IL MANIFESTO
Antigone è la Costituzione
Sea Watch. Il nostro ordinamento giuridico è costruito per gradi gerarchici. Al vertice sta la Carta. Le leggi e i decreti stanno sotto. E ciò che sta sotto non può contraddire ciò che sta sopra, pena il suo annullamento da parte della Corte costituzionale. Carola Rackete ha assunto apertamente il rischio di violare la legge, convinta della sua contrarietà alla nostra Costituzione
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La battaglia legale intorno alla Sea Watch 3 si annuncia complicata. Non sarà facile districarsi tra diritto umanitario, trattati internazionali, normativa europea, diritto della navigazione, legislazione penale e amministrativa.
Un complesso normativo, oltretutto, che si sviluppa lungo un arco temporale lunghissimo, se è vero che ai divieti recentemente sanciti dal decreto Salvini bis si contrappongono doveri risalenti ai tempi in cui il Mediterraneo si chiamava Mare Nostrum. Non a caso, alla mente di tanti è istintivamente riaffiorata la tragedia di Antigone, il dramma – allora come oggi – di una giovane donna coraggiosa, costretta da un potere feroce a scegliere tra l’obbedienza alle leggi della città o alle leggi dell’umanità.
È UN TERRENO scivoloso. Farsi interpreti di cosa dicano le leggi dell’umanità o, come dicono i filosofi del diritto, di quale sia il contenuto del diritto naturale implica ricorrere a giudizi di valore soggettivi. Giudizi certamente argomentabili secondo ragione, ma pur sempre di parte. Un librino di Hans Kelsen – Il problema della giustizia (1960) – dimostra come qualsiasi principio di giustizia rimandi, in ultima istanza, a scelte di carattere soggettivo. «A ciascuno il suo», «non fare agli altri quel che non vorresti fosse fatto a te stesso», «da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni», ecc.: sono tutti principi astratti, che necessitano di venire “riempiti” di contenuto. Cos’è il «suo» di ciascuno? Cos’è che non vorresti fosse fatto a te stesso? Quali sono le capacità di ciascuno, quali i suoi bisogni? Anche escludendo gli interlocutori in malafede, le risposte possibili restano tantissime: potenzialmente, tante quante le persone interrogate.
Dal 1948 in Italia c’è un modo più semplice per uscirne: nella sua famosa arringa per Danilo Dolci (1956), Piero Calamandrei scrive: «Anche qui il contrasto è come quello tra Antigone e Creonte: tra la umana giustizia e i regolamenti di polizia; con questo solo di diverso, che qui Danilo non invoca leggi “non scritte”. (Perché, per chi non lo sapesse ancora, la nostra Costituzione è già stata scritta da dieci anni)».
E non è una mera dichiarazione di valori: il nostro ordinamento giuridico è costruito per gradi gerarchici. Al vertice sta la Costituzione. Le leggi e i decreti stanno sotto. E ciò che sta sotto non può contraddire ciò che sta sopra, pena il suo annullamento da parte della Corte costituzionale. Carola Rackete ha assunto apertamente il rischio di violare la legge, convinta della sua contrarietà alla Costituzione. Se venisse rinviata a giudizio, il giudice non potrà evitare di considerare l’obbligo di soccorrere i naufraghi e di condurli in un porto sicuro sancito dalle consuetudini internazionali sul diritto del mare e dai trattati internazionali che le specificano, ben sapendo che si tratta di fonti normative che – in quanto richiamate dagli articoli 10, co. 1, e 117, co. 1, della Costituzione – hanno rango superiore al decreto Salvini. Per questa via, sanzioni penali e amministrative potrebbero finire nel nulla.
OCCORRE, inoltre, ricordare che le stesse fonti di rango legislativo sono molteplici e, in alcuni casi, prevedono deroghe o scriminanti rispetto a quanto sancito dalla legislazione. È quanto verrebbe a verificarsi se – come pare ipotizzabile – alla comandante della Sea Watch 3 venisse riconosciuto di aver agito in stato di necessità, scriminante prevista dall’art. 54 del codice penale che non rende punibile chi, per salvare se stesso o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, non ha potuto agire altrimenti che violando la legge.
È ESATTAMENTE per questa ragione che la vicenda riguarda tutti noi, ed è una questione non (solo) giuridica, ma sostanzialmente politica. Se per salvare vite umane bisogna necessariamente violare delle leggi, che razza di leggi ci siamo dati? Quante delle nostre leggi – dalla Turco-Napolitano alla Bossi-Fini, dal decreto Minniti a quelli di Salvini – sono in larga parte incompatibili con l’articolo 2 della Costituzione, per cui la Repubblica italiana «riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale»? E che dire dell’intesa sul contrasto all’immigrazione firmata da Gentiloni con le milizie libiche? È grazie a quell’accordo che il governo poteva pretendere che la Sea Watch 3 riconsegnasse ai libici i naufraghi. In fondo, Matteo Salvini e i suoi sono coerenti: perché vorrebbero abbattere il progetto di libertà e giustizia che la Costituzione promette. Ma i deputati del Pd saliti su quella nave facevano anche loro propaganda sulla pelle dei migranti o hanno capito che le loro leggi stanno dalla parte di Creonte, e non da quella di Antigone, che in Italia si chiama Costituzione?
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