Paolo Di Stefano, scrittore e giornalista al Corriere della Sera
Nascita: 11 novembre 1956, Avola
Non accetto lezioni
«Non accetto lezioni da nessuno»
è una delle frasi più ricorrenti nel
discorso pubblico. La premier non
accetta lezioni di democrazia da nessuno;
dopo le vicende di Bari, Schlein, come
in passato Matteo Renzi, ha detto di
non accettare lezioni di moralità da Conte;
ma anche Conte da premier precisava di
rifiutare a priori da chicchessia lezioni
in fatto di etica, di legalità e di politiche
migratorie; sempre sui migranti Salvini
ha dichiarato, più di recente, di non
ammettere lezioni da Macron; a proposito dei
finanziamenti alla cultura il ministro
ha puntualizzato che non vuole sentire
lezioni dall’ex ministro Franceschini;
da figlio di un partigiano, il ministro,
appena nominato, annunciò che
non intendeva prendere lezioni di
antifascismo dalla sinistra. Ma anni
fa un altro ministro dell’Istruzione ci
aveva sorpreso ripetendo ben tre
volte, in un talk show, che non accettava
lezioni da nessuno su niente. Un
paradosso comico che l’Istruzione neghi,
sia pure metaforicamente, la disponibilità
all’apprendimento. In realtà questo
fiero rifiuto reciproco all’ascolto ha
dietro di sé una tradizione ormai
quasi ventennale che si oppone
alla cattedra (scambiata per pulpito).
Con la fine del Novecento, il secolo
delle grandi lezioni (non solo ideologiche),
si è imposta una sorta di celodurismo
o fai-da-te culturale per cui il «Grazie,
preferisco arrangiarmi da solo…»
è diventato uno slogan autopromozionale,
come se l’apertura e la riconoscenza
verso i suggerimenti altrui fossero
un segno di debolezza.
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