Altiero Spinelli viene onorato come un grande padre dell’Unione Europea. Sennonché è rimasto un padre senza figli. Il suo progetto di Stati Uniti d’Europa, delineato nel 1941 a Ventotene, appare come un’utopia, che non ha avuto luogo e non si sa se e quando possa trovarlo. A leggerlo oggi suscita commozione e ironia. Vi si dice che la nazione è obsoleta, che avendo gli Stati nazionali seminato disastri all’ordine del giorno occorre porre la Federazione europea, che l’anima di questa dovrà essere l’emancipazione delle classi lavoratrici.
Il Manifesto di Ventotene si chiudeva in modo battagliero: «La via da percorrere non è facile, né sicura. Ma deve essere percorsa, e lo sarà!». Sembra di trovarsi di fronte al sogno di un visionario. Abbiamo infatti una Unione nominale ma non reale, fortemente incompiuta, difettosa, traballante.
La drammatica crisi greca, che è la crisi di un Paese entro quella dell’intera Unione, non rappresenta se non l’ultimo capitolo di uno storico insuccesso. La clamorosa vittoria dei “no” al referendum di Atene ne è, al di là di ogni altra cosa, lo specchio nero. La federazione si colloca in un orizzonte senza tempo. Si profilano sintomi di disgregazione a partire dalla possibilità concreta che la Gran Bretagna — tradizionale palla al piede di ogni avanzamento verso l’unificazione politica — abbandoni l’Unione; avendo a corona una proliferazione di movimenti ostili al progetto europeistico.
Chi semina vento raccoglie tempesta. E a farlo è stata l’Unione stessa. È sotto i nostri occhi come le tendenze variamente antieuropeistiche siano state e siano alimentate dai limiti organici della sua costruzione.
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