Dinamiche politiche, culturali e istituzionali
nel Medio Oriente nel Novecento
Turchia
Negli anni immediatamente successivi al 1915 si definisce un nuovo ordine geopolitico nel Medio Oriente: l’impero ottomano si dissolve definitivamente e comincia il processo di formazione dei nuovi stati nazionali, con la Turchia indipendente e le regioni dell’area araba sotto mandato europeo, fino al raggiungimento della completa indipendenza nel corso degli anni quaranta.
Negli anni immediatamente successivi al 1915 si definisce un nuovo ordine geopolitico nel Medio Oriente: l’impero ottomano si dissolve definitivamente e comincia il processo di formazione dei nuovi stati nazionali, con la Turchia indipendente e le regioni dell’area araba sotto mandato europeo, fino al raggiungimento della completa indipendenza nel corso degli anni quaranta.
A partire da allora si profila una situazione nuova anche per le comunità cristiane orientali, che si trovarono inserite in due dinamiche profondamente diverse in Turchia e nell’area araba.
In Turchia il processo di costituzione dello stato nazionale, basato sull’identità turca, portò all’esclusione dei cristiani dal nuovo stato. In questo senso l’identificazione del concetto di nazione con l’appartenenza confessionale, come suggeriva il millet, portò a collegare l’identità turca all’appartenenza culturale musulmana, anche se da un punto di vista politico il nuovo stato turco si ispirava a una decisa laicità.
Il genocidio degli armeni pesa ancora oggi sull'identità della repubblica turca |
L’ideologia dei «giovani turchi» al potere si basava su un netto nazionalismo, che urtava contro opinioni politiche alternative presenti soprattutto in alcuni settori dell’ambito armeno che richiedevano l’autonomia della regione armena, in modo simile a quanto avveniva nell’area araba nonché in quella balcanica dell’impero ottomano. Tuttavia mentre il distacco dell’area araba e balcanica dell’impero poteva essere tollerabile per il nuovo assetto politico-istituzionale turco che si stava delineando, l’autonomia dell’area anatolica a popolamento armeno, che in nessun luogo era del tutto maggioritario, avrebbe significato una perdita territoriale insostenibile per la Turchia, tanto più che le rivendicazioni armene erano appoggiate dalla Russia, la quale mirava a espandere la sua influenza, così come l’Austria aveva ampliato la propria sostenendo le regioni balcaniche che in seguito alla rivoluzione del 1908 si erano distaccate dallo stato ottomano.
Di fronte al progressivo distacco dallo stato ottomano delle regioni balcaniche a maggioranza cristiana, gli armeni, da millet tradizionalmente fedele, vennero percepiti come un pericolo per il mantenimento di un assetto turco unitario a causa dei movimenti autonomisti attivi al loro interno, anche se la maggioranza della popolazione armena dell’Anatolia era inconsapevole dei giochi politici che si stavano svolgendo e manteneva la sua fedeltà allo stato.
Per stroncare ogni possibile pericolo, il governo dei «giovani turchi» decise nel 1915 la repressione contro gli armeni, attuata sia con truppe regolari sia, soprattutto, spingendo contro di loro le tribù curde e circasse musulmane con cui convivevano sul territorio, in nome del jihād contro gli infedeli cristiani. Tuttavia il ricorso alla guerra santa e alla motivazione religiosa fu puramente strumentale da parte del governo per fomentare le rappresaglie delle popolazioni musulmane contro gli armeni, ma in realtà il massacro di questi ultimi era motivato dalla volontà di fare prevalere l’identità etnico-culturale turca come base portante dello stato nazionale e di eliminare le componenti che nell’immediato potevano essere di ostacolo. In questo senso il cristianesimo era un elemento negativo nella misura in cui rafforzava l’identità armena e consentiva agli armeni di avere rapporti di prossimità culturale con le potenze cristiane, soprattutto la Russia.
