Estratti dalla
RELAZIONE DELLA COMMISSIONE PARLAMENTARE
D'INCHIESTA SULL'ATTUAZIONE DEGLI INTERVENTI PER LA RICOSTRUZIONE
E LA RIPRESA SOCIO - ECONOMICA DEI TERRITORI DELLA VALLE DEL BELICE
COLPITI DAI TERREMOTI DEL GENNAIO 1968
(Istituita con legge 30 marzo 1978, n. 96)
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CAPITOLO VI
LE REALIZZAZIONI A FRONTE DEI PROGRAMMI
Edilizia residenziale
Un altro elemento di ordine quantitativo che sembra meritare una particolare attenzione è quello costituito dal progressivo aumento dèlia dimensione media degli alloggi (misurata in base al numero dei vani in essi contenuti) attraverso le successive fasi prima della redazione dei programmi di trasferimento e poi al momento dell'appalto e della esecuzione delle opere. Come si può desumere dalla Tabella 1, nelle previsioni inizialmente formulate dall'ISES, l'alloggio medio per l'insieme dei 14 Comuni era costituito da 4,08 vani; nei programmi di trasferimento redatti dalla Commissione tecnica ex articolo 12 della legge 241/1968 e successivamente approvati con Decreto Ispettoriale, la dimensione media dell'alloggio sale, sempre per l'insieme dei 14 Comuni, a 4,99 vani. Infine, basandosi sui 1.963 alloggi fino ad ora ultimati, si può rilevare una dimensione media di 5,3 vani per alloggio. Ciò spiega la singolare circostanza che, in alcuni casi, la quota dei vani realizzati superi il 100 per cento di quelli previsti nei programmi di trasferimento, mentre il dato relativo al numero delle unità-alloggio costruite è uguale o addirittura inferiore a tale percentuale. Questo stato di cose si può riscontrare in sette Comuni su 14 e, precisamente, nei Comuni di Salaparuta, Montevago, Vita, Santa Ninfa, Sambuca di Sicilia, Camporeale e Contessa Entellina. Il più rilevante incremento delle dimensioni medie degli alloggi si riscontra nel gruppo dei dieci Comuni soggetti a trasferimento parziale degli abitati, con un valore medio di 5,5 vani per alloggio e punte massime di 7,6 e di 6,2 vani per alloggio nei Comuni di Camporeale e dì Contessa Entellina, siti ambedue nella provincia di Palermo. Questo rilevante incremento delle dimensioni medie degli alloggi espresse in vani non può non destare qualche perplessità, soprattutto ove si pensi, tra l'altro, anche al fatto che il numero medio dei componenti del nucleo familiare è attualmente in fase di-decremento, sia a livello nazionale che regionale. Ancor più cospicuo dell'aumento del numero dei vani per alloggio è l'incremento della dimensione media dei vani misurata dal numero dei metri cubi di volume costruito. In proposito, occorre ricordare che, con decreto del Ministro per i lavori pubblici n. 1444 del 2 aprile 1968, venivano fissati in 80 e 100 metri cubi i limiti minimi e massimi del vano medio per l'edilizia residenziale (1).
(1) Come è noto, con l'espressione « vano medio » si intende designare il rapporto tra il volume totale di un edificio residenziale (espresso in metri cubi e misurato tra la linea di gronda e la linea di terra) ed il numero dei vani in esso compresi. Di conseguenza, tale misura non si riferisce solo al volume utilizzabile dei vani di abitazione, ma comprende una quota parte dell'ingombri delle strutture e dei rivestimenti murari, delle scale, degli androni e degli altri eventuali ambienti comuni.
