StatCounter

domenica 24 aprile 2022

Alle radici del Cristianesimo

 Parola e Immagine

di Pavel Nikolajevic Evdokimov 

Il Vangelo di S. Giovanni incomincia col mistero del Figlio e lo chiama Logos. Tradurre questo nome con "Parola" è ridurre il senso infinitamente più ricco del termine greco. La versione latina di S. Ireneo ha conservato la forma greca Logos, e forse è la migliore soluzione. Origene nota che alcune parole "non possono avere la medesima risonanza in altre lingue, ed è meglio lasciarle non tradotte piuttosto che diminuire la loro forza con la traduzione": così le parole Amen, Alleluia, Hosanna. 

Martin Buber avverte che "il linguaggio bibblico conserva il carattere dialogante della realtà viva. Il coro che, nel Salmo,  ha fatto questa preghiera: "A causa del tuo amore, salvaci!", ascolta soltanto il silenzio per sapere se è esaudito.

La liturgia fa suo questo linguaggio dialogante, evocativo. Nella "liturgia dei catecumeni" che è quella della Parola, il Vangelo è al centro dell'altare, ma durante la "liturgia dei fedeli" fa posto al calice. La parola si compie nell'eucarestia, diventa Dio vivo, si offre in nutrimento.

La Parola entra nella storia: non parla soltanto, ma fa la storia e chiama gli uomini a porre degli atti che manifestano visibilmente il loro spirito. Il tempo è inseparabile dallo spazio e ogni parola creatrice s'indirizza all'udito e alla vista: "Ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia la Parola di vita, noi ve l'annunciamo; poiché la vita si è fatta visibile e noi l'abbiamo vista" (1Gv 1,1-3). Questo passo offre una magnifica testimonianza del carattere visivo della Parola. Accanto all'ordine intellegibile  si pone l'ordine visivo, accanto alla parola si pone l'immagine.

Si dice abitualmente che nell'ellenismo la vista predomina sull'udito, mentre tra gli Ebrei è l'ascolto ad avere il primato: Israele è il popolo della parola e dell'ascolto. Ma il teologo protestante G. Kittel osserva che nei testi messianici l' "ascolta Israele" fu posto all'invito "Alza gli occhi, e vedi": l'audizione cede alla visione. Il Signore trasfigurato si circonda di Mosè e di Elia, perché sono essi precisamente i grandi veggenti dell'Antico Testamento. "Beati i cuori puri, perché vedranno Dio" e  s. Stefano vede il cielo aperto nel momento del suo martirio. L'apocalisse dei vangeli e quella di s. Giovanni parlano della fine, dell'éschaton;  a questo livello si sente l'impotenza della sola parola; perciò essa si compie in un'immensa visione folgorante di forme e di colori che parlano a loro modo, plasticamente. All'angoscia di Giobbe Dio risponde con una successione massiccia d'immagini che rivelano e al tempo stesso proteggono il suo mistero; e Giobbe confessa: "Io ti conoscevo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti vedono" (Gb 42,5). Nella Bibbia la parola e l'immagine dialogano, si chiamano l'un l'altra, esprimono gli aspetti complementari della medesima ed unica Rivelazione.

Segni visibili solcano la storia e risalgono all'arcobaleno, immagine celeste dell'alleanza incrollabile tra Dio e gli uomini. Gli altari e i santuari prefigurano il Tempio, luogo teofanico, e testimoniano contro ogni forma astratta della pietà. I profeti sono angosciati dal puro spirituale, valutano la distanza tragica ed insopportabile tra il cielo e la terra; e Isaia emette il grido dell'anima giudaica: "Se tu squarciassi i cieli e scendessi!" (Is 63,19). Questo grido esprime l'esigenza della dimensione spaziale, attende e attira l'Incarnazione: "In verità vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell'uomo" (Gv 1,51).

La parola tende a "dimostrare", l'immagine a "mostrare". Lungo tutta la sua storia l'Antico Testamento è una lotta contro gli idoli, contro le false immagini e quindi è l'attesa dell'Immagine vera. Alla fine Dio rivela il suo volto umano, la Parola diviene oggetto di contemplazione.: "Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete" (Lc 10,23).

 Gesù ha guarito i sordi, ma ha pure aperto gli occhi ai ciechi. L'Invisibile si rivela nel visibile: "Chi vede me, vede il Padre" (Gv 14,9). Perciò l'immagine fa parte dell'essenza del cristianesimo allo stesso titolo della parola. La Parola al suo punto culminante si offre in nutrimento degli dei: "Prendete e mangiate, questo è il mio corpo", e il giorno della Pentecoste tutto è infiammato dalle lingue di fuoco.

La Croce esprime il silenzio del grande sabato e soltanto la sua icona fa veramente ascoltare, si può dire fa vedere, questo silenzio. E' significativo che il Simbolo della fede sia un "simbolo": non contiene, infatti, parole puramente dottrinali, ma confessa i misteri della fede tracciando la successione degli avvenimenti della salvezza. Esso si presta mirabilmente alla trascrizione iconografica e le icone delle feste liturgiche ce lo confessano in immagini epifaniche: attraverso il visibile, l'Invisibile viene verso di noi e ci accoglie alla sua Presenza.

La Liturgia è una rappresentazione scenica della Bibbia, la Parola donata come spettacolo liturgico: "Ritengo infatti che Dio abbia messo noi, gli apostoli, all'ultimo posto, come condannati a morte, poiché siamo diventati spettacolo al mondo, agli angeli e agli uomini" (1Cor 4,9). "Con lui -Cristo- Dio ha dato vita anche a voi... perdonandoci tutti i peccati, annullando il documento scritto del nostro debito, le cui condizioni ci erano sfavorevoli. Egli lo ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce; avendo privato della loro forza i Principati e le Potestà ne ha fatto pubblico spettacolo dietro al corteo trionfale di Crisato" (Col 2,13-15).

La liturgia costruisce il suo quadro: il tempio architetturato, le forme e i colori, la poesia e il canto; l'insieme delle sue armonie s'indirizza a tutto l'uomo. Il suo livello di elevazione esige sobrietà, misura e gusto artistico. E' per questo che la celeste di cui parla l'Apocalisse informa e struttura la liturgia terrestre, le dà la sua tonalità di icona del celeste. Essa guida l'arte sacra  per mezzo di un criterio infallibile: la partecipazione al mistero liturgico.

Il caso paradossale dell'autentico filosofo Sestov mostra che ogni negazione della filosofia è già una filosofia. Il rifiuto dell'immagine è già una certa immagine, immagine impoverita dall'attesa che è una regressione verso la pre-iconografia dell'Antico Testamento. La sola vera questione consiste nel sapere quali immagini sono legittime e conformi alla Rivelazione totale.

Nessun commento:

Posta un commento