La mafia è nata nel corso dell'ottocento
nel triangolo che ha ai vertici le province Palermo, Trapani e
Agrigento, ma il termine “mafia” è apparso per la prima volta nel
1862-1863, quando a Palermo venne rappresentata la commedia I mafiusi di la Vicaria, scritta da Giuseppe Rizzotto.
Ricapitoliamo ed inquadriamo meglio quanto abbiamo
scritto in precedenti brani.
-Nel 1812 il feudalesimo viene dichiarato defunto. A
dichiararlo cessato –stranamente- (ma non troppo in Sicilia) è un Parlamento in
prevalenza in mano ai feudatari.
-Fino a quel momento i feudatari, nelle loro baronie, curano
la sicurezza pubblica, essendo loro pubblici ufficiali e rappresentanti del Re. Adesso non possono più tenere al proprio servizio
manipoli di uomini armati. Il monopolio della sicurezza pubblica, secondo la concezione di Stato moderno, passa pertanto direttamente allo
Stato centrale.
-Il Parlamento di palazzo dei Normanni istituisce le Compagnie d’Arme per la sicurezza delle
campagne (1 capitano e 18 militi per ogni distretto) che devono rispondere dei
furti con violenza e a tale scopo il capitano prescelto deposita all'atto di assumere il ruolo una
consistente cauzione in garanzia. Si tratta come bene si intuisce di un appalto
su basi “personali”. Si devono in pratica scegliere personaggi inseriti nell’ambiente
territoriale, personaggi rispettati o -se si vuole- dei poco di buono. L’abigeato
infatti comincia a prosperare come mai era accaduto prima.
-Individuare i distretti di pertinenza delle Compagnie non è
stata questione semplice. La gente fino ad allora conosceva bene il territorio e le
sue delimitazioni in termini di “baronia”
non in termini di province o di comuni. Un astronomo appartenente all’ordine
dei teatini è stato incaricato di tracciare i confini
territoriali-amministrativi in Sicilia.
Costui, originario della Valtellina, è
stato più precisamente incaricato di suddividere l’isola in 23 distretti, cosa
che egli si accinse a fare senza tuttavia tenere conto della diversità dei territori
comunali rispetto alle precedenti baronie.
-Il territorio di Contessa, proprio quel vasto territorio che sta al
vertice delle province di Palermo, Trapani, Agrigento, è stato dall’eccletico
padre Piazzi frammentato e aggregato a tre distinti distretti Corleone, Alcamo,
Sciacca. Una divisione strambalata, più che arbitraria, ma a cui contribuì la
cartografia antiquata di cui si servì e la circostanza che molti toponimi di feudi erano
diventati –col trascorrere dei secoli- difficili da individuare.
-in questo contesto sul territorio di Contessa i delitti, l’abigeato
soprattutto, divennero frequentissimi come mai prima in quanto ai Capitani risultò
facile disquisire sulla linea di confine del distretto. Nacquero di fatto i
territori di “nessuno”, dove in verità erano gli stessi uomini delle Compagnie a
commettere i reati, gli omicidi, i furti e gli abigeati.
-A fronte dell’assoluta carenza di sicurezza nelle campagne di
Contessa, gli antichi baroni del luogo, che intanto cominciano a vedersi molti feudi sottoposti
ad esecuzione forzata perché sovraccarichi di debiti, cominciano ad ospitare
nei latifondi di proprietà (masserie) i peggiori malviventi dei paesi vicini
(Chiusa Sclafani, Giuliana, Corleone etc.) nell’intento di proteggere con essi i propri
patrimoni dai male intenzionati, che poi erano gli stessi loro ospiti.
-In buona sostanza l’artificiosa complessità delle
delimitazioni territoriali serviva alle necessità dell’epoca, ai potenti del
tempo, ai malviventi di quella stagione storica. Le controversie territoriali
servivano per far impantanare i provvedimenti di cattura che le Compagnie d’Arme
avrebbero dovuto eseguire e che invece contestavano con argomentazioni di competenza territoriale.
-Sul territorio dell’ex baronia di Contessa si combinarono, avvennero,
le prime trattative Stato-Mafia della Storia contemporanea. Qui le Compagnie d’Arme
assolvevano indifferentemente alla funzione di guardia e di ladro. Qui gli
ultimi baroni ospitavano sui loro latifondi i primi malviventi della Storia contemporanea per
proteggere i loro latifondi. Le uniche vittime dell'intreccio malavitoso erano le popolazioni contadine che cominceranno ad essere offese sia dai latifondisti che dai malviventi per tanti decenni a venire.
Certo,
successivamente fra gli anni 1817 e 1819 si provò a
riordinare i confini dei distretti facendoli coincidere con quelli dei comuni,
ma ormai la Compagnia d’Arme era irrimediabilmente contaminata.
Nel 1838 il Governo borbonico provò a sopprimere le
Compagnie d’Arme introducendo la Gendarmeria, dove … però confluirono gli
stessi uomini delle Compagnie, non più tenuti a depositi cauzionali.
La Mafia, che ancora non si chiamava Mafia, aveva ormai
sviluppato tutti gli intrecci fra malviventi, ex baroni, poteri direttivi delle
Compagnie d’Arme. Il suo era divenuto un potere di sfruttamento, intimidazione e parassitismo.
Nel 1848 le Compagnie d’Arme, accresciute di consistenza,
furono ripristinate perché erano cresciuti nelle campagne in maniera
esponenziale gli omicidi e con essi l’abigeato. In pratica la malattia veniva curata con la malattia.
Gli uomini delle Compagnie “composte da individui di perduta
fama, invisi alla popolazione oltre ogni dire per per gli arbitri e le sevizie
che commettevano e poi si dispersero nella rivoluzione del 1860” continuarono a dominare per le campagne, assolutamente insicure.
-Nel 1860 i temibili militi delle Compagnie sbagliarono
bandiera e si schierarono con i borboni, sicchè fra i provvedimenti di
Garibaldi in Sicilia spicca il loro scioglimento. Però nel giugno dello stesso anno, al fine di assicurare la
sicurezza nelle campagne, le Compagnie vengono ricostituite sotto il controllo
prefettizio e con la nuova ragione sociale di “Militi a cavallo”. I distretti
con Garibaldi divennero Circondari.
Nell’agosto del 1861 si provò a riorganizzare le Compagnie assimilandole
a forza di Pubblica Sicurezza, ma ormai nessuno confidava nella correttezza e legalità di questo
Corpo, certamente di sostegno ai detentori del potere e al contempo strumento
di nefandezze ai danni della povera gente. Utili strumenti nei municipi per l’intrico
nelle elezioni al Parlamento e simbolo della sopraffazione.
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