Si calcola che nel corso della repressione furono massacrati da cinquecentomila a un milione di armeni.
I sopravvissuti presero la via dell’esilio o, in misura minore, si concentrarono in numero esiguo a Istanbul: della prospera popolazione armena dell’inizio del secolo in Turchia oggi rimangono circa settantamila persone, concentrate appunto a Istanbul.
Con modalità operative diverse la stessa azione di espulsione fu diretta dal governo turco verso i propri cittadini di confessione greco-ortodossa: nel 1922 in occasione della fine della guerra greco-turca che vide la vittoria della Turchia, il governo turco sancì, all’interno delle trattative di pace, che si attuasse uno scambio di popolazione, obbligando la maggior parte dei cristiani greco-ortodossi a lasciare la Turchia: si calcola che circa 464.000 musulmani di Grecia entrarono in Turchia contro 1.344.000 cristiani greco-ortodossi inviati in Grecia. Si trattava in questo caso di popolazioni cristiane prevalentemente turchizzate, la cui espulsione fu decisa in base alla sola appartenenza religiosa, considerata elemento di disintegrazione rispetto al l’identità nazionale turca. In Turchia il processo di costituzione dello stato nazionale moderno portò quindi alla fine quasi completa della tradizionale convivenza tra le diverse confessioni religiose che aveva caratterizzato l’epoca ottomana, ma che non aveva trovato nuove sintesi politiche di fronte al diffondersi delle idee liberali e delle ideologie nazionaliste: il nazionalismo turco, sebbene laico, agì come elemento selezionatore in ambito religioso. Il risultato di questo processo è stato la quasi completa scomparsa della popolazione cristiana in Turchia.
Paesi Arabi
Anche il PSNS aveva un’ideologia prettamente laica, e integrava maggioranza araba sunnita e minoranze in una concezione nazionalista che privilegiando la tradizione preislamica poneva in primo piano il ruolo delle minoranze etniche o religiose.
Il partito Ba‘th invece integrava le minoranze di qualsiasi tipo in una concezione molto ampia di «arabità» culturale. Sono due esempi che mostrano il fermento culturale e politico del periodo della Nahḍa e il ruolo rilevante che vi ebbero i cristiani mediorientali. La molteplicità di presenza e di ruoli culturali esercitati dai cristiani aveva per fine di dare vita a società e stati in cui si adottassero i principi democratici e una visione laica delle istituzioni, con l’obiettivo di costruire compagini statali moderne in cui l’adesione allo stato fosse basata sulla cittadinanza nazionale comune e non sull’appartenenza religiosa.
È chiaro che la nuova cultura politica, condivisa anche da larghi strati della componente musulmana, era particolarmente favorevole ai cristiani perché permetteva loro di superare definitivamente l’assetto sociopolitico tradizionale proprio dello stato musulmano, che manteneva i non musulmani in posizione di subalternità.
Diverse sono state invece le dinamiche dei cristiani arabi all’interno del processo di costituzione dei nuovi stati nazionali. In tale contesto i cristiani arabi esercitarono un ruolo notevole dal punto di vista sia culturale sia politico: essi furono infatti tra i principali esponenti della Nahḍa, il movimento di rinascita culturale e politica sorto nel mondo arabo nel secolo XIX e sviluppatosi nella prima metà di questo secolo. La Nahḍa aveva come obiettivo il rinnovamento politico, sociale e culturale della società araba e considerava l’identità araba come l’elemento comune di fondo. Sottolineare l’identità araba permetteva dunque sia di dare una base ideologica alla costruzione dell’indipendenza nazionale sia di accomunare nel progetto di costituzione degli stati moderni i musulmani e i cristiani, in quanto le differenze confessionali venivano integrate nell’identità araba comune. Da parte musulmana l’adesione alla Nahḍa fu rilevante, anche se con un duplice atteggiamento di fondo: accanto a una corrente più decisamente laica, si ponevano correnti che consideravano l’islam come tratto culturale predominante dell’identità araba e invitavano a riconoscerlo come tale.
