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lunedì 18 aprile 2022

La questione Romana. I beni ecclesiastici e ...

 All'alba dell'Unità d'Italia (3)

 Due anni dopo la missione dei Mille in Sicilia l'entusiasmo  per l'Unità era piuttosto svanito e la situazione nell'Isola, sotto il profilo dell'ordine pubblico, non era affatto tranquilla. 
 Il nuovo quadro politico, nel passaggio dai Borboni ai Savoia, era piuttosto inquietante. Pure a Contessa la situazione era molto turbolenta. All'indomani dell'insediamento del nuovo Regno dei Savoia si erano registrati degli omicidi, regolamenti di conti fra gruppi più o meno dominanti locali, su cui contiamo di esporre alcuni dettagli e motivazioni di fondo sulla scorta di alcune narrazioni registrate su cassette reseci da Nicola Foto,  fornitici da questi nel corso di alcuni appuntamenti da lui fissati nella sua campagna di Calatamauro. Egli amava tantissimo l'impegno politico e ancor di più quello storico, sia pure da un'ottica prettamente localistica e di epica contadina, e appunto nel corso di cinque incontri domenicali (con precisa richiesta di registrare su nastro) ci ha ricostruito la vicenda contessiota dell'intero primo centenario post unitario.

 Per intanto sul Blog esponiamo il quadro generale dell'Isola. In Sicilia nel dopo "Unità" c'era chi soffiava sul fuoco e il governo di Torino cominciò a temere le spinte separatiste. La visita di Garibaldi non fu quindi contrastata dal governo. Il generale fu ospitato a Palermo dal marchese Giorgio Pallavicino, prefetto-governatore di Sicilia. Questi si proponeva di unificare gli intenti liberali-patriottici del governo piemontese con quelli rivoluzionari garibaldini che in realtà nell'Isola erano in aperto contrasto e quando venivano esibiti facevano parte della retorica patriottarda.

 Garibaldi, che -lo ricordiamo- aveva rifiutato di assumere alti gradi militari nell'esercito nordista americano, nella visita palermitana non intese affatto difendere la politica governativa, che non intendeva affrontare i secolari malesseri dell'Isola e, però, pretendeva il rispetto del nuovo sistema impositivo piemontese, la risposta alla chiamata alle armi e cosi via.  Garibaldi in realtà -nel corso della visita- si proponeva -da parte sua- di scatenare gli animi indicando, come soluzione ai malanni del giovane Stato, la congiunzione della Venezia Giulia e di Roma. I problemi sociali, che pure gli stavano a cuore, li vedeva come conseguenza dell'iniziale moto patriottico.
 Per tre settimane girò la Sicilia e ovunque teneva discorsi dove "unità dell'Italia e soluzione dei problemi sociali" venivano frammisti e fu proprio questa la formula con cui egli additava un futuro migliore. 
 In realtà andava sviluppandosi nel sottofondo della società siciliana un grande malinteso.
 Nel comizio che Garibaldi tenne a Marsala non lesinò attacchi a Napoleone III che teneva truppe francesi a tutela del potere pontificio: "Niuno vi inganni col dirvi che dobbiamo gratitudine al tiranno della Francia. La dobbiamo bensì al popolo francese. Si, il popolo francese è con noi, ed è nostro fratello, però geme schiavo sotto un despota ed anela la libertà. Napoleone è un ladro, un rapace, un usurpatore." 
  Tra gli applausi della folla concluse "Và fuori, Napoleone, và fuori! Roma è nostra".
 Si trattò quindi di una visita dove il Generale provò ad abbinare sentimenti sociali colti dal malessere della società siciliana ancora profondamente segnata dai residui feudali-baronali e sentimenti patriottico-nazionali usati come prospettiva.

(Segue)

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