GIORNALE DI SICILIA
ben
difficilmente possono avere la trasparenza, intesa come visibilità, che
caratterizza le scelte politiche ed amministrative della più grande macchina
regionale.
Su tutto pesa la riduzione dei trasferimenti statali e regionali a
favore dei Comuni siciliani, fenomeno corretto, almeno in parte, con la
lievitazione delle imposte locali. Ciò che invece si giustifica meno, è l'espansione
senza fine della spesa, che non riesce a trovare un fattore di mitigazione
neppure in sette anni continui di crisi. Ne conseguono, per dirla con le parole
della Corte, «forti preoccupazioni per la tenuta degli equilibri di bilancio
dei Comuni, già nel breve periodo». Come dire che il disastro è dietro
l'angolo. I numeri del resto alimentano il pessimismo più nero.
Negli ultimi
tré anni la spesa corrente comunale è cresciuta di 240 milioni di euro, mentre
le entrate sono andate in direzione diametralmente opposta, fino al punto che
soltanto nell'esercizio 2014 lo scoperto (maggiori spese-minori entrate) ha
toccato il livello di 368 milioni di euro. Ben diversa invece la sorte toccata
alle spese per investimento, da anni in caduta libera; le spese correnti
assommano ormai ad un valore dieci volte superiore a quello delle spese per
investimenti. E ciò malgrado, come ricorda la Corte dei Conti, la strada sia
obbligata: «Arginare la spesa corrente e fornire adeguato sostegno allo sviluppo
locale tramite gli investimenti». Come si «difendono» i Comuni davanti a così
gravi difficoltà finanziarie?
Ricorrendo alle banche con le cosiddette
anticipazioni di cassa. Peccato però che soltanto nel 2013 siano maturati 260
milioni di anticipazioni non restituite. Può sembrare quasi ripetitivo
ricordare che l'ipertrofia delle spese correnti dei Comuni siciliani ha una
matrice precisa: l'eccessivo numero di dipendenti. Vero è che nel triennio 2011
-2013 dipendenti comunali sono diminuiti del 6%. Ma è altrettanto innegabile
che continuano ad esserci 50.431 occupati; «con una consistenza - sottolinea la
Magistratura contabile - seconda solamente a quella dei comuni della Lombardia,
dove però ci sono dieci milioni di abitanti rispetto ai cinque della Sicilia».
I precari, tra Comuni ed ex Province, superano le 18 mila unità. Rispetto a
questo scenario, non certo rassicurante, risulta immanente una polveriera.
La
Corte dei Conti ha accertato, infatti, 163 milioni di euro per debiti non
iscrìtti in bilancio ma già formalizzati, più 467 milioni di europerdebiti
anch'essi fuori bilancio ma da formalizzare. Ce ne sono altri? È probabile. La
«tendenza a dissimulare la reale esposizione debitoria» è «marcata». Del resto
soltanto nei 27 comuni che hanno avviato la procedura di riequilibrio
finanziario, è venuta fuori una massa debitoria da ripianare di altri 562
milioni di euro.
Dulcís in fundo, la Corte denuncia l'esistenza di un ulteriore
debito per 1.816 milioni a fronte della raccolta (si fa per dire) dei
rifiuti. Stiamo parlando di oltre tre miliardi di euro. Sono anni che la Corte
sollecita un intervento organico teso a ridurre la spesa pubblica, accrescere
l'efficienza dei servizi comunali ed abbattere drasticamente il numero dei
centri di spesa.
Analoghe considerazioni hanno trovato spazio in Commissione
Affari Costituzionali durante l'audizione della Corte sulla mancata riforma
delle Province. Per tutta risposta, l'Ars ha tagliato gettoni ed indennità
a sindaci, assessori e consiglieri comunali, salvo rinviarne gli effètti negli
anni a venire.
E così mancano all'appello altri 50 milioni di euro ogni anno!
Nessun commento:
Posta un commento