Sono rimasto stordito dal coro di consenso acritico a Tsipras, non solo per l’atavica abitudine italiana di schierarsi dalla parte del vincitore. Ma anche per la tentazione di sfidare ogni impulso europeista.
E che questo unifichi sinistra e destra estreme non mi pare casuale. Inneggiano al pianto greco da noi Vendola, Fassina e agli altri confluiti ad Atene coi loro troller, come se fosse l’adunata per una nuova guerra di Spagna (suggerisce opportunamente il paragone il Corriere di oggi).
Lo esaltano da noi Borghezio e Salvini, ma anche il pidino D’Attorre, la Meloni e Brunetta, con Civati e Ferrero.
Una nuova maggioranza tsiprasiana si staglia nel bel paese. Adorano lo strappo esaltato dai neonazisti di Alba dorata. Meraviglioso.
FEDERICO FUBINI, editorialista del Corriere della Sera
Sventolano le bandiere del No nella notte di piazza
Syntagma e su almeno uno slogan di quei manifesti chiunque sarà d’accordo:
graphoume istorìa , «scriviamo la storia». Dopo cinque anni di agonia, la
Grecia di Alexis Tsipras ha consumato il più grande strappo nella storia di 65
anni di integrazione europea.
Da stamattina il premier greco dovrà fare i conti
con le sue promesse che, entro poche ore, rischiano di rivelarsi altrettante
menzogne: aveva detto che l’accordo con il resto d’Europa ora sarebbe stato più
facile, che la Grecia sarebbe rimasta nell’euro e le banche avrebbero riaperto
domani. Non è certo che gli elettori manterranno l’ordine pubblico, quando
scopriranno di avere a che fare con l’ennesimo demagogo.
La Grecia ora è più sola e entra in un capitolo nuovo, del tutto imprevedibile. Ma riletta ora, in un’Atene lacerata, c’è un’altra pagina di storia che all’improvviso appare, perversamente, l’atto fondante di questa Unione Europea: la guerra di Spagna. Fu quello il primo episodio in cui migliaia di ragazzi da tanti Paesi accorsero a schierarsi nella guerra ideologica di uno solo.
La Grecia ora è più sola e entra in un capitolo nuovo, del tutto imprevedibile. Ma riletta ora, in un’Atene lacerata, c’è un’altra pagina di storia che all’improvviso appare, perversamente, l’atto fondante di questa Unione Europea: la guerra di Spagna. Fu quello il primo episodio in cui migliaia di ragazzi da tanti Paesi accorsero a schierarsi nella guerra ideologica di uno solo.
La Grecia di oggi non è la
Spagna degli Anni 30, se non altro perché per fortuna non è teatro di una guerra. Eppure un’occhiata ai voli delle compagnie a basso
costo che servono Atene da Roma o Madrid, qualche dubbio lo dà: fa sospettare
che la battaglia (politica) per la Grecia abbia una posta più vasta del futuro
del Paese o anche solo della moneta unica, e che l’Europa fatichi terribilmente
a liberarsi dei dèmoni della sua storia.
In questi giorni la capitale greca è diventata la meta di migliaia di militanti
e tifosi della politica accorsi a partecipare, respirare l’aria, sostenere
Tsipras. Il pellegrinaggio di Beppe Grillo è solo il caso più chiassoso di un
fenomeno di per sé tutt’altro che negativo.
Da tempo l’Europa è politica
interna. Il referendum consumato ieri sera però segna un salto di qualità e
spiega in parte perché ci sentiamo tutti piombati in questo labirinto ellenico.
Il dramma della Grecia si è scaricato sugli altri Paesi con una potenza emotiva
senza precedenti, ma in Italia e in Spagna più che altrove perché in questi
Paesi il No ha riscosso il sostegno più forte: quello di M5S e di Podemos.
PETER GOMEZ, direttore de Il FATTO-QUOTIDIANO.it
Senza infingimenti proprio il giorno del referendum il Sole 24
ore riportava in prima pagina una verità nota da anni: quel debito è carta
straccia. Non c’è nessuna possibilità che, in queste condizioni, i 300 e passa
miliardi di prestiti vengano restituiti. Anche se da domani venissero tassati
(come si dovrebbe fare) gli armatori o aumentasse l’Iva, la situazione non
cambierebbe di una virgola.
Discutere
sui torti e le ragioni di debitori e creditori è dunque un esercizio
interessante, ma non serve per risolvere il problema. Se gli altri Paesi
vogliono che la Grecia resti in Europa, non possono che procedere a un taglio radicale del suo debito.
L’alternativa
è il fallimento dello stato ellenico (per ora considerato semplicemente moroso)
e la creazione di una nuova valuta. Con il rischio (o meglio l’auspicabile
eventualità) che nel giro di qualche anno la Grecia si riprenda da sola,
dimostrando così che si può davvero farcela fuori dall’euro. Non un gran
risultato politico per tutti quei governi che impongono ai loro cittadini
sacrifici di ogni tipo sostenendo che non esiste altra strada.
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