Padre Jacques diceva messa a 86 anni e parlava di pace. Dell’estate, finalmente in arrivo dopo “una primavera un po’ freddina” a riscaldare il “nostro umore piuttosto depresso”, diceva: “è un tempo di incontri, con conoscenti e con amici: un momento per cogliere l’occasione di vivere qualcosa insieme. Un momento per prestare attenzione al nostro prossimo, quale esso sia”. I cronisti scrivono che era amico dell’imam Mohamed Karabila, presidente del culto musulmano per l’Alta Normandia. Che da 18 mesi, cioè dall’attentato a Charlie Hebdo, animava con l’imam un comitato interconfessionale per discutere di religione e di convivenza. Scrivono che la moschea di Saint Etienne du Rouvray sarebbe stata costruita su un pezzo di terra ceduto dalla parrocchia di Jacques Hamel.
L’uomo che ha fatto irruzione in chiesa, che ha costretto in ginocchio il vecchio prete, che gli ha reciso la gola filmando la scena, per poi leggere qualche parola in arabo, ha 19 anni, si chiama Adel Kermiche, è nato a Rouen da genitori algerini. Le foto lo mostrano qualche anno fa, quando era poco più che un bambino. Un ragazzino allegro, dice la madre, ma che, dopo la strage di Charlie Hebdo, ha cominciato a dire che la sua religione non si poteva professare in Francia, che lui voleva andare a combattere in Siria per lo stato islamico, che era quello il suo destino,la sua identità. Preso e rispedito a casa, arrestato e trattenuto per un anno in carcere, Adel girava con al polso un braccialetto elettronico, schedato con la S, sospetto terrorista ma in semi libertà, poteva muoversi dalle 8,30 alle 12,30 del mattino.
Tutto qui, un anziano gigante e un giovane incosciente. Le loro vite si sono sfiorate senza incontrarsi e si sono perdute. Una, dopo un’esistenza piena, l’altra, veniva dal nulla e si è sciolta nel nulla. I giornali titolano “il terrore, la jihad, il terrorismo” -chiamiamola la bestia- “uccide in chiesa”. Non è la prima volta che avviene.
20 anni fa, 7 monaci furono rapiti dal monastero di Notre-Dame de l’Atlas a Tibhirine e alla fine decapitati. La vicenda è stata rievocata dal bel film di Xavier Beauvois, Des hommes et des dieux. Da una parte il potere, algerino, illegittimo perché aveva annullato elezioni vinte dagli islamisti, dall’altra un gruppo di fanatici salafiti. In mezzo i monaci trappisti che pregavano e aiutavano gli arabi.
Questa è una guerra ideologica moderna, dice al Fatto Franco Cardini. Ideologica -credo- in una doppia accezione: colpendo un simbolo - un prete nella sua chiesa questo è- Daesh rivendica un proprio statuto simbolico, cerca di alzarsi a livello di quel simbolo per legittimarsi. Sgozzando padre Jacques, Adel, giovane déraciné né algerino né francese, a metà strada tra la vita a Rouen e la morte a Kobane, rivendica la sua alterità, cerca l’identità. che gli manca. Guerra santa? Conflitto tra civiltà? Jihad? Crociate? Paroloni. “L'internazionale degli imbecilli -osserva Cardini- è ampia: la guerra santa è immaginaria, non ha nulla a che vedere con le crociate storiche né col jihad...così, a freddo, questi due armati solo di arma bianca hanno fatto una parodia blasfema dell'atto di Abramo. Una cosa orribile che però non ha nulla di cristiano o musulmano: è un atto di follia politica”.
Ps. Non sono buonista, non credo che si possa sempre porgere l’altra guancia, ma trovo che ridurre questa cronaca macabra alle sue reali dimensioni serva a cacciare i fantasmi che agitano il mondo -primi fra tutti la paura e la sua sublimazione nel bisogno di vendetta-, che renda onore alla grandezza umana di padre Jacques, e delegittimi questi assassini, svelando la pochezza dei loro gesti e delle loro vite.
MARCO TARQUINIO, direttore di Avvenire (giornale cattolico)
Anche da questa parte del mare ora hanno osato colpire in chiesa, durante la celebrazione del mistero eucaristico, agendo contro un sacerdote che stava per consacrare il pane e il vino e uccidendo lui e uno dei fedeli presenti a quella santa Messa feriale in una piccola realtà francese di provincia. Tra le molte parole che si sono rincorse ieri in bocca a più di un politico è risuonata questa: la risposta al terrorismo dovrà essere «spietata». Non sono d’accordo. Sono invece d’accordo con lei, caro professor Mereghetti: la risposta dovrà essere forte, appassionata e lucida. Lucidamente appassionata. Non possiamo armarci della stessa spietatezza dei jihadisti islamici altrimenti saremmo come loro, e loro avrebbero vinto piegandoci alla loro logica. Non possiamo rinunciare a essere liberi. Noi – e quando dico "noi", lo ripeto ancora una volta, intendo tutte le persone "per il bene" che non si consegnano al male dell’odio, della sopraffazione e della chiusura – non possiamo rinunciare a essere umani e cristiani. Loro – e quando dico "loro" intendo i servi del terrore e tutti quelli che armano e fanno in ogni forma la guerra – vogliono che rinunciamo a essere cristiani e umani e diventiamo a nostra volta respingenti e cinici, violenti e feroci. Ci vogliono uguali a loro. La lotta sarà dura, e insegnanti come lei saranno in prima linea. Come ogni uomo e ogni donna di buona volontà. Come i nostri preti disarmati e disarmanti, coraggiosi e buoni, come padre Jacques assassinato in odium fidei, martire per fedeltà e per amore. Come ogni musulmano buono e che ha potere di parola e saprà usarlo con la forza, la chiarezza e la passione necessarie per condannare senza ambiguità in nome di Dio gli abomini che miscredenti assassini radunati sotto la bandiera nera del Daesh compiono nel nome del loro idolo di sangue.
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