Nel formulare le previsioni preliminari, l'ISES si era attenuta al valore minimo di 80 metri cubi vano, giungendo così a valutare in circa 808.000 metri cubi il volume complessivo degli edifici residenziali da costruirsi a totale carico dello Stato nei 14 Comuni. Anche la Commissione tecnica incaricata della redazione dei programmi di trasferimento sembra aver recepito questo valore minimo, almeno nella fase di impostazione dei programmi, come si può evincere dall'esame dei verbali delle riunioni tenute dalla predetta Commissione. Tenendo conto di ciò, e considerando altresì l'incremento del numero dei vani totali intervenuto nella fase di transizione tra le previsioni iniziali e la redazione dei programmi veri e propri, il volume complessivo degli edifici residenziali da costruirsi a totale carico dello Stato avrebbe dovuto ammontare a circa 978.000 metri cubi, che possono essere arrotondati ad 1.000.000 per via delle inevitabili variazioni che si verificano nel passaggio dalla progettazione di massima alla stesura dei disegni esecutivi. Dall'esame del materiale trasmesso dall'Ispettorato Generale per le zone terremotate si evince, invece, che il volume totale dei soli edifici ultimati alla data del 31 dicembre 1979 ammonta a ben 1.106.000 metri cubi. Si è così superato del 10,6 per cento il volume totale prevedibile, pur se il numero degli alloggi ultimati è inferiore del 19,5 per cento al numero di quelli programmati. Come conseguenza di questo stato di cose, si deve registrare un notevolissimo aumento delle dimensioni del vano medio che, per l'insieme dei 14 Comuni e considerando i soli edifici ultimati, misura 112,4 metri cubi: 102,0, per i 4 Comuni a trasferimento totale e 116,4 per i 10 Comuni a trasferimento parziale degli abitati. Queste cifre, non solo sono molto superiori a quelle inizialmente previste (+40,5%) ma superano di gran lunga i limiti massimi di cubatura ammessi dal già citato decreto del Ministro per i lavori pubblici. Indipendentemente dai problemi che potrebbero insorgere a causa del mancato rispetto di questa norma, si deve mettere in evidenza il rilevante aumento dei costi a vano, nonché quello della spesa globale per le opere eseguite. Questo particolare aspetto del problema può forse apparire meno immediatamente percepibile, in confronto ai più macroscopici e pubblicizzati squilibri che si sono riscontrati in altri settori di intervento, come ad esempio quello delle infrastrutture stradali e delle altre opere di urbanizzazione. Esso costituisce, tuttavia, un indicatore non trascurabile delle distorsioni intervenute nel processo di ricostruzione. Infine, un fenomeno da non trascurare, anche se questa non è la sede per investigarne le cause, è la presenza a tutt'oggi in diversi Comuni di alloggi finiti, ma non ancora assegnati. (Fra le cause possibili, la lunghezza delle procedure di formazione della graduatoria degli aventi diritto, i ritardi negli allacciamenti degli edifici alle reti idriche ed elettriche).
Alloggi ammessi a contributo.
Si è voluto approfondire con qualche dettaglio la situazione della ricostruzione dell'edilizia abitativa a totale carico dello Stato, pur se tale settore è quantitativamente meno rilevante di quello degli alloggi ammessi a contributo, per due ordini di motivi:
— la documentazione disponibile per gli alloggi a totale carico dello Stato è più completa ed è esposta in forma più disaggregata, sì da consentire analisi e confronti specifici;
— tale settore investe più direttamente la responsabilità primaria degli organi pubblici e degli enti di diritto pubblico investiti del compito della ricostruzione ed incaricati non solo della formulazione dei programmi e della redazione dei piani, ma anche della progettazione e della esecuzione delle opere relative.
Per quanto riguarda l'edilizia ammessa a contributo invece occorre anzitutto osservare che i dati relativi alla ricostruzione si presentano in forma sommaria. Inoltre tali dati riguardano solo il numero dei progetti approvati e finanziati e, per ciò stesso, non consentono un confronto tra le quantità fisiche delle opere programmate ed eseguite, anche perchè un unico progetto ammesso al finanziamento potrebbe — in teoria — comprendere più alloggi (1).
