Il Decreto ORIENTALIUM ECCLESIARUM afferma la pari dignità della Chiesa Latina e delle Chiese Orientali
nella loro autonomia nel campo disciplinare. Esso premette ≪Queste Chiese
particolari … sebbene siano in parte tra loro
differenti in ragione dei cosiddetti riti, cioè per la
liturgia, per la disciplina ecclesiastica e il patrimonio spirituale, tuttavia
sono in ugual modo affidate al pastorale governo del Romano Pontefice, il quale
per volontà divina succede al beato Pietro
nel primato sulla Chiesa universale≫. Poi afferma ≪esse godono di pari dignità,
cosí che nessuna di loro prevale sulle altre per ragione del rito, e godono
degli stessi diritti e sono tenute agli stessi obblighi, anche per
quanto riguarda la predicazione del Vangelo in tutto in mondo, sotto la
direzione del Romano Pontefice≫.
Il decreto
sull’Economismo ≪… dichiara che tutto questo patrimonio
spirituale e liturgico, disciplinare e teologico, nelle diverse sue tradizioni
appartiene alla piena cattolicità e apostolicità della Chiesa≫.
Ancora il CCEO, can. 39 sancisce che nei riti delle Chiese orientali quale
patrimonio della Chiesa universale di Cristo, risplende la tradizione che
deriva dagli Apostoli attraverso i Padri e afferma la divina unità nella varietà della fede
cattolica.
La pari dignità contenuta in tutti i testi richiamati abroga in
buona sostanza il principio preconciliare da secoli in vigore della praestantia ritus latini, sancito da
Benedetto XIV nella cost. apost. Etsi pastoralis (1742) e nella
lettera enciclica Allatae sunt (1755)1, ed intende sottolineare che la Ecclesia universa è composta
dalla comunione delle varie Chiese d’Oriente e d’Occidente.
Dopo il Concilio di Trento la Chiesa Cattolica fu solamente
latina, perciò si era radicata nella mente dei cattolici l’idea che la Chiesa
Universale ed il “rito latino” fossero una identica cosa, così che alcune
Chiese avevano cominciato a conformarsi alla disciplina occidentale in tale
misura che il Pontefice PAOLO V
fu costretto a invitarle ad
maiorem moderationem. La mentalità della præstantia ritus latini dominava
anche in alcuni documenti pontifici diventando la mentalità comune dell’Occidente,
così che tale rito veniva considerato securior
et perfectior,
perciò aveva la prevalenza su tutti i riti, essendo il rito
della Sancta Romana Ecclesia, quae Mater est
et Magistra aliarum Ecclesiarum (BENEDETTO XIV, lett.
enciclica «Allatæ Sunt» del 26 giugno 1755, §20).
Le Chiese orientali sui
iuris si presentano come minoranze e, di
conseguenza, potrebbero essere esposte, e la storia di tante Chiese sui iuris offre sufficienti esempi anche oggigiorno, alle difficoltà
e disabilità specifiche delle minoranze. Gli esempi non mancano.
L’uguaglianza ovviamente favorisce sia l’unitas sia la varietas,
ciò però non suppone lo stesso grado
di autonomia e potestà ecclesiale, proprio perché la competenza delle
rispettive autorità, come anche l’intervento della Sede Apostolica sul loro ius particulare sono altamente differenti.
Casistiche:
1) Ius
particulare emanato dal Sinodo dei vescovi della
Chiesa patriarcale (cf. CCEO, can. 110§1);
2) Ius particulare
emanato dal Sinodo dei vescovi della
Chiesa arcivescovile maggiore (CCEO, can. 152);
3) Ius
particulare emanato dal Consiglio dei Gerarchi
della Chiesa metropolitana sui
iuris (CCEO, can. 167§1);
4) Ius
particulare emanato dal Gerarca col consenso della
Sede Apostolica per tutte le altre Chiese sui
iuris (CCEO, can. 176),
5) Ius
particulare approvato dal Romano Pontefice: es. CCEO,
cann.78 §2, 182 §3;
6) Ius
particulare stabilito dal Romano Pontefice: es. CCEO, cann. 174, 159;
7)
Ius particulare approvato dalla Sede Apostolica:31 es. CCEO
can. 880 §3;
8)
Ius particulare stabilito dalla Sede Apostolica es. cann. 29, 30, 1388.
Tralasciamo l’esame di tutte le casistiche sopraelencate
per soffermarci su quella che attiene all’Eparchia di Piana degli Albanesi, su
cui comunque torneremo in forma specifica in una prossima puntata.
Ius particulare di queste Chiese sui
iuris consiste in quel diritto emanato dal Gerarca (Eparca) col
consenso della Sede Apostolica (CCEO, can. 176).
I cann. 174, 175, 176 del CCEO
sono dedicati a tutte le altre forme
di Chiese sui iuris. L’Eparchia di Piana degli Albanesi (o quella di Lungro) non è né patriarcale, né arcivescovile maggiore,
né metropolitana, è invece affidata al gerarca che la presiede a norma del
diritto comune e del diritto particolare stabilito dal Romano Pontefice (CCEO can.
174).
Il gerarca può essere vescovo eparchiale o no. Nel primo
caso egli è il pastore ordinario, mentre nell’altro caso potrebbe anche non essere
insignito della dignità episcopale e, se ha poteri di governo, egli li esercita
a nome del Romano Pontefice (Amministratore Apostolico).
Queste Chiese «dipendono immediatamente dalla Sede
Apostolica che delega un gerarca che esercita su di esse alcuni diritti
metropolitani (c. 175). Per quanto riguarda gli affari che il diritto comune rimanda
al diritto particolare della Chiesa “sui iuris”, o alla superiore autorità
amministrativa della stessa Chiesa, l’autorità competente è il gerarca che
presiede tale chiesa a norma del diritto, tuttavia con il consenso della Sede
Apostolica (c. 176).
Così, se la Chiesa “sui iuris” non è altro se non una
eparchia, il vescovo eparchiale può emanare leggi eparchiali che il suo successore
può anche abrogare. Se invece volesse stabilire una legge, che diventi lo “ius particolare”, non semplicemente eparchiale, ma della stessa Chiesa “sui
iuris”, deve ottenere per essa anche il consenso della Sede Apostolica. Tale
legge il suo successore non può né abrogare né cambiare, se non seguendo la stessa
procedura».
A differenza della sopra analizzata categoria, nelle altre
casistiche, patriarcale, arcivescovile maggiore e metropolitane, il potere
legislativo è esercitato collegialmente ed il diritto particolare quando non
promana dal Romano pontefice è frutto dell’azione collegiale dei suoi vescovi
riuniti nel sinodo ovvero nel consiglio dei gerarchi. Nel caso della
Chiesa eparchiale di Piana degli Albanesi «uno solo è il gerarca, che d’altronde potrebbe anche non essere
vescovo. Il gerarca è dunque l’unico legislatore della sua circoscrizione
ecclesiastica ma quando il diritto comune rinvia allo ius particulare ecclesiae sui iuris per questioni non risolte dal diritto stabilito dal Romano
Pontefice, il gerarca decide a riguardo, ma i suoi provvedimenti devono essere
sottoposti all’approvazione della Sede Apostolica».
Concludendo, le Chiese orientali sui iuris sono rete da gerarchi ed istituzioni giuridiche con un
potere dato loro ad normam iuris
dalla suprema autorità della Chiesa e
come partecipazione alla stessa suprema autorità.
Si tratta della varietas
Ecclesiarum la cui caratteristica principale è di
essere in unam conspirans, cioè nell’unica fede e nell’unica divina costituzione
della Chiesa universale.
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