Quarta parte
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Ci piace riportare il pensiero del prof. Francesco Antonini (1920 – 2008) un pioniere della moderna geriatria: ha ricoperto (1958) presso l’Ateneo fiorentino la prima cattedra dedicata alla geriatria, mantenuta fino al 1990, e ha contribuito a fondare la società scientifica relativa (la Società Italiana di Gerontologia e Geriatria), che ha poi a lungo presieduto. Ha studiato e insegnato temi che le ricerche mediche sull'anziano avrebbero diffuso molti anni dopo. A lui si devono la nascita nel 1969 dell’unità coronarica di Firenze e dell’ospedale riabilitativo dei Fraticini. Fra i suoi meriti c’è l’aver messo in luce che l’emarginazione sociale e l’abbandono degli anziani sono i fattori che concorrono a nuocere agli anziani tanto quanto e ancor di più del loro decadimento fisico. Le riflessioni risalgono a un trentennio fa, ma possiedono -a nostro giudizio- elementi di attualità.
Riflessione decima. (Le ferite connesse al declino della vita).
Certo, perdite da subire c’è ne saranno; anche se non uguali per tutti. Ciò che conta non è portare “il lutto in se’” vivendo all’ombra della morte, sprecando il dono di vivere col rimpiangere ciò che non si è più. Conosco due modi opposti di attraversare la vecchiaia, espressi nelle ultime opere del medesimo artista: il Goya delle “pitture nere”, dominate da visioni spettrali, demoniache, terrifiche, in cui l’uomo appare piegato, vinto dagli anni e dalla sofferenza; poi, poco prima della morte, il Goya che si mette come in pace, che torna a usare il colore, che lo riempie di luce. Si rappresenta vecchissimo, ma con occhi avidi e fiduciosi, cioè vivi. Non è un caso che a margine scriva: “apprendo ancora”.
Riflessione undicesima. (L’attesa del condannato, con la certezza che la grazia non ci sarà, può far pensare alla solitudine di chi invecchia e muore senza sicurezza?)
La fede è certamente una grande grazia nell’età, o nel momento, dei rendiconti; specialmente se ci ha accompagnato per tutta la vita. Quando soccorrevsolo nel morire, di rado offre l’abbandono fiducioso che il distacco esige. Oggi che il congedo avviene sempre più spesso nella solitudine dell’ospedale, ci vuole più forza, se non anche più eroismo, per affrontarlo. Salvo nei casi di fedi assolute, di coscienze molto accese. Se percepita, la morte è per i più una tragedia. Come un annegamento: è difficile pensare alla fede mentre affoghi, serve piuttosto qualcuno che cerchi di salvarti.
Non a caso nella nostra unità coronarica, in cui un’intera squadra tenta di tutto per aiutare un vecchio che sta mordendo, quel momento e’ ancora una lotta per la vita. Perché non si è abbandonati, perché qualcosa può ancora accadere … E di fatti, non di rado, accade.
Riflessione dodicesima. Il principio di non accanirsi nel soccorso in determinate circostanze (eutanasia passiva?) Cosa fa perdere in moralità e giustizia?
Si è sempre riluttanti a parlare di se’, ma mi lasci rivendicare un piccolo evento: sono stato il primo, in Italia, ad attivare un’unità coronarica per anziani. Ero spinto dall’idea che la vita non perde valore con gli anni. Certo, consultando l’elenco dei ricoverati in questi reparti si nota come gli ultrasessantenni siano scarsamente presenti, mentre l’infarto, dopo quell’età diventa la prima causa di morte. Oltretutto, abbiamo la conferma che oggi è possibile intervenire con successo anche su un uomo di ottant’anni. Perché precludergli questa possibilità? E perché negare il trapianto a chi ha più di sessant’anni? Christian Barnard rifiutò un mio paziente “troppo in là con gli anni”. Ne aveva 51, e morì subito dopo. Di dolore. Era a rischio lui o la reputazione del chirurgo? Il quale fu punito, comunque, da qualcosa che investe il modo di concepire la professione: il malato, infatti, non era morto solo della malattia, ma del rifiuto di curarlo. E’ una lunga storia, che non riguarda solo chi ha da difendere grandi e meritate reputazioni. Nel passato, ma accade ancora nel Terzo Mondo, dovendo scegliere fra la vita di un uomo e quello di una donna, o di un bambino e una bambina, si optava sempre per il primo. Facciamo il caso che si debba decidere qui, ora, chi soccorrere fra un giovane, magari negro, è un vecchio che però è il Presidente della Repubblica. Qualcuno avrebbe dei dubbi? Il valore della vita viene ancora stabilito dal ruolo sociale ed economico. Il Ruolo, lo scriva con la maiuscola, si difende meglio anche di fronte alla morte: o, se vuole, se ne difende peggio chi non ha ruolo.
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