Inoltre, è ben noto che le competenze relative all'approvazione dei progetti, alla concessione del contributo ed alla effettiva erogazione del contributo stesso sono profondamente mutate, durante l'arco dei 12 anni trascorsi dalla data del sisma, ed hanno visto di volta in volta, come protagonisti, l'Ispettorato generale per de zone terremotate, il Provveditorato alle opere pubbliche e le Amministrazioni comunali. Per tali motivi, sarebbe estremamente arduo il compito di ricostruire in dettaglio il percorso seguito dai diversi progetti e, per gli stessi motivi, l'esposizione della materia oggetto di questo paragrafo sarà più sintetica. Come si è già osservato all'inizio, gli alloggi da costruire a cura dei proprietari con il contributo dello Stato rappresentano la parte più cospicua del nuovo patrimonio residenziale delle aree di trasferimento. In base alle previsioni formulate dall'ISES, su di un totale di 16.685 nuovi alloggi da costruirsi nei 14 comuni, ben 14.207, pari all'85 per cento del numero complessivo di abitazioni, avrebbero dovuto usufruire del contributo, mentre solo 2.478 alloggi, pari al 15 per cento del totale, avrebbero dovuto essere realizzati a totale carico dello Stato (2). Nei programmi di trasferimento elaborati, in seguito, dalla Commissione tecnica ex articolo 12, e nelle diverse fasi di elaborazione e revisione di tali programmi, tali cifre subiscono variazioni anche rilevanti, ma il rapporto proporzionale tra le due categorie di opere rimane quasi invariato (3).
(1) In realtà, come sarà osservato più avanti, molti dei proprietari ammessi a beneficiare del contributo dello Stato hanno mostrato una spiccata preferenza per le abitazioni unifamiliari. Va però osservato che un numero anche non molto rilevante di edifici plurifamiliari potrebbe influire in misura tutt'altro che trascurabile nel computo nel numero degli alloggi e dei relativi vani.
(2) Cfr. gli articoli 1 e 3 del decreto-legge 27 febbraio 1968, n. 79, convertito con modificazioni nella Legge 1$ marzo 1968, n. 241.
(3) Su questo argomento, si rimanda al capitolo di questa relazione dedicato airesame dei diversi programmi di trasferimento.
Tra il 1969 ed il 1974, dopo le inevitabili correzioni ed i numerosi aggiustamenti intervenuti anche in seguito al dialogo instauratosi nel frattempo con le Amministrazioni comunali interessate, la Commissione tecnica perviene alla redazione di programmi di trasferimento che possono essere considerati come definitivi, almeno per la parte che riguarda l'edilizia abitativa. Sempre per l'insieme dei 14 Comuni, tali programmi prevedevano la costruzione di 14.737 nuovi alloggi, di cui 12.286 ammessi a contributo e 2.451 da costruirsi a totale carico dello Stato. Rispetto alle previsioni ISES, elaborate a pochi mesi di distanza dall'evento sismico, si ha quindi una riduzione pari all'I 1,7 per cento del numero complessivo degli alloggi, pari al 13,5 per cento del numero degli alloggi aimmessi a contributo e- pari all'1,1 per cento del numero degli alloggi a totale carico dello Stato.
In conseguenza di ciò, la ripartizione degli alloggi tra le due categorie diviene, rispettivamente, dell'83,7 per cento e del 16,3 per cento del totale. Le cifre sopra indicate si riferiscono, come si è detto a valori medi. Ma anche a voler considerare i singoli programmi di trasferimento dei diversi Comuni la situazione non muta sostanzialmente, pur se l'incidenza degli alloggi a contributo fa registrare punte minime del 79,7 per cento nel comune di Vita e punte massime del 94,9 per cento nel comune di Sambuca di Sicilia (1). Si può dunque affermare che il numero degli alloggi e degli edifici ammessi a contributo è ovunque nettamente preponderante su quello degli alloggi e degli edifici da realizzarsi a totale carico dello Stato. In proposito, si deve tener conto del fatto che i privati che hanno usufruito del contributo hanno in genere dimostrato una spiccata tendenza verso gli edifici unifamiliari, mentre le associazioni di alloggi sono molto più frequenti — e quasi costituiscono la norma — tra i complessi residenziali realizzati a totale carico dello Stato. Di conseguenza, se il conteggio fosse stato effettuato in base al numero degli immobili, anziché in base al numero degli alloggi, le percentuali indicate aumenterebbero ulteriormente a favore delle residenze ammesse a contributo. Data questa situazione, non poteva sussistere il minimo dubbio, sul fatto che sarebbero stati proprio gli edifici costruiti ad iniziativa dei privati con il contributo dello Stato quelli che avrebbero determinato le caratteristiche fondamentali della trama edilizia e, in definitiva, improntato di sé l'ambiente urbano dei nuovi insediamenti. Ci si sarebbe quindi potuto attendere che, in sede di progettazione urbanistica e di redazione degli elaborati plano-volumetrici, si ponesse la massima «attenzione alla normativa tecnico-edilizia relativa a tali edifici, onde far sì che i nuovi centri abitati fossero opportunamente caratterizzati e formassero un ambiente urbano sufficientemente omogeneo, evitando, per quanto possibile, la confusione di forme architettoniche
(1) Il « coefficiente di variazione » (CV), che costituisce un indice particolarmente sensibile della dispersione dei dati intorno al valore centrale è pari a 33,7: un valore che può considerarsi non troppo elevato e che indica quindi resistenza di una relativa uniformità della situazione esistente nei 14 comuni. Tale uniformità è notevolmente più marcata nei 4 comuni a trasferimento totale, con un CV pari ad appena 9,1.
