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martedì 29 novembre 2022

Gli italiani. Sguardi e strisce sulla loro Storia

Quell'arbëresh 

"Capo del Governo" (4)   

Nel 1887 il benedettino Luigi Tosti doveva trattare con il ministro degli Interni, Francesco Crispi, la restituzione al Vaticano della basilica di S. Paolo (v. la foto). Le difficoltà della Chiesa ad accettare la perdita di Roma, rinunciando alla sovranità papale, e l'impossibilità dell'Italia di negare il plebiscito del '70, fecero fallire la "conciliazione". (Arrigo Petacco, 1929-2018).
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Francesco Crispi nel suo albero genealogico ha più antenati e parenti
"papas" (sacerdoti del rito bizantino). Il suo percorso di vita e la sua storia
personale sono tuttavia segnati -stando a più storici- da anticlericalismo e da ostilità nei confronti
dello Stato Pontificio e della Chiesa. Fu veramente così? Sergio Romano, in una nota giornalistica 
ridimensiona, almeno in parte,  quel suo anticlericalismo da partito preso e lo
presenta come convinto "uomo di stato"

Lo storico, giornalista, ex diplomatico, politologo e saggista italiano Sergio Romano  presenta Crispi, in termini meno oltranzisti di quanto più testi abbiano invece accentuato l'anticlericalismo. Vediamo:

Le parole di Crispi, se davvero pronunciate in quei termini (come da un testo di Indro Montanelli), appartengono allo stile spesso battagliero e focoso dell’uomo politico siciliano. Ma non corrispondono alla linea che adottò non appena l’Italia apprese la morte di Pio IX. 
Crispi era massone e aveva votato contro la legge delle Guarentigie, con cui lo Stato italiano aveva offerto alla Santa Sede, dopo la conquista di Roma, un generoso regime di pacifica coabitazione. Ma sapeva che i cattolici europei avrebbero giudicato l’Italia, in quelle circostanze, dal modo in cui il suo governo avrebbe gestito il conclave. 
Se i cardinali convocati a Roma fossero stati trattati con puntigliosi metodi polizieschi e ai fedeli fosse stato impedito di partecipare liberamente alle cerimonie della successione, molte potenze ostili all’unità italiana ne avrebbero approfittato per rimettere all’ordine del giorno la legittimità dello Stato risorgimentale. Non è tutto. Crispi sapeva che vi era in Vaticano un partito del «tanto peggio tanto meglio», una fazione di partigiani del «papa re» che auspicavano lo scontro e speravano di provare al mondo l’impossibilità della convivenza con lo Stato italiano. Vi erano cardinali che proponevano di convocare il conclave a Malta. E vi erano anche anticlericali italiani che desideravano, per ragioni opposte, la stessa cosa. Occorreva che a questi sanculotti della fede e a questi mangiapreti non venissero offerti alibi e pretesti.
 Come ministro degli Interni, d’altro canto, Crispi non era privo, per i suoi eventuali rapporti con la Santa Sede, di canali confidenziali. Poteva contare in particolare su due sacerdoti amici (padre Isaia e monsignor Di Marzio) e a uno di essi, non appena apprese la morte del papa, scrisse: «Dite al Cardinal Vicario che mi metto ai suoi ordini per tutto ciò che è necessario nell’interesse della Santa Sede». Due giorni dopo ricevette un misterioso biglietto di padre Isaia: «Signor ministro, il cardinale Di Pietro abita ai monti, via Panisperna n. 207, piano I. Stasera circa le sette».
 Crispi non lasciò fra le sue carte alcuna traccia dell’incontro (l’abitudine della cospirazione gli era entrata nel sangue), ma sappiamo che mons. Camillo di Pietro, cardinale di San Giovanni a porta Latina, era vicedecano del Sacro Collegio ed ebbe un ruolo importante nelle intese segrete fra il Vaticano e lo Stato italiano per il buon andamento del conclave. Ricordo inoltre, ..., che Crispi, quando tornò al governo nel 1887, tentò la strada della conciliazione e si valse allora del benedettino Luigi Tosti, abate di Montecassino. Il progetto falli e l’«anticlericale» Crispi ne fu molto deluso. Perché la Chiesa accettasse esplicitamente e formalmente l’esistenza dello Stato italiano fu necessario attendere ancora qualche decennio.
SERGIO ROMANO


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