zione
per i tipi del Mulino. Perché unico? Vetrate di quel genere certo non mancavano
nelle chiese dell'epoca. Anzi, sottolinea Rizzi, rappresentavano uno dei tratti
distintivi dello stile gotico che si era diffuso in tutta l'Europa a partire
dal XII secolo. Fedeli alle indicazioni di Papa Gregorio Magno, gli architetti
e gli artisti avevano sostituito con vetri colorati gli affreschi e i mosaici
fino ad allora utilizzati per dar vita ad una «Bibbia dei poveri», vale a dire
le immagini che illustravano episodi salienti dell'Antico e del Nuovo
Testamento. Immagini che, da sinistra verso destra, raccontavano ai più, che
non sapevano leggere e scrivere, la storia dei capitoli della fede: creazione,
redenzione, giudizio. Ma dell'Anticristo non si parlava mai. O quasi. E invece
nella chiesa di Francoforte ben 35 raffigurazioni furono riservate
all'Anticristo, così come era stato raccontato dall'abate Adsone del monastero
di Montier-enDer (967) alla regina Gerberga, sorella di Ottone I e moglie di
Luigi IV d'Oltremare, nel celeberrimo LibeKus de Antichristo. Si trattava dei
«falsi miracoli del figlio della perdizione», che «trasforma le pietre in pane
per sfamare i suoi seguaci», fa «scendere il fuoco dal cielo e risorgere i
morti», regala «ingenti quantità di oro» (alla «distribuzione fraudolenta della
ricchezza» vengono dedicati nella chiesa ben quattro riquadri). Nelle vetrate,
l'Anticristo predica due volte. La prima nel tempio, la seconda di fronte a una
croce rovesciata. In entrambe le situazioni, nota Rizzi, tra gli ascoltatori
che portano sulla fronte il segno della perdizione compare anche un ebreo,
riconoscibile dal caratteristico cappello a punta; in un altro riquadro, un
gruppo di ebrei attende qualcuno o qualcosa sulle rive di un fiume; un ebreo
infine è presente nella scena in cui alcuni fedeli pregano dinanzi al
crocefisso, «forse per indicare la conversione del popolo ebraico che deve
precedere il ritomo di Cristo». In ogni caso, ove mai ci fossero, «gli accenti
polemici non sembrano particolarmente evidenti, dato che gli ebrei non
compaiono nelle scene che illustrano le persecuzioni dell'Anticristo contro i
cristiani». E questo è un elemento di non scarso rilievo. Ma torniamo alle
origini dell'Anticristo, rifacendoci anche a quel che ne scrissero alla fine
dell'Ottocento Wilhelm Bousset e Hermann Gunkel in libri che da noi non sono
mai stati tradotti, un secolo dopo Bernard McGinn nel celeberrimo L'Anticristo.
Duemiia anni di .fascinazione dei moie (Corbaccio) e, in tempi più recenti, lo
stesso Rizzi e Gian Luca Potestà nei due straordinari volumi antologici
intitolati I! nemico dei tempi /inaii e II Figlio della perdizione, editi dalla
Fondazione Valla/Mondadori. Scopo del nuovo saggio di Rizzi è quello di
«mostrare come sono nate riflessioni e preoccupazioni che nell'Europa
secolarizzata di oggi possono apparire farneticanti, ma che per lungo tempo
hanno costituito paure e speranze vive e pulsanti nel cuore della vita e per
alcuni lo sono tuttora». Per quanto possa sembrare bizzarro, la figura dell'Anticristo
compare secoli e secoli prima della stessa nascita di Cristo. Ovviamente senza
prendere quel nome che verrà definito m ogni suo fondamentale as
petto da Ireneo, vescovo di Lione vissuto nella seconda metà
del II secolo («nel pieno di un grandioso conflitto ideologico dottrinale
consumatesi tra cristiani, ebrei e altri gruppi religiosi»). Rappresenta,
nell'antichità, il male assoluto che «si manifesterà in tutta la sua malvagità
alla fine dei tempi, ingaggiando l'ultima e più drammatica battaglia per
impedire la redenzione del mondo». Per la prima volta in mitologie
mesopotamiche «che raccontano di una bestia apocalittica, drago o serpente»,
impegnata in questo scontro finale tra il bene e il male. Nell'Antico
Testamento ne parlano i profeti Daniele ed Elia, che descrivono i «tempi
terribili in cui i giusti saranno perseguitati e uccisi da serpenti e altre
bestie spaventose, un po' leoni un po' leopardi, un po' aquile dagli artigli di
ferro». A ridosso della nascita di Cristo «le sue tracce si manifestano m
scritti ebraici non compresi nel canone biblico, i cosiddetti apocrifi
veterotestamentari»; infine «alcuni passi dei Vangeli dell'Apocalisse e di altri