Lo sviluppo culturale che i cristiani avevano conosciuto nei decenni precedenti e l’apertura alle idee liberali dell’Occidente permise loro di esercitare un influsso indiscusso all’interno dei vari movimenti di indipendenza nazionale e di rinnovamento culturale. Sul piano più specificamente politico la maggior parte dei partiti di carattere laico e nazionale ha visto la partecipazione dei cristiani: nell’area siriana il greco-ortodosso Michel ‘Aflaq fondò il partito Ba‘th, di ispirazione prettamente laica e socialista, e in Egitto esponenti copti ebbero un ruolo rilevante nella costituzione del partito nazionalista Wafd. In Siria si ebbe anche un’esperienza politica di eccezione nel contesto del Medio Oriente, di cui l’ideologo fu il greco-ortodosso libanese Antūm Sa‘āda, il quale fondò il Partito Siriano Nazionale Sociale. Questo partito agli inizi esprimeva una contestazione dichiarata all’identità araba dello stato e della nazione, e mirava a sostituirla con un’identità prettamente «siriana», che si rifaceva anche alla storia preislamica, ottenendo il sostegno da minoranze come i curdi, gli aleviti, i drusi, parte dei cristiani. Anche il PSNS aveva un’ideologia prettamente laica, e integrava maggioranza araba sunnita e minoranze in una concezione nazionalista che privilegiando la tradizione preislamica poneva in primo piano il ruolo delle minoranze etniche o religiose.
Il partito Ba‘th invece integrava le minoranze di qualsiasi tipo in una concezione molto ampia di «arabità» culturale. Sono due esempi che mostrano il fermento culturale e politico del periodo della Nahḍa e il ruolo rilevante che vi ebbero i cristiani mediorientali. La molteplicità di presenza e di ruoli culturali esercitati dai cristiani aveva per fine di dare vita a società e stati in cui si adottassero i principi democratici e una visione laica delle istituzioni, con l’obiettivo di costruire compagini statali moderne in cui l’adesione allo stato fosse basata sulla cittadinanza nazionale comune e non sull’appartenenza religiosa.
È chiaro che la nuova cultura politica, condivisa anche da larghi strati della componente musulmana, era particolarmente favorevole ai cristiani perché permetteva loro di superare definitivamente l’assetto sociopolitico tradizionale proprio dello stato musulmano, che manteneva i non musulmani in posizione di subalternità.
Per alcune regioni del Medio Oriente arabo il risultato del processo di indipendenza fu dunque la costituzione di nuovi stati tendenzialmente laici nella loro struttura, e la scelta della laicità esprimeva simbolicamente l’ingresso deciso nella modernità e il distacco dal passato ottomano e tribale. In essi però l’assetto democratico ebbe in generale vita difficile e spesso conobbe l’involuzione verso forme di governo autoritarie di tipo nazionalista: è il caso della Siria, dell’Iraq e dell’Egitto.
