Nascita, 1956
Come noi italiani
ci rechiamo a votare
La democrazia è diventata una cosa strana:
gli elettori scelgono in base alle cose che sanno, e non sono molte.
Il resto viene delegato alla politica, che evita di entrare in dettagli.
Talvolta perché le questioni sono complesse; più spesso perché non
ne ha voglia, o non le conviene.
Giornali, siti d’informazione, radio e televisione provano, ognuno a suo modo, ad aggiornare gli elettori.
Ma quanti scelgono di approfondire certe questioni?
La grandissima maggioranza voterà in base a esperienze dirette. Quindi: prezzi (perché un guasto in casa mi costa un quarto dello stipendio?); imposte (quante ne pago, cosa rischio se non le pago?); impiego (perché mia figlia ha studiato e non trova lavoro?); sanità (tre mesi per una ecografia?); guerra (mica arriverà pure qui?).
Un altro fattore nella decisione elettorale:
la simpatia e l’antipatia di chi ci chiede il voto. Soprattutto quest’ultima. L’impressione è che la scelta sia, sempre più spesso, un segnale di paura (Francia), una bocciatura (Uk), un gesto di stizza (Usa, presto), un esperimento (Italia).
Forse è sempre stato così, forse la democrazia è questa.
Ma, se così fosse, non stupiamoci se i governanti ci trattano come ragazzini.
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