La legge di Stabilità marcata Enrico Letta ha aumentato fino a 64 anni e 9 mesi l’età minima che le donne devono avere per ottenere la pensione di vecchiaia. Donne sempre più simili agli uomini quindi: “godono” della “pari opportunità” di lavorare più anni per riuscire a conseguire l’agognata quiescenza. Ma quasi sempre le loro retribuzioni sono più basse di quelle dei colleghi maschi.
Recentemente il Corriere della Sera ha ricostruito la lenta avanzata che, dal 1993, ha portato l’età minima richiesta per le donne da 55 a quasi 65 anni.
“L’innalzamento del limite di età è iniziato nel 1993 con la riforma Amato che ha portato la soglia anagrafica, sebbene gradualmente, da 55 a 60 anni. A partire dal 2012 è cambiato tutto. La legge Monti-Fornero ha infatti dato un deciso colpo di acceleratore alla equiparazione con gli uomini, già peraltro decisa dal precedente governo Berlusconi, che nell’estate 2011 aveva prefigurato un percorso che doveva iniziare nel 2014 per raggiungere il traguardo nel 2026. Ma non è stato così.
Dal primo gennaio 2012, infatti, l’età delle donne è schizzata di colpo a 62 anni — limite al quale già nel 2013 sono stati aggiunti 3 mesi (per via dell’adeguamento alle cosiddette speranze di vita) — per poi essere ulteriormente elevata a 63 anni e 9 mesi nel 2014.
Per le lavoratrici autonome (commercianti, artigiane e coltivatrici dirette), invece, lo scalone del 2012 è stato di 3 anni e 6 mesi (l’età è passata da 60 a 63 anni e mezzo). Soglia che è salita a 64 e 9 mesi nel 2014″.

E chi vuole “anticipare la vecchiaia”, andare in pensione prima dell’età minima?
Dovrà accumulare 42 e 6 mesi di contributi (gli uomini) o 41 anni e 6 mesi (le donne).
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