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giovedì 14 gennaio 2016

Terremoto Valle del Belice. Sono trascorsi 48 anni; adesso tutta l'area va spopolandosi per carenza di opportunità lavorative


Il contesto politico, socio-culturale e quello umano di 48 anni fa' nella Valle del Belice era molto, ma molto, diverso da quello di oggi.
Con gli occhi di oggi diremmo che allora nelle misere case si viveva di pane e cipolle. In molte circostanze era proprio cosi; allora il Belice era, nonostante quello stato socio-economico "contadino", popolato da gente che possedeva identita' ed umanita', pure orgogliosa per le non lontane esperienze di lotte di emancipazione condotte per le occupazioni delle terre che come sappiamo- condussero -tuttavia- alla fallimentare esperienza della riforma agraria, boicottata in ogni modo e con precisa volonta' dai governi conservatori della Regione Sicilia.
Il terremoto sebbene intenso in qualsiasi altra parte d'Italia non avrebbe causato danni significativi, nel Belice invece, dove non di edifici erano composti i centri abitati, i danni furono enormi perche' tutte, proprio tutte, le catapecchie che ospitavano oltre centomila persone crollarono o subirono danni irreparabili.
Sfogliando i giornali di allora e' sorprendente scoprire come gli  inviati del Corriere della Sera, de La Stampa, e dei giornali del Nord abbiano impiegato qualche giorno prima di raggiungere Poggioreale, Salaparuta, Gibellina etc.
Non esistevano strade, servizi pubblici, possibilita' utili a capire dove stesse, cosa fosse, la Valle del Belice e cosa fosse successo.
Il terremoto comporto' sacrifici enormi in termini di vite umane, oltre 370 morti ed un migliaio di feriti. Fu distrutto o reso inutilizzabile l'intero patrimonio di catapecchie e di abitazioni espressione della millenaria poverta' delle popolazioni.
Noi a Contessa ricordiamo una vittima, una persona simpatica e giovane quale era Agostino Merendino, caduto nella notte del 14/15 gennaio 1968 per i crolli avvenuti in via Croja, marito e padre di famiglia. Tutti quelli che lo abbiamo conosciuto lo ricordiamo come persona buona, aperta e socievole.
Noi a Contessa nella ricorrenza del terremoto del 1968 ricordiamo anche l'unica persona che in quella notte terribile, quando la paura calo' sul centro abitato, provo' a rappresentare le istituzioni. 
Una sola persona, nell'eclisse generale di quella notte di chi avrebbe dovuto portare conforto, aiuto, assistenza e indicazioni, ricordo' -all'esterno della propria famiglia- che l'essere umano non e' solo egoismo, individualismo e familismo.
Il giovane sindaco di allora dovette da solo, o quasi, girare tutti i quartieri e vicoli del paese per mettere in salvo gli anziani, gli ammalati, quelli che non disponevano di parenti.
In quella notte, dobbiamo evitare di scordarcelo, a Contessa non esistettero nè istituzioni nè apparati in divisa, nè in tunica o altro, nè volontari nè dipendenti pubblici nè  altre figure che vollero provare a  rassicurare la gente, se non quel giovane sindaco che  da solo (o con i pochi compagni di partito che riuscì a mobilitare) e fino al giorno seguente, 15 gennaio, costituì l'unico riferimento della popolazione smarrita ed impaurita.

Ecco perche' il nome di Di Martino, a cominciare da quella notte, e poi nei decenni della Ricostruzione e' sempre stato associato al  "terremoto". Ecco perchè -insieme ad altri sindaci della Valle- fu insignito con l'onorificenza di Commendatore della Repubblica dal Presidente Giuseppe Saragat.

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