Il patrimonio culturale di Contessa Entellina, vasto e peculiare,
può essere raggruppato in due grossi filoni: uno fa riferimento ad
espressioni, che sono comuni a tante altre località, e l'altro invece é costituito da espressioni esclusive
della Comunità italo-greco-albanese.
Come tanti altri comuni della Sicilia infatti Contessa ha, nel suo
territorio, molteplici espressioni di patrimonio culturale costituite
principalmente da:
- testimonianze di
interesse storico-archeologico: ruderi del Castello di Calatamauro, scavi di Entella e di altri insediamenti antichi
locali, due ponti medioevali (uno sul torrente Chiarello e l'altro sul torrente Senore);
- testimonianze di
interesse monumentale e architettonico (Chiesa e Monastero di S. Maria del Bosco, chiese del Centro
abitato, cappelle rurali);
- testimonianze di vita
agricolo-pastorale (antichi casolari e antichi abbeveratoi, attrezzi agricoli, ecc.);
- bellezze paesaggistiche
e ambientali (Bosco di Calatamauro con la particolare flora e fauna, Monte Genuardo, Rocca Entella, ecc.) con vincoli di riserve
naturali o zone protette;
- testimonianze di
interesse artistico e artigianale (statue, paramenti e arredi sacri, tele,
affreschi, icone, bassorilievi, ecc.);
- testimonianze di
interesse documentale (volumi della biblioteca del Monastero di S. Maria del Bosco, archivio comunale, archivi
parrocchiali, archivi privati).
Il patrimonio culturale della Comunità locale italo-greco-albanese
invece é rappresentato da peculiari espressioni, il cui contenuto si può
ricondurre ai seguenti principali
aspetti:
- etnico-linguistico
(storia, usi, costumi, tradizioni, lingua, ecc. degli antenati albanesi);
- religioso (rito
bizantino greco: paramenti e arredi sacri, liturgia, iconografia, melurgia,
ecc.).
Le principali testimonianze ancora vive, che caratterizzano oggi
l'identità italo-albanese e greco-bizantina di Contessa sono la lingua, i costumi ed il rito,
in particolare manifestate in occasione delle festività religiose: Epifania,
Lazzaro, Venerdì Santo, Pasqua, festa principale dedicata alla Madonna della
Favara (8 settembre), S. Nicola e Immacolata.
Vara della Madonna della Favara
Dal secolo XVII in
Sicilia si diffonde l’uso di portare in processione le statue e le immagini di
Cristo, della Madonna e dei Santi, con dei fercoli sempre più preziosi e
artisticamente rifiniti, vere opere d’arte.
Avendo visto e
ammirato forse le famose e sempre più diffuse “vare” nelle processioni dei
paesi vicini (Sambuca, Sciacca, Giuliana, ecc.), i contessioti cominciano a
pensare di rendere più solenne la processione della Madonna della Favara
facendo costruire una vara.
Tale
desiderio viene realizzato nel 1838 dal comitato nominato, come ogni anno, per organizzare la festa dell’otto settembre
in onore della Madonna della Favara.
E’
parroco della Chiesa greca, in tale anno, don Epifanio Lojacono e sono
designati membri del Comitato don Giacomo Parrino, Don Giuseppe Plescia ed il
Signor Giovanni Cuccia, i quali nominano procuratore speciale, per gli
adempimenti connessi alla costruzione della vara, don Spiridione Lojacono.
Il
Comitato della festa del I838 dedica particolare impegno alla raccolta dei
fondi necessari sia per la costruzione della nuova vara sia per le
manifestazioni previste per la festa dell'8 settembre.
Sono
raccolte offerte in denaro ed in natura
in tutto il territorio di Contessa, sia nel centro abitato che presso le case
sparse nei feudi.
Nel
giorno undici maggio 1838 presso lo studio del notaio Giuseppe Donato viene
firmato a Palermo il contratto di costruzione della vara.
Nel
1838 la festa della Madonna viene celebrata quindi con particolare solennità
perché, per la prima volta, la statua è portata in processione su un nuovo
fercolo, la vara. Può risultare interessante riferire alcune note curiose
rilevate nel consultare i documenti riguardanti la costruzione della vara.
Negli elenchi delle persone che danno il contributo in denaro o in prodotti,
alcuni nominativi sono citati anche col soprannome (Pizzicona, Linazza,
Papaciata, Nascia, Ura, Catinella, Baccarona, Pagnocco, Carvalla, Consalemmi,
Mammola, Pagliaccio, Fiscaletto, Brugolone).
Il
primo titolo di spesa annotato porta la data del 10 settembre 1837, da cui si
desume che si comincia a pensare alla costruzione di una Vara un anno prima, cioè subito dopo la festa del
1837.
