In quel tempo, uno dei commensali disse a Gesù: "Beato chi mangerà il pane nel regno di Dio!"
Gesù rispose: "Un uomo diede una grande cena e fece molti inviti. All'ora della cena, mandò il suo servo a dire agli invitati: Venite, è pronto. Ma tutti, all'unanimità, cominciarono a scusarsi.
Il primo disse: Ho comprato un campo e devo andare a vederlo; ti prego, considerami giustificato.
Un altro disse: Ho comprato cinque paia di buoi e vado a provarli; ti prego, considerami giustificato.
Un altro disse: Ho preso moglie e perciò non posso venire.
Al suo ritorno il servo riferì tutto questo al padrone. Allora il padrone di casa, irritato, disse al servo: Esci subito per le piazze e per le vie della città e conduci qui poveri, storpi, ciechi e zoppi.
Il servo disse: Signore, è stato fatto come hai ordinato, ma c'è ancora posto.
Il padrone allora disse al servo: Esci per le strade e lungo le siepi, spingili a entrare, perché la mia casa si riempia. Perché vi dico: Nessuno di quegli uomini che erano stati invitati assaggerà la mia cena".
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Così come nella trascorsa domenica anche nell'odierna l'interpretazione da ricavare dal brano di vangelo cantato oggi nelle liturgie di rito bizantino è, a primo sentire, piuttosto duro. Allude ad un "padrone" che sotto certi aspetti, con logica odierna, da società di borghesia decadente, da società da politicanti prepotenti, pare uno che voglia circondarsi di invitati, di ... clienti per fare buona figura con la festa da lui organizzata.
Come al solito serve una logica che non è quella della prima apparenza. Come al solito bisogna tenere presente che i criteri del Dio biblico non sono i criteri nostri, superficiali e attenti alle apparenze.
Dopo aver capito la logica evangelica si capiranno meglio quei richiami: "Comprate o voi che avete fame senza denaro, porgete l'orecchio e venite a me!".
Chiunque di noi, quando organizza una festa in occasione del proprio matrimonio, della laurea etc ritiene normale invitare i propri parenti, i propri amici e tutti coloro con cui intrattiene relazioni. Il banchetto, la festa è occasione relazionale per mostrare appartenenza e per trasmettere vicinanza e corrispondenza di sentimenti e comune sentire. Tutti gli invitati appartengono alla cerchia, al contesto storico dell'invitante, il quale prima o dopo sarà pure lui invitato alle feste dei suoi amici. Do ut des.
Così -sembrerebbe- si è comportato il "padrone" della parabole raccontata dal Nazareno, reduce questi da accuse di alcuni appartenenti al "mondo per bene" di avere guarito "malati" pure di sabato e non dietro appuntamento negli orari prestabiliti.
Un personaggio di quelli sempre pronti a puntare il dito, di quelli che hanno un loro mondo chiuso dove non tutti possono aderire, chiede al Nazareno chi potrà godere della festa eterna.
La risposta è stata del tipo "molti i chiamati, pochi gli eletti".
Pare di capire che gli invitati sono tutti gli amici del padrone ricco (solo Dio è ricco, in questo contesto): tutti gli uomini che hanno la stessa dignità, la stessa figliolanza di Dio. Però una buona parte di costoro, invitati, ritengono che non valga la pena partecipare a quella festa perché chi possiede un certo "livello", una certa "posizione" non può dedicare il suo tempo trascurando gli impegni di lavoro, di famiglia, di costruzione con le proprie capacità del futuro. A prendere in considerazione il comportamento di costoro la festa finale è destinata a fallire perché esistono priorità da coltivare rispetto all'intrattenere rapporti comunitari, relazionali.
Il "padrone" della parabola però la festa la vuole tenere (ci ricorda quel: Dio vuole che tutti gli uomini siano salvi), a prescindere dei tanti che agli adempimenti comunitari antepongono le priorità del loro egoistico successo personale.
Le ragioni di quegli uomini non sono futili, sono motivi ragionevoli: farsi spazio nelle professioni, allargare gli spazi e le influenze personali a discapito degli impegni relazionali e comunitari. Tutti noi siamo costoro. Tutti chiamati alla festa di tutti e tuttavia preferiamo le nostre feste, le nostre mete, le nostre espansioni ottenute dalle capacità. Tutti allo sforzo comunitario preferiamo la nostra autosufficienza di nicchia.
Il "padrone" si arrabbia per la durezza di cuore di questo inseguire l'interesse personale, egoistico.
Mah, forse non è rabbia è consapevolezza dell'errore che tutti commettiamo: tutti rifiutiamo il dono, l'invito gratuito che ci viene fatto a far festa tutti insieme.
Il "padrone" si dà da fare -a questo punto- per cercare "storpi", zoppi e "ciechi": gli emarginati. Egli la festa (eterna) la deve e la vuole tenere. A quella festa, lo dice Gesù, nessuno degli invitati che hanno impegni personali, egoistici, assaggerà mai la cena.
Le persone "autosufficienti", quelle che -come si dice oggi- si costruiscono da sé non assaporeranno mai le pietanze; hanno troppo impegni ... !
Quel "padrone" invia un suo servo per le strade del mondo, anche oltre i muri della città; quei muri che dividono un popolo da un altro, una razza da un'altra, una religione da un'altra. Il servo è incaricato di invitare tutti, chiunque, al banchetto finale.
Non è detto che troverà gente disposta a trascurare il proprio "io" per accogliere l'invito, il dono che quel "padrone" innamorato vuole offrire.
Il "padrone" ha dato disposizione al suo servo di inseguire l'uomo, l'uomo senza l'ambizione di costruirsi da sé, ovunque lo trovi. Per tutti pare che abbia posto, anche perché nessuno di noi mostra di ritenersi privo di ambizioni, meglio, di egoismo.
Quella che sembrava una parabola con parole dure, quasi con desideri di punizione, in verità è una lettura del pensiero e dell'autocomprensione dell'uomo di oggi. Tutto preso di sé, tutto impegnato ad inseguire un illusorio successo personale e che si scorda degli impegni nei confronti di tutti, della comunità. L'uomo di oggi, pieno di orgoglio, lavora per sé stesso e rifiuta il dono, la possibilità di realizzarsi nella festa organizzata per tutti.
Autorealizzandosi l'uomo ritiene di incontrare Dio non nella Festa di tutti, là dove la società beneficia dell'apporto di tutti, ma in Tribunale (davanti alla Legge) per dirgli: Io sono stato capace di realizzarmi con tutti questi beni acquisiti, questi titoli ottenuti, questi patrimoni tirati attorno a me.
Il Nazareno sostiene che costoro (che esigono meriti ed opere compiute) non assaggeranno la sua cena.
La Sapienza qui rivelata non ha molto a che fare con la furbizia umana.
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