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lunedì 17 febbraio 2014

Giordano Bruno. "Forse con maggior timore pronunciate contro di me la sentenza di quanto ne provi io nel riceverla"

Nei giorni scorsi abbiamo avviato sul Blog una rubrica con cui intendiamo -in maniera non troppo scientifica- aiutare a capire come il mondo, l'uomo, sia ben piccola cosa rispetto alle dimensioni dell'Universo. Oggi, 17 febbraio vogliamo però ricordare una grande figura, un filosofo, che il 17 febbraio del 1600 fu condannato al rogo dagli uomini della Chiesa di allora: Giordano Bruno (1548-1600).

Alla fine del Cinquecento, a Rinascimento affermato, il proposito di enucleare una concezione della realtà svincolata dal prestigio di antiche "autorità" e di consacrate abitudini intellettuali non riusciva a prevalere contro il duro potere di istituzioni ben decise a difendere i loro privilegi e il loro magistero. Questa situazione che vedeva la Teologia unico filone culturale che potesse spaziare dalla filosofia alle scienze naturali fu anche il podromo di violente repressioni, quelle che all'inizio del nuovo secolo colpirono Giordano Bruno e Tommaso Campanella., ultimi testimoni di una lunga e drammatica crisi dalla quale era emersa la "coscienza critica" di una cultura rinnovata.
Ma nessuna condanna o repressione poteva ormai più impedire che sulle rovine dell'antico cosmo, del mondo chiuso e finito di Aristotele e di Tolomeo, sorgesse ora un'immagine dell'universo infinito, senza confini e barriere.
Già Montaigne, implacabile giudice di tutte le certezze e di tutte le credenze, aveva percepito di vivere in un "mondo vacillante", fatto di eventi diversi e mutevoli, mai fermo e sicuro sulle sue basi incerte.. Proprio Giordano Bruno, non scienziato e non matematico, ancora codsì legato ai temi magici e neoplatonici, proclamava, sul limite del Cinquecento, la nuova certezza nell'infinità del mondo, la fine dell'antica "prigione" delle sfere celesti, la mutazione ormai irreversibile degli antichi rapporti tra la terra e il cielo, tra l'uomo e la realtà. Con la sua ispirata retorica, con la sua disarmata fede ermetica, con la sua polemica aspra e dissacrante, egli doveva riaffermare, fino sul rogo di Campo dei Fiori, la vocazione storica di una cultura che era nata ed era maturata nell'attesa di un "nuovo tempo" e di un "mondo nuovo".
Lungo tutto il Cinquecento, e poi oltre, per gran parte del Seicento se non addirittura sino a Newton, la nuova conoscenza della natura, della realtà, si sviluppò in un clima culturale estremamente complesso: antichi motivi mistici e magici convivevano con la ricerca di più avanzati procedimenti matematici, l'interpretazione antropomorfica della natura  si legava ad audaci tentativi sperimentali.
Muoversi in quel contesto per tentare di separare  e distinguere il "nuovo"  dal "vecchio", la "razionalità" dal "mito" non era facile. E' comunque in questo difficile travaglio che la "scienza" moderna è emersa, fra crisi e conflitti.
La liberazione della razionalità del sapere "naturale" dai temi esoterici e magici fu lenta e controversa, fra l'inevitabile sopravvivenza di credenze millenarie, di suggestioni che operavano a tutti i livelli della società agricola di allora.
In buona sostanza la separazione fra scienza e magia, fra chimica e alchimia, tra astronomia e astrologia, tra matematica e miti pitagorici o tra dottrine cabbalistiche fu un lughissimo risultato raggiunto almeno due secoli dopo (con l'Illuminismo) in un clima di tesa dialettica e di drammatica "decantazione".
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Giordano Bruno
Nacque a Nola. Divenuto chierico presso il convento di San Domenico Maggiore a Napoli nel 1565, assunse il nome di Giordano (il suo nome di battesimo era Filippo) e nel 1572 fu ordinato sacerdote.