scritti del Nuovo Testamento ne rivelano appieno il volto e l'ultimo nome,
Anticristo appunto». Va notato che «dalle Lettere di Giovanni, dove la parola
compare per la prima volta, è assente ogni dimensione di violenza,
persecuzione, morte, insomma l'immaginario sanguinolento che costituisce la
caratteristica propria dell'Anticristo nelle sue rappresentazioni successive e
in quelle (presunte) precedenti», È di Giovanni l'individuazione del «suo»
numero: 666. Con quella cifra, «ricapitolerà in sé tutto il male avvenuto sino
ad allora, giacché Noè aveva seicento anni quando venne il diluvio a
distruggere tutti gli esseri viventi, dopodiché si diffuse l'idolatria e
vennero perseguitati e uccisi i giusti, come indica la statua alta sessanta
cubiti e larga sei innalzata da Nabucodonosor», che i tré fanciulli Anania,
Azaria e Misaele si rifiutarono di adorare, cosa per cui, racconta Daniele,
vennero gettati nel fuoco. Fin da allora «costituisce la rappresentazione del
male assoluto, una paura proveniente dall'oscurità più remota del mondo, da
individuare e da esorcizzare». Poi compare in maniera definitiva nella seconda
lettera di Paolo ai cristiani di Tessalonica. E qui è centrale il tema
dell'inganno, di quell'entità che oserà «sedersi nel tempio di Dio, mostrandosi
come fosse Dio», in modo da indurre i fedeli in errore. Finché «verrà svelato
l'iniquo» e il Signore lo «distruggerà con il soffio della sua bocca». Un altro
vescovo, a seguito di Ireneo, aveva pubblicato un manuale per riconoscere
l'Anticristo: Ippolito, di cui si sa appena che visse a cavallo tra il II e il III secolo dopo Cristo. Ippolito aveva confermato che l'Anticristo si sarebbe
comportato «come un falso messia, un arnese del Diavolo, richiamando a sé tutto
il popolo d'Israele da ogni terra in cui ormai vaga disperso, trattandolo come
se fosse quello dei suoi figli, promettendo di ricollocarlo nella sua terra e
di ricostruire il regno e il tempio di Gerusalemme, per essere adorato come un
dio, secondo le parole dei profeti». L'Anticristo «chiamerà a sé l'intera
umanità promettendole la salvezza, mentre non sarà in grado di salvare neppure
se stesso, quando tornerà il Signore per cancellarlo con il soffio della sua
bocca». All'inizio «per perseguitare i cristiani, l'Anticristo raccoglierà
intomo a sé il popolo che sempre è stato infedele a Dio: gli ebrei. Dopo aver
respinto la verità, dapprima trasgredendo la legge di Mosè, poi ucci dendo i
profeti, crocifiggendo lo stesso Gesù, perseguitando i suoi apostoli,
persistendo nell'odio verso Dio, si sottometteranno infine ad un uomo mortale,
illudendosi di poter aver giustizia da lui, che si rivelerà invece giudice
iniquo». Verrà poi un'epoca in cui l'Anticristo sarà identificato con Nerone
(da Commodiano e da Vittorino ad esempio). Pochi anni dopo l'impero verrà
riabilitato (da Lattanzio) ai tempi di Costantino. Trascorrerà meno di un
secolo allorché Ambrogio (340-397), quando i Goti sconfiggeranno l'esercito
romano e uccideranno l'imperatore Valente (378), identificherà quei barbari con
Gog e
Magog, i misteriosi popoli che avrebbero dovuto affiancare
l'Anticristo nella persecuzione finale contro i cristiani. Ma Girolamo
(347-420) prenderà le distanze da quel giudizio. Quando poi Roma verrà
saccheggiata dai Visigoti di Alarico (410), saranno in molti a intravedere la
spaventosa figura all'origine di quell'episodio. E qui siamo al centro della
questione ebrei e Anticristo. Seguendo l'insegnamento di Paolo nella Seconda
lettera ai Tessalonicesi, Girolamo pensava che Dio avrebbe inviato infine agli
ebrei l'«operatore della menzogna e la fonte stessa dell'errore», perché non
avevano voluto «accogliere la carità e la verità portata da Gesù», che sola
avrebbe potuto salvarli. Se «almeno l'Anticristo fosse nato da una vergine e
fosse venuto al mondo prima di Cristo», osservava Girolamo, «gli ebrei
avrebbero avuto una scusa per dire che erano stati ingannati e, credendo si
trattasse della verità, si erano fatti abbindolare dalla menzogna». Ora invece,
dovevano «essere giudicati, anzi, senz'altro condannati» perché stavano per
accogliere l'Anticristo, «dopo aver disprezzato la verità di Cristo».
