La grande intuizione
dell’Oriente Cristiano:
“Dio si è fatto uomo
perché l’uomo diventi Dio”
Dio
continua sempre a cercare l’uomo “malato”
-che a causa di questa sua condizione con frequenza perde la via-. Ancora
oggi lo fa nella liturgia celebrata dalla Chiesa. Liturgia che
rievoca il disegno messo in atto dal Creatore a beneficio dell’uomo smarritosi.
Non c’è
dubbio alcuno che la Liturgia presuppone da parte del fedele il possesso della
Fede; il fedele deve essere intenzionato a
rinunziare all’egoismo per potere riconoscere nel viso del prossimo il fratello
che verosimilmente, per egoismo, è stato finora continuamente privato o
addirittura derubato di qualcosa, magari
di un semplice sorriso.
Non v’è
dubbio inoltre che colui che per la prima volta partecipa alla Liturgia
bizantina si trova di fronte ad una serie di atti misteriosi. Il primo impatto
lo si ha con i canti che devono essere ben curati per poter trasmettere una bellezza
sconosciuta e devono poter affascinare. Altro impatto che il visitatore si
ritrova immediatamente è quello dell’altare che non è facilmente visibile.
Il
rito sin da subito trasmette il senso del mistero e si presenta con carattere
lento e con la sensazione di volersi -in un alone di grande magnificenza-
eccessivamente prolungare.
Il senso
complessivo comunque è uno: nel corso della Liturgia deve potere avvenire
l’incontro tra Dio e l’umanità, il Cielo e la Terra devono potersi congiungere.
E’ questo quindi il fine (la missione) della Chiesa, quello di far scoprire
all’uomo la bellezza, di farlo sentire bene e farlo gioire nella convinzione di
aver superato la malattia dell’egoismo e di avere avuto parte –pertanto-
dell’Indescrivibile, del Dio filantropo, amico degli uomini, sempre –nonostante
tutto- proteso a cercare l’uomo
ammalato, guarirlo e associarlo a sé per
andare incontro ad altri fratelli in condizioni di bisogno.
Nient’altro
compete alla Chiesa. Se queste cose le dicessimo, le ricordassimo ad un
Cardinale che siede nel Consiglio di Vigilanza dello Ior con assoluta certezza
ci guarderebbe con l’occhio di chi non può perdere tempo con simili sciocchezze
e chiamerebbe le guardie svizzere per farci scaraventare giù per le scale dei
sacri palazzi. L’esercizio del potere, la frequentazione col denaro esaspera
infatti in chiunque la malattia dell’egoismo.
Ogni
volta che si imbatta in sacerdoti sovraccarichi di impegni, di preoccupazioni, di
appuntamenti e distrazioni o in fedeli inconsapevoli che perdono di vista la
ragione di essere della Chiesa (curare la malattia: l’egoismo) ed il fine (incontro col divino) la
celebrazione non diventa altro che spettacolo, folklore.
Se nella
Liturgia si vuole leggere, leggere nel senso di percepire e comprendere, su
quanto il divino ha fatto nel corso del tempo per recuperare l’uomo malato (di
egoismo) occorre disporre –lo abbiamo già detto- della Fede che nelle chiese
bizantine viene trasmessa senza alterazioni o innovazioni, sempre la stessa,
dal periodo apostolico.
La Fede
bisogna possederla, o quanto meno cercarla, inseguirla. Contrariamente lo stare
in Chiesa ad assistere alla celebrazione della Liturgia potrebbe diventare
manifestazione di ipocrisia.
Alcuni autori bizantini identificano la Chiesa ad
un Ospedale dove si va per essere curati dall’egoismo. Chi ritiene di esserne
invischiato (e dovremmo essere tutti gli esseri umani) dovrebbe tentare di
liberarsene, cercare la Chiesa.
Solo chi
crede, chi ha Fede, nel corso della
Liturgia riesce a vedere ciò che agli
altri resta invisibile. Lo dice San Giovanni Crisostomo. Chi poi nel corso della
Liturgia ha visto riesce a capire perché essa è un dono, eucarestia,
ringraziamento. Ha avuto infatti la possibilità di
immergersi in
qualcosa di nuovo, Dio tutto si è donato a lui.
Chi arriva alla condizione di
vedere non avrà più bisogno di altro, solo di quelle visioni avrà bisogno.
LEGGERE:
La liturgia pontificale bizantina. (n. 1)
La liturgia pontificale bizantina (n. 2)
La liturgia pontificale bizantina. (n. 1)
La liturgia pontificale bizantina (n. 2)
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