di Nino Montalbano
In questi giorni mi sono chiesto
che senso avesse vestire i bambini con i costumi albanesi quando gli stessi
bambini non hanno sviluppato (sicuramente non per colpa loro) un’identità arbëreshë. Certo, è difficile scrivere queste
parole perchè sono belle le foto che girano su internet, sembrerebbe tutto
perfetto ma in realtà mi accorgo forse che per molti è solo APPARENZA.
Posso comprendere le famiglie dei bambini che non parlano
quotidianamente l’arbëreshë
che anzi si sforzano ad avvicinarsi a quella che erano le tradizioni culturali
del loro ambiente, ma gli altri? Se mi proietto in avanti forse mi vergognerei
vedendo mio figlio vestire il costume tradizionale sapendo di non aver fatto
nulla per insegnargli la lingua parlata a Contessa.
Una nonna l’altra sera era amareggiata di non aver avuto nessuno dei
suoi nipoti parlare correntemente l’arbëreshë pur avendone l’opportunità e dava la colpa ai genitori (ai suoi
figli) che hanno vissuto gli anni della “modernità”.
La modernità che cancella la storia e l’identità per farci diventare
tutti “halloween” e nessuno “Lazëri” che ci
fa diventare tutti “musica” e nessuno “canto”.
Quanti Nino e Anna ci sono a Contessa che hanno insegnato ai loro
figli l’arbëreshë?
Pochissimi.
Noi insegniamo l’apparenza, un’apparenza che si svuota lentamente con
il passare del tempo, nessuno sforzo per tramandare quello che il tempo (500
anni) non ha cancellato fino a poco anni fa.
La nuova generazione, quella moderna, quella istruita, quella che ha
tentato di scrivere ciò che era solo orale, quella con più possibilità, quella
che si incontra e fa i convegni e pubblica i libri di storia, quella che si
sposta con i costumi, cancella come se nulla fosse se stessa e poi insegna ai
propri figli l’apparenza.
Le istituzioni fanno lo stesso, ad esempio l’Unione Besa, con i pochi
fondi a disposizione finanzia spettacoli oppure pensa ai progetti per
cartelloni pubblicitari (come se Contessa Entellina fosse Piana degli Albanesi)
e non risponde alle proposte vecchie di almeno quattro anni che mirano a capire
perché, che mirano a creare un progetto, un recupero o semplicemente se è
possibile fare qualcosa. Contessa Entellina non è Piana, le nuove generazioni
non vivono alla stessa maniera la loro appartenenza, ci vorrebbe prima di
tutto, a mio avviso, uno studio. Chi ci rappresenta non rendendosi conto di
questo è “moderno” e non pensa, non riflette, non si guarda intorno e coltiva
il fatalismo per i propri “interessi”.
Da quello che vedo, l’unica cosa che conta, è il rito, il costume (ma
solo come apparenza perché i bambini spesso non hanno nessuna appartenenza
culturale), lo sfruttamento del passato a fini turistici (per altro senza
risultato), le sfilate nelle poche manifestazioni culturali. Si salvano le
commedie in arbëreshë che
però sono difficili da far vivere in un ambiente “quasi ostile” in un ambiente
che fa risaltare l’altro perdendo il “sé” e quindi cadendo nell’anonimato,
nella teatralità perché a Piana degli Albanesi a differenza di Contessa
Entellina indossare un costume ha un significato preciso.
Nino Montalbano
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