26 Luglio
Il Cardinale Roberto Belarmino il 26 luglio 1614 scrive all’Inquisitore di Modena, affinché vigili sui libri e le pubblicazioni della sua diocesi, vedendo che “di giorno in giorno va sempre più crescendo il numero de’ libri infetti e pernitiosi che specialmente nelle parti straniere.. si vendono e si stampano…è necessario che non si dormi…non manchi avisarne subito la S. Congregazione dell’Indice…”.
La lettera appartiene ad una fase avanzata della Controriforma. La Congregazione dell’Indice era stata istituita un quarantennio prima e le preoccupazioni del cardinale riguardano la diffusione sempre più ampia di libri eretici.
Dalle attive stamperie di Leida, Amsterdam, Basilea, Francoforte, Londra e Lione si diffondevano in Europa audaci novità religiose, e Bellarmino dichiara l’impotenza della Chiesa ad arrestare una sempre più libera circolazione dei libri e delle idee. Con sgomento il cardinale, uomo di chiesa tra i più tragicamente rigidi della sua epoca, vedeva un’Europa frantumata in confessioni diverse e stabilmente definitive. Si poteva continuare a parlare di cristianità, ma la realtà era profondamente mutata.
Con realismo, il Cardinale prendeva atto che l’opera di argine “contro le incarnazioni di Satana” non poteva essere più svolto in tutta Europa, ma “in queste nostre parti d’Italia”. In questo realismo, nella presa d’atto di un fallimento culturale, consiste la novità della lettera inviata all’Inquisitore di Modena.
Roberto Bellarmino (1542-1821) a diciotto anni entrò nella Compagnia di Gesù che lo fece studiare dapprima a Roma poi a Lovanio. In quest’ultima sede conobbe approfonditamente le dottrine riformistiche e divenne noto predicatore.
Ordinato sacerdote, scrisse le “Le Controversie del Cristianesimo“, massima opera della dottrina cattolica contro le tesi riformistiche.
Il suo nome è legato a tutti le più importanti questioni dottrinali e politiche del suo tempo (processi a Giordano Bruno e Galileo).
Egli fece parte della commissione finale per la revisione del testo della Vulgata.
Questa revisione era stata oggetto di una specifica richiesta del Concilio di Trento, per controbattere le tesi protestanti; i papi posttridentini avevano operato per questo compito alacremente, portandolo quasi a realizzazione completa.
Sisto V, per quanto non dotato di competenze specifiche in materia biblica, aveva introdotto delle modifiche al Sacro Testo in modo eccessivamente leggero e rapido, con vistosi errori. Per accelerare i tempi aveva comunque fatto stampare questa edizione e in parte la fece distribuire con il proposito di imporne l’uso con una sua bolla. Tuttavia morì prima della promulgazione ufficiale e i suoi immediati successori procedettero subito a togliere dalla circolazione l’edizione errata per farne una corretta.
Il problema consisteva nell’introdurre un’edizione più corretta senza però screditare inutilmente il nome di Sisto V.
Bellarmino propose che la nuova edizione dovesse portare sempre il nome di Sisto V, con una spiegazione introduttiva secondo la quale, a motivo di alcuni errori tipografici o di altro genere, già papa Sisto aveva deciso che una nuova edizione dovesse essere intrapresa.
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