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giovedì 22 agosto 2013

Aspettando il nuovo Eparca (n. 26)

Il Decreto ORIENTALIUM ECCLESIARUM  afferma la pari dignità della Chiesa Latina e delle Chiese Orientali nella loro autonomia nel campo disciplinare.  Esso premette Queste Chiese particolari sebbene siano in parte tra loro differenti in ragione dei cosiddetti riti, cioè per la liturgia, per la disciplina ecclesiastica e il patrimonio spirituale, tuttavia sono in ugual modo affidate al pastorale governo del Romano Pontefice, il quale per volontà divina succede al beato Pietro nel primato sulla Chiesa universale. Poi afferma esse godono di pari dignità, cosí che nessuna di loro prevale sulle altre per ragione del rito, e godono degli stessi diritti e sono tenute agli stessi obblighi, anche per quanto riguarda la predicazione del Vangelo in tutto in mondo, sotto la direzione del Romano Pontefice.
Il decreto sullEconomismo   dichiara che tutto questo patrimonio spirituale e liturgico, disciplinare e teologico, nelle diverse sue tradizioni appartiene alla piena cattolicità e apostolicità della Chiesa.
Ancora il CCEO, can. 39 sancisce che nei riti delle Chiese orientali quale patrimonio della Chiesa universale di Cristo, risplende la tradizione che deriva dagli Apostoli attraverso i Padri e afferma la divina unità nella varietà della fede cattolica.
La pari dignità contenuta in tutti i testi richiamati abroga in buona sostanza il principio preconciliare da secoli in vigore della praestantia ritus latini, sancito da Benedetto XIV nella cost. apost. Etsi pastoralis (1742) e nella lettera enciclica Allatae sunt (1755)1, ed intende sottolineare che la Ecclesia universa è composta dalla comunione delle varie Chiese dOriente e dOccidente.
Dopo il Concilio di Trento la Chiesa Cattolica fu solamente latina, perciò si era radicata nella mente dei cattolici l’idea che la Chiesa Universale ed il “rito latino” fossero una identica cosa, così che alcune Chiese avevano cominciato a conformarsi alla disciplina occidentale in tale misura che il Pontefice PAOLO V fu costretto a invitarle ad maiorem moderationem. La mentalità della præstantia ritus latini dominava anche in alcuni documenti pontifici diventando la mentalità comune dell’Occidente, così che tale rito veniva considerato securior et perfectior, perciò aveva la prevalenza su tutti i riti, essendo il rito della Sancta Romana Ecclesia, quae Mater est et Magistra aliarum Ecclesiarum (BENEDETTO XIV, lett. enciclica «Allatæ Sunt» del 26 giugno 1755, §20).
Le Chiese orientali sui iuris si presentano come minoranze e, di conseguenza, potrebbero essere esposte, e la storia di tante Chiese sui iuris offre sufficienti esempi anche oggigiorno, alle difficoltà e disabilità specifiche delle minoranze. Gli esempi non mancano.
L’uguaglianza ovviamente favorisce sia l’unitas sia la varietas, ciò però non suppone lo stesso grado di autonomia e potestà ecclesiale, proprio perché la competenza delle rispettive autorità, come anche l’intervento della Sede Apostolica sul loro ius particulare sono altamente differenti.
Casistiche:
1) Ius particulare emanato dal Sinodo dei vescovi della Chiesa patriarcale (cf. CCEO, can. 110§1);
2) Ius particulare emanato dal Sinodo dei vescovi della Chiesa arcivescovile maggiore (CCEO, can. 152);
3) Ius particulare emanato dal Consiglio dei Gerarchi della Chiesa metropolitana sui iuris (CCEO, can. 167§1);
4) Ius particulare emanato dal Gerarca col consenso della Sede Apostolica per tutte le altre Chiese sui iuris (CCEO, can. 176),
5) Ius particulare approvato dal Romano Pontefice: es. CCEO, cann.78 §2, 182 §3;
6) Ius particulare stabilito dal Romano Pontefice: es. CCEO, cann. 174, 159;
7) Ius particulare approvato dalla Sede Apostolica:31 es. CCEO can. 880 §3;
8) Ius particulare stabilito dalla Sede Apostolica es. cann. 29, 30, 1388.
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Tralasciamo l’esame di tutte le casistiche sopraelencate per soffermarci su quella che attiene all’Eparchia di Piana degli Albanesi, su cui comunque torneremo in forma specifica in una prossima puntata.
Ius particulare di queste  Chiese sui iuris consiste in  quel diritto emanato dal Gerarca (Eparca) col consenso della Sede Apostolica (CCEO, can. 176).
I cann. 174, 175, 176 del CCEO sono dedicati a tutte le altre forme di Chiese sui iuris. L’Eparchia di Piana degli Albanesi (o quella di Lungro)  non è né patriarcale, né arcivescovile maggiore, né metropolitana, è invece affidata al gerarca che la presiede a norma del diritto comune e del diritto particolare stabilito dal Romano Pontefice (CCEO can. 174).
Il gerarca può essere vescovo eparchiale o no. Nel primo caso egli è il pastore ordinario, mentre nell’altro caso potrebbe anche non essere insignito della dignità episcopale e, se ha poteri di governo, egli li esercita a nome del Romano Pontefice (Amministratore Apostolico).
Queste Chiese «dipendono immediatamente dalla Sede Apostolica che delega un gerarca che esercita su di esse alcuni diritti metropolitani (c. 175). Per quanto riguarda gli affari che il diritto comune rimanda al diritto particolare della Chiesa “sui iuris”, o alla superiore autorità amministrativa della stessa Chiesa, l’autorità competente è il gerarca che presiede tale chiesa a norma del diritto, tuttavia con il consenso della Sede Apostolica (c. 176).
Così, se la Chiesa “sui iuris” non è altro se non una eparchia, il vescovo eparchiale può emanare leggi eparchiali che il suo successore può anche abrogare. Se invece volesse stabilire una legge, che diventi lo “ius particolare”, non semplicemente eparchiale, ma della stessa Chiesa “sui iuris”, deve ottenere per essa anche il consenso della Sede Apostolica. Tale legge il suo successore non può né abrogare né cambiare, se non seguendo la stessa procedura».
A differenza della sopra analizzata categoria, nelle altre casistiche, patriarcale, arcivescovile maggiore e metropolitane, il potere legislativo è esercitato collegialmente ed il diritto particolare quando non promana dal Romano pontefice è frutto dell’azione collegiale dei suoi vescovi riuniti nel sinodo ovvero nel consiglio dei gerarchi. Nel caso della Chiesa eparchiale di Piana degli Albanesi «uno solo è il gerarca, che d’altronde potrebbe anche non essere vescovo. Il gerarca è dunque l’unico legislatore della sua circoscrizione ecclesiastica ma quando il diritto comune rinvia allo ius particulare ecclesiae sui iuris per questioni non risolte dal diritto stabilito dal Romano Pontefice, il gerarca decide a riguardo, ma i suoi provvedimenti devono essere sottoposti all’approvazione della Sede Apostolica».
Concludendo, le Chiese orientali sui iuris sono rete da gerarchi ed istituzioni giuridiche con un potere dato loro ad normam iuris dalla suprema autorità della Chiesa e come partecipazione alla stessa suprema autorità.
Si tratta della varietas Ecclesiarum la cui caratteristica principale è di essere in unam conspirans, cioè nell’unica fede e nell’unica divina costituzione della Chiesa universale.

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