Vivere Contessa
Vivere il Territorio
Mi ha sempre incuriosito capire perchè i Peralta-Cardona che nella capitale dell'isola, a Messina dove risiedevano, ricoprivano alti incarichi per conto della Corona di Spagna, abbiano indirizzato i profughi che arrivavano dall'Albania in quella seconda metà del XV e poi nel XVI secolo per sfuggire alla guerra e all'invasione ottomana proprio qui, li abbiano indirizzati nell'attuale territorio di Contessa Entellina.
Si dirà perchè qui avevano vasti domini terrieri scarsamente valorizzati, o per nulla valorizzati, o valorizzati a costi esuberanti rispetto alle attese.
E' probabile !
Anzi è proprio questa la chiave di lettura più probabile.
Se questa è stata la motivazione, motivazione economica e non umanitaria, che ha deciso il destino di quei profughi, è da approfondire e studiare nei dettagli il filone storico che stiamo perseguendo da pochi giorni sul Blog sotto la voce "Vivere al meglio Contessa", che poi significa conosciamo la Storia del territorio e delle popolazoni che nel tempo l'hanno abitata.
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Il territorio -lo abbiamo evidenziato- non era completamente disabitato nei duecento anni che seguirono alla distruzione definitiva di Entella e prima dell'arrivo degli arbëreshe. Esistevano da secoli precedenti, forse sin dall'epoca romana, alcune "masserie" sparse, per nulla ragruppate fra loro aperte all'accoglienza -per farla lavorare- di gente arabo-mussulmana sopravissuta alle furie dell'epoca di Federico II.
Queste masserie avevano grande necessità di manodopera bracciantile specialmente nella stagione estiva che veniva attinta nelle città e località vicine, Corleone sopratutto, ma anche da lontano e soprattutto dalle Calabrie. Gente che sostava qui, nell'area dell'attuale Contessa, per cinque-sei mesi nel periodo della raccolta-semina e poi tornava nei propri paesi.
In effetti i periodi critici per i "massari" che dovevano gestire per conto dei Peralta-Cardona le masserie sparse sul territorio erano quelli dell'aratura e poi quelli della mietitura ed ingaggiare centinaia e centinaia di braccianti implicava (anche a quei tempi) costi relativamente significativi.
I braccianti calabresi erano soggetti bisognosi, ma per farli arrivare dall'altro versante dello stretto era -anche a quei tempi- necessario incentivarli.
Aratori, falciatori, mietitori si fermavano quindi in prossimità delle "masserie" per più mesi in dimore temporanee, "pagliai", tuguri e simili. Queste dimore sono ancora nella memoria di chi negli anni cinquanta del Novecento era ragazzino; esistevano e venivano usati ancora in quel decennio, infatti.
Costruzioni senza scavi profondi e con le fondamenta in pietra sovrapposta "a secco" e senza l'uso di materiale coesivo sono ancora in uso dai pastori in alcune zone del territorio. Si trattava di costruzioni elevate con paglia e fogliame impastate con fanchiglia. Consistevano di un vano potevano ospitare il bracciante (e spesso l'intera sua famiglia), le bestie collaboratrici (capra, pecora, in taluni casi pure l'asino).
Era quella la protezione bracciantile dal freddo invernale e dal caldo estivo nel periodo post distruzione di Entella. E' continuato ad esserlo, per la verità, fino a decenni dopo la seconda guerra mondiale, magari con muri più solidi in pietra in forma rettangolare e tetto di paglia.
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