È in questo contesto di autoritarismo nazionalista, spesso accompagnato da nazionalizzazioni in campo economico, che in alcuni settori della popolazione cristiana sembra verificarsi una diminuzione dell’identificazione nella causa nazionale e si profilano gli inizi di flussi emigratori verso i paesi occidentali. Sembra che i cristiani, proprio per la loro formazione culturale più moderna e aperta alle idee liberali, abbiano risentito in modo più accentuato della mancanza di libertà e siano stati indotti così a cercare fuori della propria patria contesti più favorevoli. Culturalmente poi è continuata e si è rafforzata fino a oggi la dialettica interna all’islam tra i fautori di un movimento di riforma aperto alla modernità e i movimenti che, sorti proprio nei primi decenni del secolo come reazione a tali processi di modernizzazione sociale, politica e culturale, sostengono invece politicamente e culturalmente il ritorno all’islam integrale: dai Fratelli Musulmani fondati nel 1928 in Egitto e poi diramatisi in tutti i paesi del Medio Oriente, fino, più recentemente, ai nuovi movimenti islamici radicali. Il risultato di queste dinamiche politiche e culturali, segnate da processi di autoritarismo politico e da rinnovati tentativi di islamizzazione, ha reso quasi ovunque incompleta l’evoluzione verso forme di stato «laiche», in cui vi sia eguaglianza di diritti e di doveri per tutti i cittadini che hanno lo stato come interlocutore, il quale garantisce tramite la cittadinanza uno stato di diritto egualitario, indipendente dall’appartenenza confessionale. In pratica la laicità è incompleta perché l’islam o la sharī‘a figurano a vario titolo in quasi tutte le costituzioni dei paesi arabi, spesso grazie a reintroduzioni recenti. Inoltre la gran parte di questi sistemi statali che hanno scelto in principio la via del nazionalismo laico, lungi dal garantire uno stato di diritto egualitario, ha favorito in effetti il predominio di una comunità (segmento etnico o religioso della popolazione) sulle altre:
--in Egitto si assicura il predominio dei musulmani sui copti,
--in Siria il predominio degli aleviti sulle altre componenti,
--in Iraq il predominio sunnita rispetto principalmente alla popolazione sciita, almeno fino al regime di Sadam.
Le dinamiche politiche che hanno caratterizzato gli stati arabi a partire dalla loro indipendenza, e in particolare negli anni sessanta e settanta, hanno definito in maniera diversificata la situazione delle comunità cristiane nei vari stati. Volendo essere schematici, e quindi necessariamente semplificatori, tre sono le principali traiettorie politico-sociali che hanno caratterizzato i paesi della regione mediorientale negli ultimi decenni:
1) l’affermarsi di una politica nazionalista, evidente particolarmente in Siria, Iraq ed Egitto;
2) l’emergere e il rafforzarsi dei processi di islamizzazione, con un’intensificazione notevole a partire dagli anni settanta;
3) il verificarsi di situazioni di conflitto bellico prolungato sia in relazione alla questione palestinese, sia, dal 1975 al 1990, nel caso del conflitto libanese e, successivamente, nel 1991, in occasione della guerra del Golfo.
Queste dinamiche principali hanno influito in modo determinante sulla politica interna ed estera degli stati e sulla situazione più specifica dei cristiani. La riproposizione militante dell’appartenenza islamica sul piano sociale e politico ha segnato una decisa ripresa di importanza dell’appartenenza confessionale e della sua influenza sulle istituzioni e sulla società; si ripropone come questione aperta nel dibattito politico quella della laicità delle istituzioni e del concetto di cittadinanza, che rivestono entrambi un ruolo decisivo per lo statuto dei non musulmani.
1) l’affermarsi di una politica nazionalista, evidente particolarmente in Siria, Iraq ed Egitto;
2) l’emergere e il rafforzarsi dei processi di islamizzazione, con un’intensificazione notevole a partire dagli anni settanta;
3) il verificarsi di situazioni di conflitto bellico prolungato sia in relazione alla questione palestinese, sia, dal 1975 al 1990, nel caso del conflitto libanese e, successivamente, nel 1991, in occasione della guerra del Golfo.
Queste dinamiche principali hanno influito in modo determinante sulla politica interna ed estera degli stati e sulla situazione più specifica dei cristiani. La riproposizione militante dell’appartenenza islamica sul piano sociale e politico ha segnato una decisa ripresa di importanza dell’appartenenza confessionale e della sua influenza sulle istituzioni e sulla società; si ripropone come questione aperta nel dibattito politico quella della laicità delle istituzioni e del concetto di cittadinanza, che rivestono entrambi un ruolo decisivo per lo statuto dei non musulmani.
(focalizzeremo l'attenzione politico-culturale stato per stato)
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