e di tipi edilizi che di solito si ingenera quando un nuovo insediamento sorge in breve tempo come sommatoria di singole iniziative individuali, non coordinate tra di loro. In proposito, è doveroso sottolineare che il problema di formulare una regolamentazione urbanistico-edilizia capace di garantire un sufficiente grado di unitarietà dell'insediamento, senza tuttavia prevaricare le legittime aspirazioni degli individui e delle famiglie per quanto concerne le caratteristiche degli alloggi, non è certo un problema di facile soluzione. Tuttavia, numerose esperienze effettuate all'estero, ed anche alcuni esempi di quartieri residenziali realizzati nel nostro Paese, hanno ampiamente dimostrato che una normativa efficace può essere adottata ed applicata proprio in quelle situazioni in cui le autorità preposte all'approvazione dei progetti ed al controllo dello sviluppo urbanistico siano in grado di intervenire anche in merito agli aspetti economici e finanziari dell'operazione. In altre parole, quando l'approvazione del progetto in sede tecnica sia strettamente correlata alla concessione di contributi sul costo dell'opera o ad altre forme di agevolazione finanziaria, fiscale o creditizia. Inutile sottolineare che questo era proprio il caso della costruzione dei nuovi insediamenti residenziali nelle zone di trasferimenti dei 14 Comuni della Valle del Belice maggiormente colpiti. L'importanza, del resto ovvia, dell'entità del contributo ai fini della decisione di ricostruire è ulteriormente messa in evidenza da un breve esame dell'andamento nel tempo del numero dei progetti approvati e finanziati in questo particolare settore. Fino a tutto il 1975, a quasi otto anni di distanza dall'evento sismico, nell'insieme dei 14 comuni erano stati approvati e finanziati progetti per 1.198 costruzioni residenziali pari, grosso modo, all'8 per cento delle quantità previste dai programmi di trasferimento. Dopo l'entrata in vigore della legge 29 aprile 1976, n. 178, che in determinati casi eleva l'ammontare del contributo fino a coprire il costo totale della costruzione (1) il ritmo delle domande subisce una rapida accelerazione: nel triennio 1976-78 sono stati infatti finanziati ed approvati 3.406 progetti, contro gli 885 progetti finanziati ed approvati nel triennio precedente. Nel complesso, alla data del 22 ottobre 1980, risultavano approvati e finanziati 7.264 progetti, pari air88,9 per cento delle domande presentate e presumibilmente destinati a coprire più del 50 per cento del fabbisogno previsto dai programmi di trasferimento redatti dalla Commissione tecnica ex articolo 12. I dati esposti nella Tabella II, disaggregati per Province, permettono un più puntuale esame dell'andamento dei finanziamenti approvati.
