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mercoledì 20 aprile 2022

La questione romana. I beni ecclesiastici e ...

 All'Alba dell'Unità d'Italia (4)

Il giro di Sicilia che Garibaldi, all'insegna del grido "O Roma o morte!", proseguì dopo aver tenuto a Marsala il comizio del 19 luglio 1862 non tardò a creare problemi diplomatici con Napoleone III che sostanzialmente redarguisce il governo italiano di Torino. Quel "Va' fuori, Napoleone, và fuori! Roma è nostra!" con cui Garibaldi agitò gli animi del suo uditorio provocò una immediata reazione del governo di Parigi che fece sapere al governo presieduto da Rattazzi   che la Francia avrebbe reagito contro Garibaldi ed i suoi se si fossero mossi verso Roma. Garibaldi continuò comunque il suo giro attraverso molti paesi e cittadine siciliane sempre pittorerescamente  coperto dal tradizionale poncho grigio, infiammando ovunque le piazze. Visitò il corleonese, ma il gruppo dirigente locale di Contessa Entellina che, nel "post unità" era stato parzialmente integrato da  esponenti liberali fatti arrivare da Salaparuta, non ritenne di doverlo invitare qui. Le parole infiammate  che  egli ripeteva in tutte le piazze non collimavano peraltro con il quadro sociale locale, su cui avremo modo di tornare.

Il governo nazionale, guidato -come sopra ricordato- da Rattazzi, per dimostrare a Napoleone III che qualcosa per placare l'onda garibaldina veniva fatto, in realtà non andò oltre il siluramento del marchese Pallavicino e del prefetto De Ferrari che avevano avuto l'incarico di seguire le mosse di Garibaldi nell'Isola. Il governo in verità non riusciva a nascondere il proprio "indirizzo politico" che palesemente si muoveva su un doppio binario: ufficialmente deplorava con manifesti fatti affiggere ovunque nei comuni che rientravano nell'itinerario di Garibaldi le intenzioni di questi di voler raccogliere volontari per liberare Roma, ma nei fatti dava disposizioni ai gendarmi di far finta di non vedere se quei manifesti governativi venivano strappati dalle popolazioni.

Nel clima piuttosto agitato vissuto nell'Isola in quel primo biennio di "unità del paese", pure a Contessa Entellina, avvennero molti delitti, magari ammantati da motivazioni politiche, che di fatto risentivano di un quadro culturale-sociale che -come riferiamo sopra- contiamo di dover tratteggiare in seguito. Era quello un periodo in cui regnava il grande malinteso: tutti coloro che nella società avevano, o ritenevano di avere, un peso o un ruolo, giocavano una partita, o facevano finta di recitare una parte; comprese le forze pubbliche che fingevano di non vedere chi strappava i manifesti che riportavano l'indirizzo ufficiale del governo, dissonante -ufficialmente- da quanto sobillava in ogni piazza Garibaldi.

 Quel contesto vide pure l'onorata società siciliana (la Mafia) cominciare a esternare il suo ruolo quasi platealmente.

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