La diseguaglianza, in Italia particolarmente elevata da ben prima della grande recessione, limita la mobilità sociale, danneggia la crescita ed è inaccettabile dal punto di vista etico.
Se è vero che la crisi ha colpito tutti, coloro che partono da posizioni più svantaggiate declinano rapidamente verso la povertà assoluta. Il recente rapporto del World Economic Forum sul legame tra inclusione sociale e crescita conferma le nostre convinzioni: una crescita perseguita senza attenzione all’inclusione è effimera oltre che ingiusta. Aggiungo che può essere tra le cause dell’instabilità politica, come dimostrano le consultazioni elettorali e referendarie tenute nei paesi più sviluppati nel corso del 2016. Per questi motivi abbiamo posto l’inclusione sociale in cima all’agenda del G7 delle Finanze che si terrà in maggio a Bari. Per questi motivi il prossimo Documento di Economia e Finanza conterrà per la prima volta una valutazione dell’impatto delle politiche pubbliche sull’inclusione sociale, grazie all’iniziativa del Parlamento italiano.
Le cause della divaricazione tra inclusi ed esclusi trova le sue radici più profonde nei limiti strutturali del sistema italiano, che non ha saputo modernizzarsi adeguatamente con il passare degli anni: il mercato del lavoro non riesce ad includere giovani e donne, élite estrattive continuano a trarre rendite da posizioni privilegiate, corporazioni sedimentate anche nell’ambito di servizi a scarso valore aggiunto impediscono l’accesso a nuovi soggetti più creativi ed efficienti, sistemi di welfare e di tassazione sono inefficaci nel migliorare la distribuzione del reddito, l’evasione fiscale è una piaga, la divergenza tra Nord e Sud non è ancora recuperata e aumenta quella tra le aree svantaggiate (presenti anche nel Centro-Nord) e i poli dove si concentra la ricchezza.
Negli ultimi tre anni il Governo ha iniziato ad affrontare questi problemi con una politica di bilancio decisamente meno restrittiva, anzi moderatamente espansiva, che ci ha portato fuori dalla recessione ed ha aumentato l’occupazione. Ne hanno tratto vantaggio anche le riforme strutturali che dispiegano i loro effetti benefici più rapidamente, e con maggior intensità, in un contesto macroeconomico favorevole. Rilanciare oggi la crescita e l’occupazione attraverso una politica di bilancio attenta alla crescita oltre che al consolidamento favorisce anche l’occupazione nel lungo termine. La lotta all’evasione fiscale è migliorata (tant’è che nel 2016 gli introiti da questo fronti hanno raggiunto la cifra record di 17 miliardi) e il mercato del lavoro è stato reso più dinamico (tra gennaio 2015 e novembre 2016 la crescita degli occupati è stata di 436mila unità).
Diverse politiche sono state messe in campo, molto rimane da fare. In primis, una piena attuazione del reddito di inclusione, che è tra le priorità del Governo in questo scorcio di legislatura. Si tratta di un intervento che non si limita a erogare risorse ma coinvolge i destinatari dei benefici per renderli soggetti attivi di un processo di inclusione: innanzitutto nella scuola e nel lavoro. Vanno, inoltre ed indubbiamente, migliorate le politiche per colmare la distanza tra il Nord ed il Sud del paese.
D’altra parte il WEF e altri osservatori internazionali segnalano nel nostro sistema importanti luci, non soltanto ombre, come l’assistenza sanitaria universalistica, per la quale siamo in vetta alla classifica e dove siamo intervenuti anche recentemente, sia con l’incremento della spesa sia con una sua migliore qualificazione e l’ampliamento dei servizi offerti.
Il mondo ha bisogno di muoversi alla ricerca di un equilibrio tra la libertà di iniziativa e l’inclusione di tutti i cittadini nei processi di incremento del reddito e di progresso delle condizioni di vita. Una strada passa attraverso la migliore organizzazione dello Stato, in tutte le sue articolazioni, affinché migliori la propria capacità di produrre beni pubblici. Un’altra strada passa per politiche di bilancio che sostengano adeguatamente la crescita e l’occupazione nel breve così come nel lungo periodo.
Il confronto tra il Governo e le istituzioni europee, e talvolta anche con altri partner dell’Unione, non riguarda l’obiettivo del risanamento dei conti pubblici. Su questo conveniamo che il rapporto tra debito e Pil è elevato, e per questo abbiamo messo un freno alla dinamica di crescita ininterrotta degli ultimi anni e abbiamo stabilizzato l’indicatore. Ciò che ci distingue da molti interlocutori è la ricetta per perseguire l’obiettivo: mentre altri pensano che l’austerità sia il modo migliore se non addirittura l’unico per ridurre il debito, noi siamo convinti che l’enfasi debba essere messa sulla crescita e l’occupazione. Una crescita sostenibile e pertanto non drogata dal disavanzo (che infatti diminuisce regolarmente dal 2014), affiancata da riforme strutturali capaci di aumentare stabilmente il potenziale produttivo.
Soltanto con una crescita più sostenuta nella dimensione e capace di includere più cittadini, più equilibrata nel rapporto tra componenti della società, si potrà finalmente avviare un recupero pieno del potenziale del nostro Paese. Dobbiamo innescare un circolo virtuoso. È un lavoro che chiede anni di impegno coerente e la continuità nelle politiche economiche darà un contributo cruciale per conseguire questo risultato.
* Ministro dell’Economia e delle Finanze
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