Le aziende
vitivinicole siciliane lamentano la latitanza delle Istituzioni e la mancanza
di un piano di sostegno al settore. In questo contesto lamentano il crollo
della produzione (-29%) del fatturato (-5,6%) e dell’export che ormai non
raggiunge il 10% della produzione. Si sono rivelate inoltre un fallimento gli approcci all’enogastronomia
e le Strade del vino.
Tempo fa un
cugino di chi scrive queste righe telefonò da San Francisco di California dove risiede da molti decenni e con molta
gioia ed entusiasmo in cuore ebbe a dirmi “Mimmo devo dirti una cosa. Ho qui
con me una bottiglia di vino che viene, arriva da Contessa. E’ vino di Contessa
Entellina ! lo porta scritto e stampigliato nell’etichetta. E’ ottimo, è buono e
sono contento di poter bere il vino di Contessa Entellina”.
Bere un
bicchiere di vino siciliano vuol dire assaporare le ricchezze e la varietà
della terra da cui proviene, ma anche
scoprire un pezzo di storia, di cultura e di tradizione di cui si sa che si trovano
condensate nel lavoro per produrre quella bottiglia di vino. Per questo, il vino siciliano,
fiore all’occhiello della Sicilia, è molto apprezzato in tutto il mondo. D’altronde
in tutto il mondo esistono comunità umane provenienti dall’isola.
Non si comprende, pertanto, la ragione di un
crollo della produzione del 29 per cento registrato dall’Istat nel 2011,
rispetto al 2010, complessivamente l’annata più nera dal lontano 2000.
Sarebbe calato
non solo la produzione, ma anche i termometri che fanno riferimento ai
fatturati e alle aree coltivate a vite.
Secondo l’ultimo
censimento Istat tra il 2000 e il 2010 è stata registrata una riduzione delle
superfici vitate del 10 per cento, anche se altri vigneti sono presumibilmente
stati espiantati nel corso del 2011. “Meno quantità e più qualità, per bere
meno e bere meglio”; con questa battuta cerca di infondere coraggio Dario Cartabellotta, neo assessore regionale alle
Risorse agricole.
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