(1) La normativa in tema di contributi è estremamente intricata per il continuo succedersi di norme modificative o sostitutive le une delle altre. Tuttavia si possono individuare due fasi: nella prima, legata alla legge n. 241 del 1968 ed alle successive modificazioni, i contributi furono commisurati a percentuali della spesa sostenuta dai proprietari — variabili a seconda della posizione di reddito risultante dall'iscrizione nei ruoli delle imposte di ricchezza mobile e complementari e del numero degli immobili posseduti — entro limiti massimi di importo oscillanti fra 6 e 12 milioni a seconda della consistenza delle unità immobiliari e del nucleo familiare dei proprietari. La disciplina base fu innovata dalle leggi 858/1968 e 21/1970 sotto il profilo delle procedure per la concessione dei contributi e dalla legge 504/1974 per quanto concerneva gli importi massimi, che venivano ad essere aumentati fino a cifre variabili fra gli 8 e i 14 milioni. La seconda fase iniziò con la legge 178 del 1976 e proseguì con le successive nn. 289 e 464 del 1968. Il cambiamento d'indirizzo fu radicale; l'articolo 3 della legge n. 178 del 1976 recita testualmente: « Si provvede... alla concessione di contributi pari al costo di costruzione limitatamente ad una unità immobiliare da utilizzarsi per l'abitazione del proprietario ». Per altro la determinazione del costo di costruzione e quindi duella spesa ammissibile avveniva in via parametrica secondo le modalità del successivo art. 4; il costo così indicato non coincideva quindi necessariamente con quello reale. (Questa circostanza è stata fonte di insoddisfazione nelle popolazioni interessate, in dipendenza del ritardato ed insufficiente adeguamento dei parametri del costo da parte del Ministero dei lavori pubblici e della interpretazione restrittiva che in una occasione è stata data dall'Ispettorato Generale per le zone terremotate delle norme di un decreto ministeriale che avevano disposto un adeguamento nella misura del 30 per cento, norme che si rese necessario riformulare).
TABELLA II — ALLOGGI A CONTRIBUTO NEI 14 COMUNI SOGGETTI
A TRASFERIMENTO TOTALE O
PARZIALE DEGLI ABITATI -
PROGETTI FINANZIATI PER PROVINCIA E PER ANNO
Dai documenti acquisiti dalla Commissione non risulta, però, che sia stato compiuto alcun serio tentativo di trar partito da questa situazione potenzialmente favorevole per pervenire ad un migliore assetto urbanistico ed edilizio delle zone di trasferimento. I documenti tecnici redatti dall'ISES si limitano a richiamare la normativa per le costruzioni in zone sismiche di prima e seconda categoria ed a prescrizioni di ordine quantitativo circa gli indici di fabbricabilità, il rapporto di copertura ed i distacchi tra gli edifici e tra questi ed il filo stradale, oltre ad una sommaria descrizione delle tipologie edilizie da adottare (1). Come conseguenza di questo stato di cose, il tessuto urbanistico-edilizio delle zone di trasferimento si presenta confuso ed abbastanza caotico, non immediatamente distinguibile dalle agglomerazioni sorte spontaneamente ai margini dei centri abitati, in assenza di qualsiasi forma di pianificazione. Solo di rado, nei nuovi insediamenti, è dato intravvedere la struttura dei progetti urbanistici originari che invece, almeno sulla carta, apparivano quasi sempre fortemente caratterizzati. Non è questa la sede per affrontare un esame di merito delle caratteristiche urbanistico-architettoniche dei progetti relativi alle zone di trasferimento. Si può dire in via generale che il trasparente riferir mento a modelli scandinavi, o comunque di derivazione nordica, pur se comprensibile ove venga rapportato al contesto culturale dell'epoca, appare quantomeno incongruo in relazione alle marcate caratteristiche geografiche, socio-economiche ed ambientali della Sicilia occidentale. E' invece importante sottolineare il fatto che gli insediamenti preesistenti erano in genere solidamente strutturati dal punto di vista urbanistico e (ricchi di episodi di grande interesse architettonico. In tali insediamenti, le inevitabili aggiunte e trasformazioni del tessuto edilizio si erano venute gradualmente conformando coi caratteri dominanti degli ambienti storicamente determinati, qosì da formare un insieme unitario in cui i singoli abitanti potevano facilmente trovare un giusta collocazione, e nel quale potevano di buon grado identificarsi. Valga per tutti l'esempio di Poggioreale che, pur essendo annoverato tra i Comuni a trasferimento totale, conserva ancora intatta gran parte delle strutture murarie esterne degli edifici. Tali strutture restano a testimoniare, fin nei più minuti dettagli costruttivi e decorativi, l'alto livello di civiltà architettonica raggiunto, nonché il costante rispetto per la « scala umana » nel dimensionamento delle strade, delle piazze e degli altri ambienti per la vita di relazione. È anche altamente probabile che il passaggio brusco e senza transizione (o, per meglio dire, con un periodo di transizione costituito dalla provvisorietà della vita in baracca) da un tale antichissimo ambiente ed agglomerati confusi e certamente meno suggestivi potrà avere ripercussioni diverse, e non sempre prevedibili sul tessuto umano e sociale delle popolazioni.