Tra
le spese è riportato l'importo per la "vastasata", cioé del trasporto
tramite i portatori allora chiamati “vastasi”. Tale termine suscita sorpresa e
stupore per il significato volgare che la parola ha oggi nel linguaggio
popolare, mentre il suo vero significato, che deriva dal greco “vastazo”,
é “trasporto”, in questo caso della
vara, che è trasportata da Palermo a
Contessa, passando per Piana dei Greci e per la contrada "Rigalbate",
attraverso quindi le trazzere che collegano Contessa al capoluogo. Durante il
trasporto è necessario anche far
intervenire degli operai con zappa e altri attrezzi per sistemare i punti di
difficile transito. La data di costruzione della vara (1838) é impressa
all'interno del basamento della medesima.
A proposito dei vastasi della vara…..
Molti rimarranno scandalizzati da questo titolo, che
accosta una parola "vastasi", che ha oggi un significato volgare nel
linguaggio popolare, ad un'altra parola "vara", che comunemente
indica invece lo sgabello o fercolo utilizzato per portare in processione una
statua o un'immagine, cui una comunità dedica una particolare venerazione.
Questo stupore certamente svanirà dopo aver letto quanto
di seguito verrà esposto, che dimostrerà che l'accostamento delle due parole
non ha nulla di blasfemo o di sacrilego.
Anch'io infatti sono rimasto stupito leggendo la parola
"vastasi" e "vastasata" nel manoscritto del sacerdote
Epifanio Lojacono, che nel 1838 annotò scrupolosamente le notizie, i dati della
colletta pubblica e le spese riguardanti la costruzione della “vara”, che oggi
viene usata per portare in processione la Madonna della Favara a Contessa
Entellina.
Ho pensato che l'accostamento delle due parole non poteva
essere stato determinato da una distrazione e quindi la parola
"vastasi" doveva avere nel 1838 una significato diverso da quello
odierno, che indica persone che parlano volgarmente o tengono un comportamento
volgare.
Il vocabolario di lingua italiana Garzanti accanto alla
parola "vastasata" riporta questo significato "farsa popolaresca
fiorita a Palermo nel 1700".
Questa spiegazione non ha fatto però svanire il mio
stupore e la mia curiosità, per cui ho cercato altre parole nel vocabolario ed
ho trovato il termine "vastaso", che ha il significato di facchino, e
deriva dal latino medievale "vastasius".
Dopo aver meditato su quanto letto nel vocabolario, mi é
venuto in mente che in greco il verbo bastazw (vastàzo)
significa "trasportare, portare un carico" e così ho cominciato a
comprendere il vero significato delle parole "vastasi" e
"vastasata", riportate nel citato manoscritto del 1838 di Don Epifanio Lojacono:
"vastasius" é il termine "bastasius" o
"bastaxius", derivato dalla parola greca col significato originario di
"portare", tale rimasto fino al secolo scorso, quando nel dialetto
siciliano "vastasu" e nella
lingua spagnola "bustaje" cominciò ad essere utilizzato col
significato di "persona volgare".
In Sicilia non sono poche le parole oggi usate che
derivano dal greco, dal latino, dall'arabo, dallo spagnolo e dal francese,
conseguenza delle dominazioni di tali popoli nell'isola (Kanqaros-kàntharos-vaso; Bombulos - vòmvilos-piccolo
vaso; katarrakths- katarràktis- porta pensile.
Il termine "vastasu", che letteralmente
significa facchino, il cui linguaggio a volte é volgare, ha generato il
significato di persona che si comporta o parla in maniera volgare.
Ma la parola "vastasu" oggi non ha solamente
tale significato, perché come termine usato in edilizia ha tenuto l'originario
significato: nella costruzione dei tetti con travi di legno "u
vastasu" indica il palo che fa da
"portante", dal greco bastazo (portare), come
sopra già chiarito.
Dopo questa dettagliata ricostruzione del significato
della parola "vastasu" lo stupore iniziale é svanito e quindi
l'accostamento alla parola "vara" trovata nel manoscritto citato di
Don Epifanio Lojacono non é stata una svista, né una provocazione di cattivo
gusto, ma una corretta descrizione, secondo il significato che la parola vastasu aveva nel 1838, perché si é
voluto indicare i portatori della vara, cioè le persone che con spirito di responsabilità e devozione
portano in processione la statua della Madonna della Favara con la storica
"vara".
Quando i portatori della “vara", nel corso della
processione dell’otto settembre, tengono un comportamento corretto e dignitoso nelle parole e nei fatti
sono veri "vastasi della vara", perché richiamano alla mente
l'antico, autentico e originario significato della parola vastaso (portatore).
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