Agostino
d'Ippona (354-430) «non era affatto convinto di questa complessa spiegazione,
non solo perché Roma era caduta e nulla era cambiato nel popolo ebraico, che se
ne rimaneva sconfitto e disperso, bensì perché il punto centrale della sua
visione ruotava intomo alla Chiesa e all'invisibile confine che separava i veri
credenti da quelli che "erano dentro, tra noi", ma non erano
"dei nostri"». Cristo, sosteneva Agostino, non verrà a giudicare i
vivi e i morti prima che il suo avversario non sia venuto a sedurre quelli che
sono morti nell'anima. Il tema dell'Anticristo si riproporrà potentemente a
ridosso dell'anno Mille e di quella riproposizione troveremo traccia sulle
vetrate della chiesa di Santa Maria a Francoforte sull'Oder, delle quali
abbiamo parlato all'inizio. Tornerà ancora prepotentemente all'inizio del
Cinquecento al momento della Riforma protestante. Scriverà Martin Luterò
all'amico Venceslao Unk: «¹ metto a parte delle mie fantasie, perché tu veda se
ho ragione a presagire che l'Anticristo, quello vero minacciato da Paolo,
domina nella curia di Roma; oggi come oggi, penso di poter dimostrare che Roma
è peggio dei turchi». Ed «esecrabile bolla dell'Anticristo» verrà definita da
Luterò quella emessa il 15 giugno 1520 da Papa Leone × per imporgli di
ritrattare alcune delle sue 95 tesi di Wittenberg. Nel 1563 appare il Libro dei
martiri di John Foxe, che colloca in Inghilterra il luogo esatto dove si
consumerà la «battaglia decisiva dell'ininterrotta guerra in atto tra Cristo e
Anticristo». Dall'America Latina Francisco de la Cruz, condannato a morte come
eretico nel 1578, annunciò «l'imminente castigo dell'Europa ad opera dei
turchi, che costringeranno i cristiani a rifugiarsi nel nuovo mondo, più
precisamente in Perù, la cui capitale. Lima, sarà la nuova Gerusalemme». Ai
tempi della Rivoluzione inglese, nel 1649, per giustificare la condanna a morte
di Carlo I, William Aspinwall disse che quel sovrano era «il piccolo como della
bestia del settimo capitolo del libro di Daniele» (ma Oliver Cromwell prese le
distanze da quella forma di radicalismo apocalittico). Nel 1793, David Austin
in La caduta della Babiionia mistica identificò negli Stati Uniti, da poco
indipendenti, «la pietra staccatasi dalla montagna che nel libro di Daniele
mette in moto il crollo della statua di Nabucodonosor» e previde che Cristo,
tornato sulla terra, avrebbe instaurato il suo regno in quel Paese «portatore
di libertà nonché di giustizia civile e religiosa». Nel Novecento ci si
interrogò ancora se l'Anticristo fosse Mussolini (il dubbio fu posto nel 1927
da Oswald J. Smith) o Adolf Hitler. Ci pensò Dietrich Bonhoeffer (che sarà
impiccato per complicità nell'attentato a Hitler del luglio 1944) a sgombrare
il campo da quelle supposizioni. Ma Hitler ebbe in ogni caso a che fare con
l'Anticristo. Allorché nel corso della Se conda guerra mondiale le cose per lui
cominciarono a mettersi male, diede ordine di smontare, imballare e tras
ferire a Potsdam le vetrate di Santa Maria a Francoforte, di
cui abbiamo parlato all'inizio. Temeva, a ragione, che potessero essere
danneggiate dall'offensiva russa sull'Oder, che in effetti avrebbe distrutto la
città e la chiesa. Non era la prima volta che ciò avveniva. Già nel 1830
l'architetto, pittore, urbanista Karl Friedrich Schinkel era stato autorizzato
a smontare i riquadri delle vetrate e nel restauro andarono persi otto
pannelli. Adesso però le cose andarono ancora peggio. Quando i russi entrarono
a Berlino da vincitori, ottennero che le vetrate, messe in salvo a Potsdam,
fossero considerate parte della compensazione per i danni subiti dalla Germania
e trasferite all'Ermitage di Leningrado (oggi San Pietroburgo). Poi però,
crollato nel 1989 il Muro di Berlino, esse furono restituite alla Germania
riunificata. Nel 2002 tornarono a casa i primi ni pannelli. E la Marienkirche,
i cui lavori di ricostruzione erano già iniziati negli anni Settanta, potè
tornare all'aspetto di sette secoli prima. Mancavano, è vero, sei pannelli che
si credevano perduti per sempre. «Questa ultima resistenza dell'Anticristo»,
scrive Marco Rizzi, «fu infine sconfitta nel 2005, quando vennero rinvenuti
poco fuori Mosca in un deposito del Museo Puskin». Che il luogo del
ritrovamento fosse m origine un monastero, sottolinea Rizzi, «permette di
aggiungere un'altra pagina al ricco capitolo dei rapporti tra i monaci e
l'Anticristo». Ma anche a quelli tra l'Anticristo e il Novecento
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