L’Europa che non c’è
Da anni l’Europa non riesce a fare alcun
passo avanti decisivo per diventare un vero
soggetto politico. Cioè capace di avere
una politica estera comune e quindi di
cercare di contare qualcosa nell’arena
mondiale. Il che a sua volta implicherebbe,
naturalmente, avere anche un apparato
militare comune, obbediente ad un unico
comando nonché dotato di un armamento
eguale per tutti i contingenti, magari
fornito da un unico produttore.
Ma l’Unione europea da questo orecchio
non ci sente. I governanti dei vari Paesi
membri non intendono fare il passo
necessario per costruire una politica estera
e militare comune, e cioè rinunciare a
una parte cruciale della sovranità nazionale
di cui essi sono i titolari. Il fatto decisivo è
che dietro un tale rifiuto c’è una ragione che
ogni democratico non può non tenere nella
massima considerazione: e cioè che la
maggioranza dei loro elettori non lo vuole.
Vale a dire che la grande maggioranza dei
cittadini dei Paesi europei non si sente affatto
«europea». Per meglio dire, non si sente
innanzi tutto europea e solo poi lettone,
olandese o italiana: come sarebbe invece
necessario per dar vita a un’autentica Europa
politica. È vero infatti che nel nostro continente
prima sono nati gli Stati e poi i suoi cittadini.
È vero insomma che prima è nato il Regno di
Francia o il Regno di Spagna, e solamente dopo,
spesso molto dopo, sono nati i francesi o gli
spagnoli con la consapevolezza di una propria
identità nazionale.
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