19 Luglio
Nel pomeriggio del 19 luglio 1992 a Palermo avviene la strage di Via D’Amelio, un attentato di matrice mafiosa in cui perdono la vita il giudice antimafia Paolo Borsellino e cinque membri della sua scorta.
La bomba venne radiocomandata a distanza ma non è mai stata definita l’organizzazione della strage, nonostante il giudice fosse a conoscenza di un carico di esplosivi arrivato a Palermo appositamente per essere utilizzati contro di lui.
Dopo l’attentato, l’”agenda rossa” di Borsellino, agenda che il giudice portava sempre con sè e dove annotava i dati delle indagini, non venne ritrovata.
Quel giorno, dopo aver pranzato a Villagrazia con la moglie Agnese e i figli Manfredi e Lucia, Paolo Borsellino si recò insieme alla sua scorta in via D’Amelio, dove viveva sua madre.
Una Fiat 126 parcheggiata nei pressi dell’abitazione della madre con circa 100 kg di tritolo a bordo, esplose al passaggio del giudice.
L’unico sopravvissuto fu Antonino Vullo, ferito mentre parcheggiava uno dei veicoli della scorta.
I familiari del giudice optarono per una cerimonia funebre privata. Si tennero invece i funerali di stato per i cinque agenti della scorta e durante la cerimonia vi furono tafferugli e forti proteste nei confronti dei rappresentanti dello Stato.
Pochi giorni prima di essere ucciso, durante un incontro organizzato dalla rivista MicroMega, così come in una intervista televisiva a Lamberto Sposini, Borsellino aveva parlato della sua condizione di “condannato a morte“.
Sapeva di essere nel mirino di Cosa Nostra e sapeva che difficilmente la mafia si lascia scappare le sue vittime designate.
A differenza della strage di Capaci in cui morì Giovanni Falcone, riguardo alle responsabilità sull’eccidio di via D’Amelio si è sempre sospettato un maggior coinvolgimento di un’entità che andasse oltre la sola Cosa nostra, arrivando piuttosto a lambire ambienti attigui a quelli istituzionali: in particolare il sistema deviato del Sisde.
Un episodio ancora lontano dall’essere chiarito e in cui l’ingorgo di verità ha inesorabilmente impantanato il delicato lavoro dei magistrati della Procura di Caltanissetta che indagano ancora oggi sulla strage.
Su via D’Amelio ci sono le verità dei politici di allora come l’ex ministro degli Interni Nicola Mancino che non ricorda d’aver incontrato il giudice Borsellino pochi giorni prima della strage; e le verità dei collaboratori di giustizia, e di un capomafia storico come Totò Riina che dalla sua cella ha rimarcato l’estraneità di Cosa nostra rispetto a questo episodio.
Ci sono poi le parole di Massimo Ciancimino, che negli ultimi anni ha deciso di raccontare agli inquirenti quelle verità rivelategli dal padre Vito, e relative alla presunta trattativa fra Stato e mafia avviata già all’indomani dell’attentato.
Ci sono infine le verità scritte dallo stesso giudice Borsellino sulla sua agenda rossa, sparita misteriosamente da via D’Amelio pochi minuti dopo l’agguato e mai più recuperata.
Antonino Caponnetto, che subito dopo la strage aveva detto, sconfortato, “Non c’è più speranza…“, intervistato anni dopo da Gianni Minà ricordò che “Paolo aveva chiesto alla questura – già venti giorni prima dell’attentato – di disporre la rimozione dei veicoli nella zona antistante l’abitazione della madre. Ma la domanda era rimasta inevasa. Ancora oggi aspetto di sapere chi fosse il funzionario responsabile della sicurezza di Paolo, se si sia proceduto disciplinarmente nei suoi confronti e con quali conseguenze“.
Salvatore Borsellino, fratello di Paolo, parla esplicitamente di “strage di Stato“:
« Perché quello che è stato fatto è proprio cercare di fare passare l’assassinio di Paolo e di quei ragazzi che sono morti in via D’Amelio come una strage di mafia. [...] Hanno messo in galera un po’ di persone – tra l’altro condannate per altri motivi e per altre stragi – e in questa maniera ritengono di avere messo una pietra tombale sull’argomento. Devo dire che purtroppo una buona parte dell’opinione pubblica, cioè quella parte che assume le proprie informazioni semplicemente dai canali di massa – televisione e giornali – è caduta in questa chiamiamola “trappola” [...] Quello che noi invece cerchiamo in tutti i modi di far capire alla gente [...] è che questa è una strage di stato, nient’altro che una strage di stato. E vogliamo far capire anche che esiste un disegno ben preciso che non fa andare avanti certe indagini, non fa andare avanti questi processi, che mira a coprire di oblio agli occhi dell’opinione pubblica questa verità, una verità tragica perché mina i fondamenti di questa nostra repubblica. Oggi questa nostra seconda repubblica è una diretta conseguenza delle stragi del ‘92 ».
(Iniziativa Laica)
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