LA SICILIA
MARIO MATTIA* Vita (provincia di Trapani), 14
gennaio 1968.
Da poco si è conclusa un'assemblea cittadina
nella sala del Consiglio comunale e, mentre gli uomini continuano a discutere
animatamente, i bambini giocano ad acchiappareddu. All'improvviso, da una della
case basse che danno sulla piazza, esce un uomo che afferra per i polsi uno dei
bambini e lo spinge dentro casa gridando: «Dentro, dentro, disgraziato! Dentro
che c'è lu terremoto». E lo trascina dentro casa, sbarrando il portone con
tutti i ferri disponibili. Chiudendo fuori il terremoto.
Questo episodio, raccontato da Lorenzo Barbera in
uno dei suoi libri, ci da un'immagine quasi fotografica dell'impreparazione,
direi quasi del rifiuto che l'idea stessa di terremoto generava tra la gente
del Belice. Dopo le prime scosse, (susseguitesi tra le 13.30 e la serata di
quella domenica di 48 anni fa) che causarono danni limitati, un terremoto di
magnitudo stimata intorno a 6.1, alle 3 del mattino del 15 gennaio, si abbattè
sulle case della gente del Belice, sulle loro vite, sui loro paesi, sulla loro
storia e li distrusse per sempre. E distrusse anche quella ingenua speranza di
tener lontano il disastro, che diventò invece una sorta di spartiacque del
tempo, tanto che ancora oggi tra la gente del Belice si parla di
"prima" e "dopo" il terremoto.
In generale, questo concetto vale un po' per
tutta l'Italia. Tanto è vero che prima del 15 gennaio 1968 nessuno conosceva
l'esistenza di Gibellina, Santa Ninfa, Montevago, Contessa Entellina, S.
Margherita Belice, Vita, Salaparuta, Poggioreale. Da quella data in poi questi
nomi sono entrati nell'immaginario collettivo come sinonimo di disastro.
Disastro naturale e disastro sociale. I freddi numeri raccontano di una
sequenza sismica durata molto a lungo. La scossa principale fu preceduta da una
serie di eventi minori iniziatisi domenica 14 gennaio, di cui quattro con
magnitudo compresa fra 4.7 e 5.1, e seguita da altri 79 eventi, con una forte
replica di magnitudo 5.8 il 25 gennaio.
Dalla fine di gennaio al primo giugno dello
stesso anno furono registrati dall'Università di Messina altri 65 terremoti con
magnitudo superiore a 3, e circa un migliaio di repliche con magnitudo 2. La
disastrosa sequenza interessò l'area compresa tra le province di Agrigento,
Trapani e Palermo, comunemente definita col termine di Valle del Belice,
provocando danni in numerosi comuni della Sicilia centro-occidentale (quindici
in totale). Dei quindici paesi interessati, dieci furono quelli maggiormente
colpiti e, fra questi, quattro furono completamente distrutti: Gibellina,
Montevago, Salaparuta e Poggioreale. Gli altri paesi in cui si riscontrarono le
più alte percentuali di danni furono Santa Ninfa, Santa Margherita Belice,
Partanna, Salemi, Menti, Contessa Entellina, Vita e Camporeale; mentre danni
minori si ebbero a Roccamena, Castelvetrano e Sambuca. La dolorosa conta delle
vittime racconta di 352 morti e 576 feriti. I senzatetto furono 55.700. Ancora
oggi il problema relativo all'individuazione delle faglie responsabili di
quella sequenza sismica non è definitivamente risolto e solo recentemente,
anche grazie all'uso di tecniche di indagine satellitare (InSAR e GPS) e grazie
all'esecuzione di profili sismici ad alta risoluzione in mare, si è proceduto a
un'analisi multidisciplinare che comincia a dare i suoi frutti. Anche perché
non è molto lontana dalla Valle del Belice, la città di Selinunte, distrutta
per ben due volte da forti terremoti (IV secolo a. C. e IV-V1 secolo d. C).
Da qui in poi questa triste storia smette di
essere competenza di geofisici e gestori dell'emergenza e diventa materia per
fiumi di inchiostro spesi su leggi, regolamenti, giornali, interrogazioni
parlamentari, atti di commissioni d'inchiesta, libri e progetti di
ricostruzione. Riuscire a ricavare numeri certi per la ricostruzione è
pressoché impossibile perché, di fatto, è ancora in corso oggi, a 48 anni dalla
sequenza sismica. Solo fino al 1990 gli stanziamenti ammontavano alla cifra
di 7.932,6 miliardi di lire (circa 4 miliardi di euro). In questa somma sono
contabilizzati anche i costi per le molteplici infrastrutture destinate
all'intera Sicilia Occidentale. Il capitolo della ricostruzione, purtroppo, è
un dramma dal quale tuttora si fatica a tirarsi fuori. Il Belice, a 48 anni da
quell'evento è profondamente diverso, ma è ancora terra dove i giovani
preferiscono l'emigrazione e dove la parola "sviluppo" assomiglia a
un'irraggiungibile chimera. Se uno spazio c'è per la speranza, questo è legato
alle immense potenzialità turistiche della zona, dotata di splendide attrattive
naturali e di veri e propri musei a cielo aperto (la Gibellina del
sindaco-mecenate Ludovico Corrao con le opere di Consagra e Schifano, o le
architetture di Quaroni e Purini, o ancora il Cretto di Burri - immenso sudario
di cemento sul vecchio paese di Gibellina realizzato dall'artista umbro Alberto
Burri) e dall'impetuoso affermarsi a livello mondiale di vini di eccellente
qualità originari di questo lembo di Sicilia tanto martoriato quanto meraviglioso.
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