Sintesi di un test più lungo dell'A.G.I.
Alla
corruzione in Italia nessuno ha voluto creare gli opportuni e necessari “anticorpi”.
Da quando iniziò l’operazione “Mani Pulite”, l’Italia è ancora senza alcuna normativa
seria di vero contrasto. Nella Capitale d’Italia retta amministrativamente dagli uomini dell’onestà “gridata”
e probabilmente meno praticata ci sono stati 9 arresti connessi ai lavori del
nuovo stadio.
Molti italiani soffrono per arrivare a fine
mese, ma c’è chi continua ad arricchirsi
sulle spalle di opere pubbliche, grandi opere ed eventi, ossia col denaro
pubblico. E’ però il disgusto dalla corruzione in Italia è come sempre più apparente che
reale.
"Il Paese sta
morendo con i giovani che non trovano lavoro, la gente che non va più a votare
e massicciamente espatria”. Queste cose diceva recentemente Piercamillo Davigo.
Nel 1992,
oltre alla bravura degli inquirenti, l’effetto domino fu innescato dal fatto
che fossero “finiti i soldi”, non certo da un sussulto delle coscienze. Oggi vediamo
che l’andazzo è sempre lo stesso: cambiano le “casacche” politiche, ma i
risultati sono ugualmente drammatici.
Ai
tempi di “Mani Pulite” erano i partiti politici a giocare questa funzione di
“regolazione” tramite il finanziamento illecito, che era il prezzo che molti
dei partecipanti al gioco pagavano ai partiti, cioè a strutture organizzate,
per entrare nella spartizione riservata a pochi delle risorse pubbliche. Quando
il peso dei partiti è venuto meno, e con esso la loro forza organizzativa, di
volta in volta attori diversi (faccendieri, vertici di consorzi, associazioni
mafiose autoctone), sono subentrati.
Fermo
restando la presunzione di innocenza per la vicenda dello stadio di Roma
apprendiamo dalle tesi accusatorie “Non è più una singola cabina di regia che
faceva perno sulle segreterie dei vari partiti, ma in un sistema policentrico,
in cui assume importanza il cosiddetto faccendiere che connette i singoli
rami”. Così Alberto Vannucci, professore di Scienze Politiche all’Università di
Pisa ed esperto di “prevenzione e contrasto della criminalità organizzata e
della corruzione”, spiegava le differenze fra gli anni bui di tangentopoli e
quelli odierni.
In
seguito alla sentenza di primo grado del processo “Mondo di mezzo” (quello che
vide coinvolto tanto e tantissimo Pd), quando l’accusa della Procura contestava l’associazione mafiosa mentre il Tribunale ha riconosciuto il
sistema corruttivo, chi è stato condannato ha esultato, come pure una parte
dell’opinione pubblica, sostanzialmente dicendo “avete visto?
È corruzione, non mafia”.
Come
se la corruzione in questo Paese non fosse una vera e propria piaga analoga alla mafia, come
se per qualcuno rubare fondi pubblici sia quasi accettabile, non capendo che
quei soldi sono di ogni cittadina ed il bilancio della corruzione nel nostro
Paese, 60 miliardi, pesa sulla vita di ciascuno di noi.
Il
problema è che si comprino i voti dalla mafia o che si comprino in assoluto? La
corruzione, in Italia, è accettata con la rassegnazione di chi la considera un
“fenomeno normale”. Ed allora, se è un fenomeno normale, non lamentiamoci dei
posti di lavoro che mancano, dei nostri giovani che sono costretti ad emigrare
all’estero. Perché se non cambia la cultura, gli inquirenti continueranno nel
loro “brillante” lavoro, ma passata l’indignazione del momento tutto tornerò
come prima.
Senza
comprendere che, nel 2018, in Italia la corruzione è l’altra faccia della
stessa medaglia delle mafie.
Decidiamoci: o le mazzette o il lavoro per i più
giovani.
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