Un tempo era normale che il capo di uno Stato, il monarca, fosse anche l’uomo più ricco del suo paese. L’evoluzione dei sistemi politici, in particolare nelle democrazie (ma non solo), aveva rimesso in discussione questo assioma.
Oggi le rivelazioni dell’Icij (International consortium of investigative journalists) sullo studio legale Mossack Fonseca che custodisce da Panama i patrimoni segreti di numerosi capi di Stato e di governo, al pari di imprenditori e ricconi d’ogni specie, evidenzia una novità storica: la libera circolazione dei capitali favorisce una dimensione sovranazionale della ricchezza, insieme alla sua inafferrabilità. Per molti leader politici, non solo monarchi e dittatori, detenere enormi somme di denaro attraverso compiacenti prestanome risulta essere non solo il frutto di illecite distrazioni di fondi pubblici, ma anche una dimensione essenziale del loro sconfinato potere.
E’ il ritorno della plutocrazia in forme inedite. Per la verità, nessuno si stupisce apprendendo che Putin, Assad, ma anche l’inglese Cameron o l’argentino Macri e chissà quanti altri premier democraticamente eletti, custodiscano all’estero quello che considerano un approvvigionamento indispensabile della loro leadership e della loro stabilità di potere. Dubito anche che ne possano derivare sconvolgimenti politici, ricambi di governo: lo scandalo rende solo esplicito ciò che già si sapeva. La politica si misura con la finanza sul suo terreno naturale, che è l’extraterritorialità. I paradisi fiscali sono l’inferno del pianeta, come tali mobilissimi ma inestirpabili. Anche i conflitti che ne scaturiscono sono di tipo nuovo, caratterizzati da complicità internazionali torbide e da contrapposizioni sociali che travalicano i confini.
Il vecchio Carlo Marx si compiacerebbe nel constatare che la lotta di classe torna ad abbattere i confini delle patrie nazionali, quando il capitale cerca rifugio nelle casseforti più impensabili e nascoste, a migliaia di chilometri di distanza dai luoghi in cui quella ricchezza si è formata.
CLAUDIO VELARDI, giornalista e saggista
Ho seguito nel pomeriggio la direzione del Pd. Dopo la relazione di Matteo Renzi ho scritto su Fb: “Lo dico consapevole di espormi al ludibrio pubblico: non ricordo di avere mai visto e ascoltato in Italia un leader politico altrettanto forte, appassionato e competente. Crocifiggetemi pure. Nel frattempo sappiate – cari M5S, leghisti, sinistri Pd e non, destre e affini, giornali e talk show, opinionisti e commentatori, twitteri e malati del click di Fb – che gli italiani, nella loro infinita saggezza, lo terranno lì parecchio tempo. Per fortuna. Rassegnatevi”.
Le reazioni non sono mancate. Il post l’hanno visto al momento (sono le 21) in più di 38mila, con oltre 500 like, più di 200 condivisioni, quasi 200 commenti. Numeri che non mi impressionano, perché so come funziona la rete, sempre più luogo di confluenza di tifoserie contrapposte. Né mi turbano particolarmente i soliti insulti dei poveri di spirito che – non articolando pensiero alcuno – sanno interloquire solo dandomi del venduto, del servo, e così via.
Torno a scrivere dopo la conclusione della direzione, perché il post del pomeriggio ora lo riscriverei, se possibile, rafforzato. Ho ascoltato una livida requisitoria di Cuperlo che – dall’alto della sua acclarata capacità di leadership – ha accusato Renzi di non avere la statura di leader. Ho sentito Speranza, capogruppo parlamentare fino al 2015, chiamarsi fuori dalle responsabilità per una legge partorita nel 2014. Ho visto alcuni – l’ambientalista Realacci, il buon Lo Giudice – balbettare i loro sì “simbolici” al prossimo referendum, dopo aver detto che il governo ha fatto – per amor di dio – tutto per bene. Ho seguito l’intervento un po’ sconnesso di Emiliano, bacchettato con la nota ruvidezza da Vincenzo De Luca e con puntuta precisione da Claudio De Vincenti (il più informato dei fatti, per il ruolo ricoperto), oltre che scaricato dal suo ex compagno di viaggio Pittella. E ho anche ascoltato alcune brave, giovani parlamentari (Anna Ascani, Chiara Braga) difendere con grinta e passione le posizioni maturate nel nuovo Pd. E l’ottimo Salvatore Margiotta parlare con competenza ed efficacia della Basilicata. Insomma una discussione persino interessante e vera in alcuni passaggi, che non ha fatto altro che confermare e rafforzare le impressioni del pomeriggio.
A me non piace affatto un sistema che si regge su un solo partito con caratteristiche di partito di governo. Spero che prima o poi il centrodestra si metta in condizione di diventare competitivo, dandosi una leadership all’altezza. Ma oggi l’Italia ruota intorno al Pd. E il Pd può contare solo sulla forza, la vitalità e la competenza di Matteo Renzi e del nucleo di classe dirigente che sta crescendo insieme a lui. Non so se sia poco o molto, né so se Renzi sia lì più per meriti suoi o per demeriti altrui: questo è un dibattito astratto che appassiona solo le anime belle e gli entomologi della politica. Il dato di fatto è che è lì, ed è oggettivamente bene che prosegua il suo lavoro.
PS. Ho detto oggettivamente, e me ne assumo la responsabilità. Convincetevi di una cosa, io non sono un tifoso di Renzi. Condivido, al momento, la gran parte delle cose che fa, e mi piace molto spesso come le fa. Mi piace la sua grinta, mi pare che lui e i suoi abbiano dentro una passione politica vera: per questo li sostengo. Ma penso anche che nessun italiano con la testa sulle spalle possa pensare oggi ad un’alternativa a Renzi. Per questo il post del pomeriggio lo concludevo dicendo ai nemici in servizio permanente effettivo: rassegnatevi. Anche se mi piacerebbe dire: convincetevi.
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