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giovedì 14 giugno 2018

Cosa è cambiato dai tempi di "Mani Pulite"? Nulla.

Sintesi di un test più lungo dell'A.G.I.
Alla corruzione in Italia nessuno ha voluto creare gli opportuni e necessari “anticorpi”. Da quando iniziò l’operazione “Mani Pulite”, l’Italia è ancora senza alcuna normativa seria di vero contrasto. Nella Capitale d’Italia retta amministrativamente dagli uomini dell’onestà “gridata” e probabilmente meno praticata ci sono stati 9 arresti connessi ai lavori del nuovo stadio.
 Molti italiani soffrono per arrivare a fine mese, ma  c’è chi continua ad arricchirsi sulle spalle di opere pubbliche, grandi opere ed eventi, ossia col denaro pubblico. E’ però il disgusto dalla corruzione in Italia è come sempre più apparente che reale.
"Il Paese sta morendo con i giovani che non trovano lavoro, la gente che non va più a votare e massicciamente espatria”. Queste cose diceva recentemente Piercamillo Davigo.
Nel 1992, oltre alla bravura degli inquirenti, l’effetto domino fu innescato dal fatto che fossero “finiti i soldi”, non certo da un sussulto delle coscienze. Oggi vediamo che l’andazzo è sempre lo stesso: cambiano le “casacche” politiche, ma i risultati sono ugualmente drammatici.
Ai tempi di “Mani Pulite” erano i partiti politici a giocare questa funzione di “regolazione” tramite il finanziamento illecito, che era il prezzo che molti dei partecipanti al gioco pagavano ai partiti, cioè a strutture organizzate, per entrare nella spartizione riservata a pochi delle risorse pubbliche. Quando il peso dei partiti è venuto meno, e con esso la loro forza organizzativa, di volta in volta attori diversi (faccendieri, vertici di consorzi, associazioni mafiose autoctone), sono subentrati.
Fermo restando la presunzione di innocenza per la vicenda dello stadio di Roma apprendiamo dalle tesi accusatorie “Non è più una singola cabina di regia che faceva perno sulle segreterie dei vari partiti, ma in un sistema policentrico, in cui assume importanza il cosiddetto faccendiere che connette i singoli rami”. Così Alberto Vannucci, professore di Scienze Politiche all’Università di Pisa ed esperto di “prevenzione e contrasto della criminalità organizzata e della corruzione”, spiegava le differenze fra gli anni bui di tangentopoli e quelli odierni.
In seguito alla sentenza di primo grado del processo “Mondo di mezzo” (quello che vide coinvolto tanto e tantissimo Pd), quando l’accusa della Procura contestava l’associazione mafiosa mentre il Tribunale ha riconosciuto il sistema corruttivo, chi è stato condannato ha esultato, come pure una parte dell’opinione pubblica, sostanzialmente dicendo “avete visto? È corruzione, non mafia”.
Come se la corruzione in questo Paese non fosse una vera e propria piaga analoga alla mafia, come se per qualcuno rubare fondi pubblici sia quasi accettabile, non capendo che quei soldi sono di ogni cittadina ed il bilancio della corruzione nel nostro Paese, 60 miliardi, pesa sulla vita di ciascuno di noi. 
Il problema è che si comprino i voti dalla mafia o che si comprino in assoluto? La corruzione, in Italia, è accettata con la rassegnazione di chi la considera un “fenomeno normale”. Ed allora, se è un fenomeno normale, non lamentiamoci dei posti di lavoro che mancano, dei nostri giovani che sono costretti ad emigrare all’estero. Perché se non cambia la cultura, gli inquirenti continueranno nel loro “brillante” lavoro, ma passata l’indignazione del momento tutto tornerò come prima.
Senza comprendere che, nel 2018, in Italia la corruzione è l’altra faccia della stessa medaglia delle mafie. 
Decidiamoci: o le mazzette o il lavoro per i più giovani.

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