfato ne è stata la miccia e il brutale terrorismo che ha generato attraversa il Mediterraneo, creando una situazione di instabilità endemica che spinge le potenze regionali rivali di Arabia Saudita, Iran, Turchia, Egitto, Emirati Arabi Uniti a voler imporre i propri interessi con ogni possibile mezzo, forza militare inclusa. I contendenti sono monarchi, sceicchi, generali, capi tribù, leader religiosi e spietati terroristi: nessuno di loro possiede una inequivocabile definizione di vittoria né appare al momento in grado di imporsi sugli altri. E nessuno di loro può sentirsi del tutto al sicuro.
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