Già in questo periodo Bruno incominciò a nutrire quel dissenso nei confronti del dogma che l'avrebbe portato a subire un processo e a fuggire da Roma nel 1576. Si rifugiò poi in Liguria; di lì raggiunse Torino e poi Venezia ove stampò l'opera perduta "Dè segni dè tempi". Dopo un soggiorno a Padova e la sosta in alcune città dell'Italia settentrionale, si recò a Chambèry e successivamente a Ginevra. Nella città svizzera fece professione di fede calvinista, ma subì nell'agosto del 1579 un processo per diffamazione nel quale andò incontro anche alla scomunica, poi ritirata. Lasciata Ginevra, si recò a Lione e poi a Tolosa, ove ricoprì per dua ann i il posto di lettore di filosofia.
Nella seconda metà del 1581 fu a Parigi, ove iniziò a frequentare la corte. Appartengono a questo periodo parigino le prime opere rimasteci: il "De umbris idearum" con l'annessa "Ars memoriae", il "Cantus Circaeus", il "De compendiosa architectura et complemento artis Lulli", stampate tutte nel corso del 1582 come la commedia italiana "Il Candelaio". Nell'aprile 1583  fu in Inghilterra, ove anticipò il suo copernicanesimo e i temi filosofici e scientifici sviluppati nelle opere italiane.
Numerose altre furono le opere scritte da Bruno che qui non riportiamo.
Alla fine del 1585 fu nuovamente a Parigi, in una situazione politica ormai a lui non favorevole.
Lasciata la Francia per la Germania nel 1586, conobbe a Wittenberg un periodo di serena e feconda attività. Nel marzo del 1588 si recò a Praga e poi a Helmstedt, città in cui si fermò fino al 1590 nonostante le difficoltà incontrate con la parte luterana e una nuova scomunica. In questo periodo stese o completò il "De magia, Theses de magia, De magia mathematica", e tre poemi latin, per attendere alla pubblicazione dei quali si recò a metà del 1590 a Francoforte. Costretto a lasciare questa città nel febbraio 1591, vi ritornò momentaneamente per stampare il De imaginun  compositione ed è qui che lo raggiunse l'invito del patrizio Giovanni Mocenigo a recarsi a Venezia. Bruno vi giunse nell'agosto 1591, attratto dalla speranza di ricoprire la cattedra di matematica presso lo Studio di Padova. Fallito tale tentativo, Bruno venne imprigionato nel maggio 1592 in seguito a tre denunce sporte dal Macenigo stesso al Sant'Uffizio, nelle quali veniva accusato di blasfemia ed eterodossia. Iniziò così la fase veneta del processo, ampiamente documentata al contrario a differenza di quella, decisiva, svoltasi a Roma. In una serie di costituti, Bruno si difese sottolineando da un lato la portata esclusivamente filosofica del suo insegnamento, basato esclusivamente su principi puramente naturali, dall'altro dichiarandosi pentito  e disposto ad abiurare i suoi errori; gli stessi testi che vennero ascoltati risultarono a lui favorevoli., L'inquisizione romana mirò tuttabia ben presto ad avocare a sè il processo e chiese e ottenne, l'estradizione. Bruno lasciò così Venezia per il carcere romano del Sant'Uffizio, ove fu richiuso nel febbraio del 1593.
Le accuse che gli venivano mosse riguardavano la concezione dei principi della realtà, l'infinità dell'universo, la concezione dell'anima individuale e del suo rapporto con l'anima del tutto, il moto e l'anima della Terra, l'identificazione degli angeli con gli astri e dello Spirito Santo con l'anima mundi . Nel gennaio 1599, su istanza del cardinale Bellarmino, Bruno si dichiarò disposto all'abiura, ma lo fece in misura giudicata parziale e insoddisfacente.
Il 17 febbraio 1600, per ordine di Clemente VIII, Bruno venne arso vivo a Roma, in piazza Campo dè Fiori.

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