(1) Vero è che in materia normativa avrebbe dovuto essere preminente la competenza dei Comuni, anzitutto attraverso il regolamento edilizio annesso al programma di fabbricazione e, poi, in sede di approvazione dei progetti. Tuttavia, dato il ruolo egemone esercitato dall'ISES durante le fasi iniziali del processo di ricostruzione, e considerato il ritardo cui vennero in genere adottati ed approvati gli strumenti urbanistici comunali, non sarebbe stata inopportuna una maggiore attenzione a questo delicatissimo problema, sia da parte dell'ISES che da parte dell'Ispettorato.
Le tensioni potenziali derivanti da tali fratture non sono ovviamente ancora pienamente evidenti, anche perchè, nei paesi distrutti o gravemente danneggiati dal sisma, è tuttora presente, sia pure in forme sempre più attenuiate, la forza aggregante che deriva dal comune anelito alla ricostruzione e alla normalizzazione. Alla luce di queste considerazioni possono suscitare perplessità le scelte, generalmente operate dai progettisti, di disperdere gli edifici a totale carico dello Stato (e quindi progettati e costruiti in modo unitario, se pur non uniforme) nelle maglie del nuovo tessuto residenziale, anziché raggrupparli in un unico quartiere. Su tale questione si deve, al momento, sospendere il giudizio. E' presumibile che tali scelte siano state dettate dalla volontà di evitare quartieri troppo fortemente caratterizzati, anche dal punto di vista sociale, che avrebbero potuto ingenerare tensioni tra le diverse categorie di cittadini: proprietari ed affittuari (1). Si può anche supporre che, in tal modo, si sia sperato di innescare una sorta di processo imitativo, attraverso il quale i privati si sarebbero spontaneamente adeguati alle caratteristiche degli edifici realizzati direttamente dalla mano pubblica; o almeno ad alcune di esse. Se questo era l'obiettivo, si può affermare che esso non è stato raggiunto. Si può tuttavia stabilire fin d'ora che sarebbe errato, oltre che ingeneroso, attribuire ai progettisti l'intera responsabilità di questo stato di cose. Molti piani di trasferimento, infatti, testimoniano della volontà e degli sforzi compiuti dagli architetti e dagli urbanisti incaricati per realizzare ambienti a misura d'uomo, provvisti dei servizi e delle attrezzature indispensabili, ben articolati dal punto di vista funzionale e facilmente identificabili. Se mai, si può rimproverare ai progettisti di aver fatto troppo affidamento sulla suggestione del disegno, senza porre sufficiente attenzione agli aspetti, certo meno gratificanti, ma non per questo meno necessari, della normativa urbanistico-edilizia. In questo campo fondamentale, sembra però che sia mancata la funzione di coordinamento dell'ISES e, soprattutto, dell'I spettorato Generale per le zone terremotate cui, in definitiva, spettava il potere effettivo di decisione e di controllo. E' molto difficile stabilire se tali carenze siano da attribuirsi ad insufficienze della struttura e dell'organico di tale ente, al clima di urgenza e di tensione in cui sono stati avviati i lavori di programmazione degli interventi, oppure alla mancanza d'iniziativa o di preparazione dei suoi dirigenti. Certo è che, tra le tre figure fondamentali che hanno operato nell'ambito della ricostruzione: singoli progettisti o gruppi di progettazione. ISES ed Ispettorato, quella visione d'insieme che sarebbe stata necessaria ed auspicabile è mancata. Come sarà meglio chiarito anche in seguito, la mancata integrazione tra i vari momenti della programmazione, progettazione ed esecuzione dei lavori si riflette pure sullo stato di frammentarietà dei dati posti a disposizione della Commissione.
(1) Il ricordo della non remota esperienza dei quartieri INA/CASA e di quelli più vicini nel tempo realizzati dalla GESCAL potrebbe essere stato determinante nell'orientare tali scelte.
(Segue)150
Urbanizzazioni primarie (opere stradali)
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